Pochi temi evocano "l'eterno ritorno dell'uguale" quali quelli collegati al settore della Giustizia e della Giustizia penale in particolare. Sono oramai quasi venticinque anni che sui banchi del Parlamento, nei bar e nelle piazze del Paese di discute di riforme, contro-riforme o, addirittura, derive autoritarie in salsa berlusconiana prima e forse renziana oggi.
Ancora oggi - e basta scorrere la cronaca politica e giudiziaria delle ultime settimane - si torna e si ritorna a parlare di "riforma" delle intercettazioni, dei termini di prescrizione, di corruzione.
Temi che, oramai per una sorta di riflesso condizionato, non entrano mai nel merito delle questioni ma scatenano il serrate le file degli opposti schiaramenti. Un'alzata di scudi immediata contrappone la tribuna dei riformatori di "una riforma pur che sia" pronti allo scontro all'ultimo emendamento con la contrapposta tifoseria di quelli che concepiscono aprioristicamente ogni modifica come regalo ai "ladri" ed ai "corrotti".
Il merito delle questioni rimane un eterno assente e viene travolto da un mare di chiacchiere nei salotti tv e sui giornali. Poi, dopo qualche settimana di discussione, nulla cambia e tutto resta com'è.
Prendiamo, ad esempio, il tema delle intercettazioni telefoniche. I problemi sono chiari e noti da anni: uso abnorme del mezzo di ricerca della prova da parte di certe Procure della Repubblica, diffusione abusiva di intercettazione che nulla c’entrano - avrebbe detto qualcuno "c’azzeccano" - con l’oggetto dell’indagine, mancanza di quell’udienza - filtro prevista dal codice di procedura penale per la selezione dinanzi al Giudice e nel contraddittorio delle parti delle intercettazioni da conservare e di quelle da distruggere.
Peccato che "i problemi" per affrontare "il problema" inizino prima ancora di iniziare a discutere. Perché il dibattito solitamente prende le mosse e stavolta non è stato diverso - si veda, di nuovo, "l'eterno ritorno dell'uguale" - dalla diffusione di intercettazioni che toccano o riguardano esponenti della classe politica. La discussione, già dai suoi albori, inizia in maniera sbagliata confondendo la contingenza politica - quella con la "p" minuscola - con le problematiche del sistema penale. A quel punto la reazione - condizionata e prevedibile da oramai più di vent'anni di pratica - è scontata: la magistratura e, a ruota, certi settori della stampa e della pubblica opinione gridano al complotto ed al tentativo di impedire le indagini e di farla fare franca ai soliti noti.
Trattasi di tipiche tecniche di aggressione e reazione - ed è sempre difficile capire chi parta per primo - sul campo di battaglia politico ed istituzionale.
Chi, timidamente e pacatamente, tenta di inserire nel tritacarne qualche ragionamento di buonsenso, a sottolineare che nessuno vuole bloccare le indagini ma che, comunque, qualche problema c’è e se ne dovrebbe prima discutere e poi intervenire, viene travolto e costretto a rientrare nelle file della tifoseria ultrà. Passa qualche settimana, lo scontro politico tra le fazioni si attenua o si sposta su altri tavoli e tutto resta com’è.
E’ facile immaginare che andrà nello stesso modo anche stavolta.
Ma dalla diagnosi che possiamo trarre dall'esperienza degli ultimi anni si comprende come la soluzione non possa trovarsi nell'affrontare singolarmente i singoli temi "delicati" nel tentativo di apportare modifiche sensate e di buon senso. Certi argomenti, oramai, sono diventati la spia e la cartina di tornasole del riproporsi dello scontro tra Magistratura e Politica che dura e perdura dal 1992. Se certi nodi sono al centro del dibattito pubblico non è perché li si vuole sciogliere e risolvere ma solo perché i rapporti tra i due poteri sono tornati ai minimi storici. La causa è lo scontro istituzionale; il tema delle intercettazioni, della prescrizione, della corruzione sono solo il terreno su cui questo scontro - squisitamente e tipicamente "politico" - si combatte.
Se questa, allora, è la triste diagnosi è necessario che il Legislatore nell’ambito di una stagione che risulta già stagione di riforme costituzionali prenda il toro per le corna ed affronti di petto con spirito costituente il tema dei rapporti tra Poteri dello Stato. Dinanzi alla novità - oramai non più tale - di un "ordine giudiziario" - così recita la Costituzione formale - che, di fatto e nella sostanza, si è fatto vero e proprio potere costituzionale occorre porre in essere una seria e profonda riflessione sui rapporti tra poteri dello Stato e sul quel sistema di pesi e contrappesi che debbono guidarne i rapporti. Solo in questo modo, riequilibrati e "riordinati" i rapporti, i temi che interessano il settore della Giustizia potranno riacquisire la loro autonomia e la loro corretta dimensione.
Occorre, insomma, citando un autorevole penalista, che il Legislatore smetta di agitarsi ed inizi seriamente ad agire, pensando ad una riforma del CSM che arresti la deriva correntizia della magistratura associata, affronti finalmente la questione della separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti, riformi profondamente il sistema di giustizia disciplinare dei magistrati per introdurre nel sistema anticorpi in grado di ricondurre a logiche istituzionali - e non più di scontro tra bande - i rapporti reciproci.
Solo così facendo eviteremo che il dibattito sulle intercettazioni e sugli altri temi caldi torni in eterno a affacciarsi per poi essere seppellito nuovamente in attesa della sempre nuova e sempre prossima stagione di scontro.
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