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Marzo - Aprile/2016 - Articoli e Inchieste
Lavoro
Io, morto per dovere La vera storia di Roberto Mancini, il poliziotto che ha scoperto la Terra dei Fuochi di Nello Trocchia, Luca Ferrari e Monika Mancini
di Francesco Toniarini

È un libro dalla triplice veste: c’è la cronaca giudiziaria, con la pubblicazione dell’informativa scritta da Roberto Mancini, che per primo scoprì la Terra dei Fuochi; c’è la biografia “professionale” e quella “emotiva”, rese possibili con il contributo della moglie di Roberto, Monika, e di tutti coloro che avevano lavorato con lui. Emerge così un lato profondamente personale e umano di Mancini. «Il nostro lavoro è stato quello di “farci megafono” più che voce» hanno spiegato gli autori nel corso della presentazione.
«Abbiamo organizzato le testimonianze, in primis della moglie e poi della madre, degli amici più cari, arrivando ai colleghi. Abbiamo cercato di “gestirle” soprattutto rispetto alla loro forza emotiva, e ciò che ne è emersa è stata la figura di un uomo, di un figlio, di un amico, molto cocciuto, che voleva sempre avere ragione – e questo è stato anche un bene per lui – perché la tenacia gli ha permesso di portare a termine un’indagine molto difficile, dove di bastoni tra le ruote gliene sono stati messi, e di pressioni ne ha ricevute. Il sentore che si potesse arrivare a livelli istituzionali più alti della bassa manovalanza camorristica lui ce l’aveva, e ciò nonostante ha sempre combattuto imperterrito».
C’è poi il tema della “delusione” nei confronti dello Stato.
«Roberto è stato molto deluso, questa indagine non ha avuto un esito, almeno nel breve termine. È stata ritirata fuori dal giudice Alessandro Milita dopo quindici anni. Cosa si auspicasse Mancini? Siamo certi che ciò che voleva era solo che lo Stato avesse fiducia nel suo lavoro, nel dare un seguito alla sua indagine. Una sorta di via libera e di riconoscimento del tipo: Hai consegnato questa informativa, perfetto, sei sulla giusta strada; fanne un’altra, continua ad indagare, apriamo un procedimento, ti diamo più risorse; hai scavato con le mani, ora ti diamo le ruspe… questo Roberto avrebbe voluto, solo questo: mezzi e fiducia nel lavoro che lui e la sua squadra stavano svolgendo».
Roberto Mancini consegnò un’informativa a due magistrati (riportata integralmente nel libro) e loro la chiusero metaforicamente in un cassetto.
«Siamo certi che non l’abbiano fatto in malafede – dicono gli autori – ma comunque è evidente come una sottovalutazione di quello che stava succedendo ci sia stata. Va detto, però, che all’epoca dei fatti, probabilmente, gli elementi legali per far avviare un processo neanche esistevano».
C’è poi l’ultima parte del libro, dedicata alla lotta di Mancini contro la malattia: «Roberto neanche di fronte alla malattia si pentì di ciò che aveva fatto, e il suo desiderio di verità è stato il suo più grande orgoglio, e ciò che lo ha spinto ad andare avanti. Per chi svolge il suo lavoro, in particolare in quei territori, onorare la divisa può diventare molto difficile, ma si può fare. Perché il modo per onorare al meglio la divisa è non “sporcarla”. È quello che ti onora, non ammalarti di tumore, o essere ucciso per via del lavoro che fai. Dobbiamo chiedere alle Istituzioni di non essere corrotte, così che i poliziotti non debbano essere martiri».
Monika, la moglie di Roberto Mancini ha definito la Terra dei Fuochi una nuova Chernobyl, dove i bambini potrebbero nascere già malati. È realistico o è una provocazione?
Risponde Luca Ferrari: «Con un ministro della Salute che dice che in Campania un numero così alto di tumori è dovuto allo stile di vita, Monika fa bene a usare una frase così forte, a dare una provocazione che, comunque, non si allontana troppo dalla realtà. Due mesi fa i dati ci hanno confermato che nella Regione c’è una percentuale di tumori superiore alla media nazionale. Purtroppo sembra che solo in questo modo si riesca a parlare alle Istituzioni».
La telefonata che Mancini aspettava dalle Istituzioni perché non è arrivata?
«Perché non poteva arrivare, perché ancora non era un eroe, perché prima di morire Roberto era solo un poliziotto “caca cazzi”. Dopo che è morto è diventato un eroe e lo Stato, per pulirsi la coscienza, ha inviato i fiori. Gli eroi a questo servono, a pulire le coscienze».
Io, morto per dovere, è, quindi, in sostanza, la storia di un poliziotto onesto, di una persona “perbene” che faceva normalmente il suo lavoro, «che era “tignoso”, che era pure un po’ “stronzo”, nel senso buono della parola» rimarca Luca.

Gli autori
Luca Ferrari, giornalista, documentarista e fotografo, è autore dell’inchiesta che per la prima volta ha raccontato la storia di Roberto Mancini, pubblicata su la Repubblica. Ha collaborato con la trasmissione Servizio pubblico, condotta da Michele Santoro, e con la Repubblica, l’Espresso, The Huffington Post e il Fatto Quotidiano. Con il suo primo film, Pezzi, del 2012, prodotto da Valerio Mastandrea, ha vinto il Premio Doc It – Prospettive Italia Doc per il miglior documentario italiano al “Festival internazionale del film di Roma” e ha ottenuto una candidatura nella categoria miglior documentario al “David di Donatello” del 2013. Nel 2015 il suo secondo film-documentario, Showbiz, sempre prodotto da Valerio Mastandrea, è stato presentato nuovamente al Festival di Roma.

Nello Trocchia, giornalista e scrittore, collabora con il Fatto Quotidiano, l’Espresso e con La7. Ha realizzato inchieste sui clan, sul malaffare politico e sui crimini ambientali. È autore di Federalismo criminale (Nutrimenti 2009), menzione speciale al premio Giancarlo Siani, primo libro-inchiesta sui Comuni sciolti per mafia; La peste (con Tommaso Sodano, Rizzoli 2010), sulla cricca politico-criminale che ha realizzato il sacco ambientale in Campania; Roma come Napoli (con Manuele Bonaccorsi e Ylenia Sina, Castelvecchi 2012). Da agosto del 2015 è sottoposto a vigilanza dei Carabinieri per aver subito minacce da un boss della camorra, a seguito delle sue inchieste giornalistiche.

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