La corruzione a Roma, le dirigenze pubbliche corrotte,
lo scardinamento e il processo contro l’organizzazione
Mafia Capitale. L'ex pm Antimafia ci conduce ci conduce
all’interno del sistema produttivo della città e del Paese,
per capire dove si annidano i gangli della criminalità
Alfonso Sabella, magistrato, ex pm antimafia a Palermo noto per aver arrestato decine di latitanti tra cui i responsabili delle stragi del 1992 che causarono la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nonché assessore alla Legalità nell’appena conclusa amministrazione capitolina targata Ignazio Marino, ha gestito, per il Comune di Roma, l’uragano Mafia Capitale, del quale è in corso il processo.
«L’impostazione accusatoria della Procura – spiega Sabella - è quella confermata dalla Cassazione che ha riconosciuto le caratteristiche della mafiosità, a questa associazione che faceva capo a Buzzi da un lato e a Carminati dall’altro, attraverso la fusione tra corruzione, potere, violenza e usura. Fusi questi due gruppi, all’epoca della giunta Alemanno, si sono delineate le caratteristiche di questa mafia, originaria di Roma e originale in questo senso: una mafia che non ha il controllo del territorio, ma che della mafia ne utilizza i metodi. Bisogna ricordare che l’articolo 416 bis non prevede il controllo territoriale come requisito delle organizzazioni mafiose, ma prevede che la solidità del vincolo associativo crei omertà e intimidazione. Questo è quello che i magistrati di Roma hanno riconosciuto nei vari gradi di giudizio».
Sabella durante il suo mandato di assessore si è sempre autodefinito un tecnico, che nulla ha a che vedere con la politica, e che per primo ha denunciato la partecipazione attiva dei dirigenti pubblici, ancor prima che della politica, nel sistema corruttivo della città legato agli appalti.
«Roma è una città molto corrotta, questo lo possiamo dire, e una cosa su cui nessuno ha mai riflettuto è che una diagnosi certificata della corruzione l’abbiamo avuta solo da pochissimi anni, se non mesi. A Milano questa diagnosi si ebbe con Tangentopoli, a Roma un ‘medico’ che facesse questa diagnosi non c’è mai stato. Fino a quando non c’è stato un cambio di vertice in Procura, purtroppo sulla corruzione si è fatto veramente molto poco sul fronte della repressione penale e dell’attività giudiziaria. Ora, c’è un nuovo sistema di lavoro in Procura, le Forze dell’ordine stanno curando molto più approfonditamente questo settore, ci sono delle leggi nazionali molto più restrittive. Si sta cominciando, finalmente, a combattere la corruzione, della quale sembra che il Paese si sia accorto solo da poco tempo».... [continua]
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