In data 23 marzo 2016 il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno relativo all’introduzione delle nuove fattispecie di omicidio e lesioni colpose stradali.
L’introduzione di disposizioni ad hoc finalizzate al contrasto della criminalità è stato salutato da ampi settori della politica e dei media come una sorta di conquista che finalmente eliminerebbe l’impunità dei cosiddetti pirati della strada.
Pur senza abbandonarsi a stroncature preconcette, il prodotto normativo licenziato dalle Camere denunzia una serie di incongruenze tecniche, sistematiche e politico-criminali che sono contrastanti con i canoni della “grammatica” più elementare del Diritto penale. Del resto, sin dall’inizio dell’iter legislativo, troppo forti sono parse le pulsioni mediatiche, alimentate da settori specifici dell’opinione pubblica, e assecondate da una classe politica in cerca di legittimazione.
Né può essere sottaciuto il ruolo giocato all’interno di questa autentica torsione repressiva, dalla giurisprudenza che negli anni passati ha aperto le porte del dolo, attraverso il tramite estensivo del dolo eventuale, all’identificazione del titolo di responsabilità da collegare alla responsabilità in caso di morti sulle strade. E poco importa che poi la Cassazione si sia progressivamente discostata da questo indirizzo giurisprudenziale convalidando in ipotesi limitatissime, poiché si era ormai alimentata l’illusione, totalmente falsa, che aggravando le pene si risolvessero i problemi e, su di un piano più strettamente giuridico, si era ormai aperta la strada all’ingresso all’imputazione a titolo di dolo in caso dicosiddetto omicidio stradale.
Ma, al di là della critica sistematica ad un intervento legislativo che pare il frutto avvelenato di una parossistica rincorsa al consenso popolare, occorre chiedersi: vi era necessità della creazione di una fattispecie autonoma di omicidio stradale, e, una volta introdotta, quali problemi restano sul tavolo? Tali e tante appaiono le criticità connesse alla scelta di introdurre agli art. 589 bis e 590 bis del Codice penale fattispecie autonome di omicidio stradale colposo e di lesioni stradali colpose che rispondere a questa domanda può non risultare agevole.
Innanzitutto occorre sgombrare il campo dalla fola che i cosiddetti pirati della strada rimanessero impuniti fino ad oggi e che quindi finalmente “l’omicidio stradale è reato”: il fatto era già previsto come reato (589, C. 3, C.p.) ed era già severamente punito (da 3 a 10 anni) cui ben poteva aggiungersi l’aggravante della previsione dell’evento (art. 61 n. 3 C.p.) con pene finali che, in casi particolarmente gravi, potevano raggiungere gli anni 15 di reclusione - senza contare che nei cennati casi in cui la giurisprudenza faceva riferimento al dolo eventuale, la pena poteva raggiungere i 24 anni. Ma, quel che più lascia interdetti, a prescindere dagli aumenti di pena oggi introdotti, è che, eufemisticamente, si fatica ad intravedere nella introduzione delle nuove fattispecie di reato un significato diverso da quello di una sottolineatura meramente simbolica dei fatti – certo gravi e socialmente intollerabili – descritti. In particolare, difficilmente afferrabili appaiono gli estremi della “colpa stradale” dal legislatore delineata.
Ha infatti ricadute sistematiche tutt’altro che trascurabili la scelta di assegnare al reato di omicidio e lesioni personali stradali una sorta di primazia assoluta nell’ambito dei delitti colposi contro la vita e l’incolumità individuale.
A tutta prima ci si chiede quali siano le ragioni recondite per le quali la causazione della morte alla guida di un autoveicolo sia da considerarsi più severamente della causazione della stessa morte per inosservanza delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro o delle leges artis in campo medico.
E ancora, non può non sottolinearsi come il trattamento sanzionatorio a cui si assoggetta l’omicidio colposo stradale si ponga, in termini di dosimetria sanzionatoria, in un rapporto di totale, quanto incomprensibile, asistematicità con le contrapposte tendenze a circoscrivere l’area di applicazione degli illeciti colposi nei settori appena menzionati: evidente il riferimento al temperamento della colpa medica introdotto con la cosiddetta legge Balduzzi.
Ma il problema di fondo posto dalle nuove fattispecie pare ancor più grave e profondo delle asimmetrie sul versante sanzionatorio, che caratterizzano oggi la colpa stradale rispetto alle altre ipotesi colpose, poiché il legislatore pare aver completamente obliterato la intrinseca pericolosità connessa alla circolazione di veicoli. Ciò produrrà inevitabili aporie sistematiche.
Estremamente istruttiva, in proposito, e si direbbe inevitabile alla luce della sede nella quale questo intervento è ospitato, pare la peculiare posizione delle Forze dell’ordine le quali, può dirsi per definizione, si trovano, in ragione dei compiti di ufficio, a dover circolare sulle strade in condizioni “limite”.
La novella legislativa, infatti, non prevede alcuna disciplina specifica, né si vede come avrebbe potuto prevedere una fattispecie di esenzione legale dalla pena a favore dei medesimi, ma, forse in nessun altro caso come questo, si coglie la problematica della inflizione di una poena naturalis all’autore di condotte pericolose.
Questa consapevolezza dovrà imporre un accertamento minuzioso non solo della gravità delle violazioni cui l’autore incorrerà, ma anche dei fattori che hanno inciso sulla sua condotta, sì che l’incidenza della poena naturalis dovrà essere proporzionale alla necessità della esposizione al pericolo. L’intera questione, però, è stata completamente elusa dal legislatore con cecità non certo encomiabile.
In altri termini la inammissibile codificazione di una colpa in re ipsa in materia di circolazione stradale rischia di avere effetti deflagranti in ambiti quali quello appena accennato.
A queste considerazioni deve aggiungersi la sottolineatura del rischio che le nuove norme introdotte possano addirittura avere un effetto criminogeno. Si pensi alla mancata previsione di circostanze attenuanti ad effetto speciale per chi presti soccorso. Chi provocherà un incidente, se avrà il minimo dubbio, ad esempio, di aver una pur minima alterazione del proprio tasso alcolemico, nella maggioranza dei casi fuggirà, con intuibili conseguenze per le vittime.
Ma è la totale assenza di strategia preventiva, rispetto al fenomeno che si intende contrastare, a rivelare come le norme in discorso siano, par di poter dire unicamente, motivate da pulsioni emotive e dall’esigenza di trasmettere un messaggio politico-mediatico di rassicurazione diretto, mediante l’aumento delle pene, a tranquillizzare i consociati più che a risolvere i problemi intervenendo sulle loro cause. Si raffrontino, a mero titolo di esempio, le possibili conseguenze della stessa condotta, ovvero un sorpasso in corrispondenza di un attraversamento: se il conducente sarà fortunato e non ci sarà alcuna conseguenza lesiva, ai sensi dell’art. 145, comma XV, Codice della Strada, sarà al massimo assoggettato al pagamento della somma di euro 646,00; se con la stessa identica manovra cagionerà la morte di qualcuno, l’art. 589 bis C.p. prevede la reclusione fino a dieci anni. Potrebbe dirsi che la “sorte” assurge ad elemento costitutivo della fattispecie, ma forse - meno provocatoriamente – è più opportuno chiedersi: ma norme come queste, servono davvero?
*Direttore Master universitario di I livello Anticorruzione: un nuovo modello di etica pubblica. Risposte ordinamentali e nuovi protagonisti presso Link Campus University - Roma
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