Solitamente si inserisce in un quadro di violenza generalizzata che va
da quella fisica all’abuso psichico, dall’abbandono alla trascuratezza.
Comune è la condizione della vittima, impossibilitata a scegliere
o a comprendere correttamente quello che sta accadendo
L’abuso sessuale è una delle forme di violenza più gravi che può subire un minore, soprattutto per il fatto che è quasi sempre associato alle altre forme di abuso. Fra i vari studiosi del fenomeno manca ancora una definizione unanime dell'abuso sessuale in quanto ognuno adotta una definizione diversa a seconda della propria attività. In più, se nelle relazioni a carattere sessuale sono coinvolti con gli adulti anche degli adolescenti, i confini entro i quali definire l'abuso sessuale si fanno ancora più confusi. E' arbitrario infatti definire il momento in cui l'adolescente raggiunge la capacità di acconsentire liberamente e pienamente alla relazione sessuale. In Italia tale limite viene collocato dalla legge a 14 anni, mentre in Europa i limiti variano dai 13 anni della Spagna ai 15 anni della Svizzera. Inoltre si evidenzia che nei sospetti casi di abuso sessuale la questione si fa particolarmente delicata in quanto l’unico testimone del crimine in genere è il bambino stesso. Nel sistema processuale italiano l’apporto della testimonianza è rilevante, tuttavia ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, non come unico elemento sul quale basarsi per giungere a delle conclusioni. Occorre quindi, attraverso verifiche incrociate, verificare la testimonianza del minore con altre prove. Entrando nei particolari del concetto di “abuso sessuale”, si sottolineano le differenze tra il punto di vista clinico e quello giuridico.
In ambito clinico la mancanza di una definizione comune è un problema che merita particolare attenzione. Vari professionisti traggono dalla propria esperienza una loro visione sull’abuso sessuale e spesso tali visioni sono tra loro discordanti. Diversi autori raccomandano di diffidare di definizioni troppo ampie e invitano a fornire descrizioni dettagliate del fatto reato ed esplicitamente connesse al contesto di riferimento in cui vengono usate.
La pedofilia e l'abuso sessuale sono tradizionalmente trattati come aberrazioni sessuali e l'esperienza clinica ha ampiamente confermato che chi aggredisce sessualmente i bambini cerca, attraverso comportamenti sessuali, di soddisfare bisogni che hanno più a che fare con la ricerca di sensazioni di potere, di controllo e di dominio su soggetti più deboli che con il piacere sessuale. La possibilità di coinvolgere un minore in una relazione sessuale è determinata, infatti, dalla posizione di superiorità e dal potere che ha l'adulto nei confronti del bambino, che si trova invece in una posizione di dipendenza e di soggezione. È attraverso questa sua autorità che l'aggressore, implicitamente o esplicitamente, costringe il minore a sottomettersi alla relazione sessuale. Una buona definizione può essere quella che ha fornito il Prof. Montecchi nel 1994: “l’abuso sessuale è il coinvolgimento in attività sessuali di soggetti immaturi e psicologicamente dipendenti. Soggetti a cui manca la consapevolezza delle proprie azioni nonché la possibilità di scegliere. Rientrano nell’abuso anche le attività sessuali realizzate in violazione dei tabù sociali sui ruoli familiari, pur con l’accettazione del minore”.
Solitamente esso si inserisce in un quadro di violenza generalizzata che va da quella fisica all’abuso psichico, dall’abbandono alla trascuratezza. L'aspetto fondamentale è rappresentato dalla condizione della vittima, impossibilitata a scegliere o a comprendere correttamente quello che sta accadendo. Un’altra definizione efficace è quella proposta da Goodwin, che utilizza indifferentemente le espressioni "incesto" e "abuso sessuale intrafamiliare" per indicare "ogni azione sessuale commessa su un bambino da parte di un adulto avente ruolo di genitore". Indipendentemente dal grado, dalla durata e dalla stabilità del coinvolgimento del minore nella relazione incestuosa si attivano le medesime esigenze di protezione, di indagine e trattamento da parte delle istituzioni. Solo in un secondo momento la distinzione torna a rendersi necessaria, quando cioè si ha bisogno di ricostruire la dinamica dell'incesto per definire i trattamenti idonei o per accertare il grado di responsabilità (psicologica e penale) del genitore e di altri familiari.
In ambito giuridico, anche per la legge n. 66 del 1996 la definizione del reato implica la costrizione della vittima a "compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità". Tuttavia rimane escluso da tale definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni, se tali soggetti hanno più di tredici anni indipendentemente dalla relazione che li lega.
Non possono inoltre essere considerate reato, in quanto non comportano veri e propri "atti", altre situazioni in cui il minore è esposto ad un clima psicologico decisamente negativo e fuorviante per il corretto sviluppo di una sua propria identità sessuale e della sua personalità, o sia coinvolto come spettatore più o meno complice di giochi erotici tra persone cui sia fortemente legato. Tali situazioni non differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze codificate come violenza sessuale, in quanto le conseguenze dannose che possono produrre nella psiche del minore potrebbero essere le medesime. ... [continua]
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