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Gennaio/Febbraio/2016 - Editoriale
redazione@poliziaedemocrazia.it
Prima lavoratori, poi militari
di Michele Turazza

Durante il ventennio, tutti i fenomeni associativi (in senso lato) erano ammessi soltanto se espressione dello Stato fascista. Il “sindacato” era unico; lo sciopero, un reato. Con l’art. 39 della Costituzione repubblicana, la prospettiva cambia radicalmente: ora “L’organizzazione sindacale è libera”. Libertà da intendersi non soltanto nei confronti dello Stato, con la possibilità di costituire una pluralità di sindacati, ma anche del lavoratore, che può scegliere se, e a quale sindacato iscriversi. Anche le fonti sovranazionali (varie Convenzioni dell’Organizzazione internazionale del lavoro, il Patto internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali dell’Onu, la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali, la Carta sociale europea) riconoscono la libertà sindacale, con modalità differenziate, anche a particolari categorie di lavoratori tra i quali gli appartenenti alle Forze Armate e di Polizia. E la più recente giurisprudenza delle Corti europee sembra vedere con sfavore la negazione, da parte dei legislatori statali, del nucleo fondamentale della libertà di associazione sancita dall’art. 11 della Cedu, mediante la previsione del divieto assoluto per i lavoratori militari di riunirsi in sindacati.
In Italia però, alcuni di questi lavoratori in divisa sono meno liberi di altri; i loro diritti, in particolare quelli sindacali, subiscono una fortissima compressione, giustificata dal loro status militare (a sua volta motivato dalla particolarità delle funzioni, ossia la tutela di interessi primari, quali la difesa della collettività e la sicurezza dello Stato).
“La costituzione di associazioni o circoli fra militari è subordinata al preventivo assenso del Ministro della Difesa. I militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali. I militari non possono esercitare il diritto di sciopero”: dispone l’art. 1475 del Codice dell’Ordinamento militare, approvato nel 2010, nel quale è confluita la vecchia legge 382/1978. Gli articoli seguenti consentono e disciplinano l’istituzione ed il funzionamento della rappresentanza militare, organi composti dagli stessi appartenenti alle Forze Armate, che dovrebbero rappresentare, appunto, gli interessi della categoria. Vediamo di cosa si tratta.
Tre sono i livelli: Cocer (organo centrale), Coir (a livello di alti comandi) e Cobar (organo di base). “Piramidali” sono le modalità di elezione dei componenti: i militari eleggono i componenti dell’organismo di base, i quali eleggeranno i componenti dei Coir che sceglieranno i delegati Cocer. Più si sale, più la rappresentanza ed il collegamento con la base si annacquano. Gli eletti durano in carica quattro anni, ma, (troppo) spesso, con legge viene disposta la proroga degli organi, privando così gli elettori dell’unico momento “democratico” di tutta la procedura, ossia quello iniziale di scelta dei delegati. Le funzioni sono ridotte al lumicino: formulazione di pareri, proposte, istanze.
Ciò che nel mondo sindacale è la regola, ossia il conflitto tra le parti in vista di soluzioni condivise, che contemperino i vari interessi in gioco, nella rappresentanza militare è vietato. Per il semplice motivo che qui non ci sono “parti”: c’è solo l’Autorità militare. Granitica. Monolitica. I delegati sono soltanto suoi meri “consiglieri”, in missione per conto della stessa Amministrazione della Difesa. L’organo che fisiologicamente dovrebbe difendere i lavoratori militari dall’Amministrazione, è organo dell’Amministrazione. Le sedute della rappresentanza sono sempre presiedute dal militare più alto in grado (solitamente un Ufficiale superiore). L’ordine del giorno vincola rigidamente i lavori, i verbali debbono essere sottoscritti anche dall’Autorità militare ed il principio di gerarchia, pilastro del mondo militare, rimane fermo anche all’interno dei comitati, strozzando la discussione, rendendola sterile o comunque “addomesticata”. Quale delegato si può sentir libero di esprimere le proprie idee sotto l’incombente minaccia del possibile avvio di un procedimento disciplinare?
Insomma, a noi pare che la rappresentanza militare altro non si sia rivelata, nel corso degli anni, che un timido tentativo di sfamare con poche “briciole” gli uomini e le donne in divisa, sommersi di doveri, ma affamati di diritti! Un esercito di lavoratori che, francamente, meriterebbe maggiori tutele. Un “sindacatino” de facto giallo, spesso schierato su posizioni filogovernative, ininfluente per risolvere le problematiche del personale, specialmente nei livelli di base.
L’esclusione dei militari (Carabinieri e Finanzieri compresi) dai diritti sindacali è ancora giustificabile e ragionevole? La formula organizzativa della rappresentanza militare rappresenta davvero l’unico possibile bilanciamento tra le innegabili peculiarità che contraddistinguono il mondo militare e i diritti dei suoi appartenenti? Superata ogni concezione istituzionalistica delle Forze Armate, considerate come “corpo separato” dal resto della società, non sarebbe, forse, il caso di valorizzare, ancora una volta, la nostra Costituzione, secondo cui “L’ordinamento delle Forze Armate si informa allo spirito democratico della Repubblica” (art. 52, comma 3)?
Non sarebbe, forse, il caso di riflettere sul senso di una rappresentanza militare così configurata e valutare il suo possibile superamento?
Non sarebbe, forse, il caso di ripensare le riforme in atto, antistoriche e anacronistiche, come la forzata militarizzazione di un Corpo di Polizia ad ordinamento civile sin dalla sua costituzione (a parte l’infelice parentesi fascista), quale è il Corpo Forestale dello Stato, il cui rappresentante in seno al Coir – secondo la bozza di decreto legislativo approvata – non avrà nemmeno diritto di voto presso la sezione Carabinieri del Cocer?
Non sarebbe, forse, il caso di riaprire il dibattito sulla reale necessità del mantenimento delle stellette nella Guardia di Finanza e nell’Arma dei Carabinieri?
Oggi più che mai è fondamentale il coinvolgimento di tutte le forze sociali autenticamente democratiche. I sindacati tutti, confederali, autonomi e di Polizia devono fare la loro parte affinché si possa, anche in Italia, aspirare ad un modello autenticamente europeo di Forze Armate e di Polizia, più efficiente e più rispettoso dei diritti dei lavoratori in divisa.


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