La guerra era già stata il più grande business
dell’Occidente col primo e il secondo
conflitto mondiale, ma ora diventava
il paradigma della “postmodernità”
che pervade tutto e tutti
Chiunque può dire: io, o qualche mio familiare o amico, avremmo potuto essere fra i massacrati nei luoghi della strage di Parigi. Allora, siamo tutti in guerra? Ma io, o i miei familiari e amici, non abbiamo dichiarato alcuna guerra e non abbiamo fatto alcun gesto ostile contro nessuno. Cosa fare? Sperare nella protezione di chi promette “Saremo spietati!” e dare loro pieno sostegno?
Contrariamente a quanto sciorinano tanti commentatori sui media, la strage di Parigi non è un fatto orrendo mai accaduto in Europa e ancora meno mai visto nel resto del mondo. Al di là della macabra contabilità da becchini, ricordiamo le bombe di un mese fa contro i manifestanti pacifisti in Turchia, o del 2004 alla stazione di Madrid, o le stragi di palestinesi con le bombe al fosforo israeliane e ancora centinaia di altri massacri, per non parlare di quelli degli Hutu contro i Tutsi raccontato fra altri da Salgado. Secondo Magris, siamo alla quarta guerra mondiale, dopo la terza - la guerra fredda dal 1945 al 1989 - che ha fatto circa 45 milioni di morti. Il Papa e altri ripetono da tempo che siamo alla terza guerra mondiale; la guerra appare quindi il fatto politico totale che s’è imposto e pervade tutto e tutti. Come in tutte le guerre, anche in quella odierna - che non è contro Stati nemici e non si configura secondo le norme internazionali - i contendenti “giocano” a coinvolgere la popolazione massacrandola o chiedendone sostegno per proteggerla. Ma chi sono i contendenti di oggi? Quando, come e perché siamo approdati alla guerra attuale? Nella continua alimentazione della “memoria corta”, nei Paesi cosiddetti occidentali abituati a essere “santuari di pace” in un mondo di guerre, si ignora il processo che ha portato all’attuale guerra permanente “totale”, come anche tanti fatti emblematici, e non ci si domanda quali saranno i costi e benefici e a danno di chi.
La destrutturazione dell’assetto bipolare (Usa-Urss) ha subito innescato una nuova proliferazione di guerre “locali”, ancora più sanguinarie e orribili di quelle con più morti, gestite a distanza o anche direttamente dalle due superpotenze (dopo quelle di Korea, del Vietnam, i tanti colpi di Stato, la perpetua guerra di Israele contro i palestinesi ecc., le guerre nei Balcani, in Congo, in Sudan, Ruanda e ancora altrove). Tuttora, si nascondono le gravissime responsabilità dei Paesi Nato e del Vaticano rispetto ai massacri nei Balcani e solo recentemente Blair ha riconosciuto di aver detto il falso per giustificare la seconda guerra contro Saddam (accusato di avere le armi di distruzione di massa che non aveva). Una buona letteratura ha mostrato con rigore che l’attacco alle due torri l’11 settembre 2001 è stato sfruttato per giustificare ciò che Bush jr. chiamò la guerra permanente del XXI secolo. I think tanks americani e i loro adepti europei ebbero infine l’occasione d’oro per “implementare” le loro teorie e ipotesi sviluppate sin dal Fiscal Year del 1979 e dopo con la celebre Revolution in Military Affairs (Rma). Il trionfo del liberismo si realizzava con l’intreccio assai solido fra le principali lobby del mondo: quelle delle speculazioni finanziarie, la militaro-industriale-poliziesca, la lobby del petrolio ma anche delle energie rinnovabili, delle new economy, dell’industria farmaceutica e delle comunicazioni e media.
La guerra era già stata il più grande business dell’Occidente col primo e il secondo conflitto mondiale, ma ora diventava il paradigma della “postmodernità” che pervade tutto e tutti: la ricerca di base come ogni sorta di applicazioni delle scoperte tecnologiche e scientifiche (vedi in particolare le IIT). Al Qaeda emerge come il nemico ideale per legittimare (ben al di là di ogni legalità nazionale e internazionale) la guerra che, come ben ipotizzava Orwell, si chiama pace se fatta dall’Occidente. I Paesi Nato, ma anche la Russia di Putin, Israele e altri, sono impegnati solo in missioni di pace, di Polizia internazionale per salvaguardare i diritti fondamentali e la democrazia. Colpito al Qaeda, ecco che emerge l’Isis, un nemico ancora più orrendo che ostenta ogni sorta di atrocità persino nei confronti di bambini e donne (più di quanto ebbe a fare Cristoforo Colombo nei confronti degli indigeni?).
Secondo alcuni, fra i quali O. Roy, l’Isis sembra credere all’apocalisse e si muove per realizzarla. Ma da dove “spunta” questa mostruosità? Com’è riuscita a disporre di tante risorse finanziarie, mezzi e armi? Come riesce ad avere consenso e a reclutare anche fra giovani europei e statunitensi? Persino diversi esperti accreditati militari e civili ammettono che l’Isis trova abbastanza facilitazioni negli Emirati Arabi, in Iraq e forse anche presso la criminalità organizzata transnazionale grazie ai diversi traffici di armi, droga e capitali.
I principali Paesi produttori e venditori di armamenti sono quelli della Nato/Usa, ma subito dopo ci sono Francia, Italia, Regno Unito e Germania, la Russia, la Cina e anche in parte Israele. I maggiori importatori sono l’India, l’Arabia Saudita, la Cina, gli Emirati Arabi Uniti e il Pakistan. E’ proprio negli Emirati Arabi che ogni anno si tiene la più grande fiera di armamenti, l’ultima, il 22-26 febbraio scorso ad Abou Dhabi con 600 espositori fra cui 32 imprese italiane accompagnate da Ministri, diplomatici, alti ufficiali delle Forze armate e alti dirigenti delle Polizie e dirigenti delle grandi imprese.
Tuttavia, nessun Paese produttore e venditore di armi ha minimamente accennato la proposta di uno stop della produzione e vendita di armamenti e in particolare di embargo rispetto agli Emirati che, ovviamente, non mancano di condannare l’Isis. Allo stesso tempo, tutti questi Paesi dominanti non hanno mancato alcuna “buona occasione” per alimentare la riproduzione della guerra permanente: dopo la catastrofe in Iraq e Afghanistan, mentre si lasciano incancrenire le guerre locali in Africa e le atrocità di Polizie e narcos in Messico e altri Paesi, la guerra in Libia ha creato un’altra situazione di conflitto totale, in Siria s’è alimentata la tragedia perpetua e la Francia di Hollande è andata a fare la guerra in Mali per installarvi un nuovo Capo di Stato.
Parallelamente, mentre tutti i Paesi aumentano le spese militari e per le Polizie, le loro politiche economiche e la loro prevenzione dei disastri sanitari e ambientali hanno accentuato sempre più la distanza fra ricchezza e povertà. Nonché le neo-schiavitù, le emigrazioni disperate e la mortalità per malattie oncologiche, oltre che per fame e, nei Paesi non-dominanti, anche per banali malattie e malnutrizione, in assenza di farmaci e cure. Perché stupirsi allora se nei Paesi dominanti, alcune decine di giovani marginali o marginalizzati, o spesso oggetto di criminalizzazione razzista, aderiscano all’Isis così come potrebbero approdare alla follia o all’autodistruzione da overdose o passando ad atti criminali suicidi?
Il mito degli “uomini bomba” è tipico di giovani o meno giovani che hanno “perso ogni speranza”, non intravedono alcuna possibilità concreta di trovare un percorso pacifico di emancipazione (e non sanno convivere con lo scetticismo maturato da persone come Hanna Arendt, Pasolini o Foucault). Ricordiamoci che i primi “uomini bomba” emergono fra i palestinesi come tentativo disperato di rovesciare l’asimmetria di potere e di forza rispetto ai servizi segreti e militari israeliani. Il caso di quelli che aderiscono all’Isis non può non far pensare a una radicalizzazione folle dell’odio verso un Occidente liberista che riproduce anche questo orrore. Purtroppo, un orrore fra i tanti di cui si parla raramente o mai nei media: si pensi alle tante realtà africane dove, oltre alle guerre, le nostre multinazionali continuano a seminare disastri di ogni sorta, dalle contaminazioni da rifiuti tossici, ai disastri ambientali e di conseguenza anche economici.
Come per caso, la strage del 13 novembre a Parigi avviene due settimane prima del Cop21, il summit di circa 200 Paesi che dovrebbe approvare una netta riduzione di emissioni di gas tossici e di ogni sorta di sostanze inquinanti e quindi stanziare ingenti risorse per bonificare un pianeta che altrimenti sarà quasi sicuramente destinato alla distruzione, se non all’apocalisse. E’ assai prevedibile, quindi, che tutti i Paesi dominanti imporranno la scelta di investire ancor di più nella guerra al terrorismo e molto meno in quella contro i disastri sanitari-ambientali ed economici. Già in nome della prevenzione del terrorismo, è probabile che si accantoni ogni ipotesi di misure a favore dei profughi “visto che fra essi possono infiltrarsi i terroristi dell’Isis”.
Senza bisogno di essere grandi esperti, i propositi delle autorità francesi e di altri Paesi in materia di lotta al terrorismo sono palesemente i soliti già sperimentati in particolare dopo l’11 settembre 2001 con forse ancora più risorse per i servizi segreti e le Polizie. Avremo una sorta di stato di assedio permanente, la proliferazione del libero arbitrio, di violenze e abusi nei confronti di sospetti, e persino parenti di questi, spesso del tutto estranei al terrorismo. Ancora una volta saremo chiamati a collaborare e dare pieno consenso al sacrificio delle libertà in nome della salvaguardia della nostra “civiltà”. Saremo costretti a sopportare ancora per chissà quanto tempo le gesticolazioni e i deliri dei contendenti dell’attuale guerra permanente infinita. Ma, probabilmente, questo orrido teatro (nel senso goffmaniano di effettiva realtà della società) non potrà durare a lungo e finirà per alternarsi con qualche altra “opera”.
L’unica possibilità che si possa evitarne l’eterna riproduzione sta nella mobilitazione della capacità critica, o parresia di massa, mentre appare del tutto poco utile pretendere di proporre alle attuali autorità pratiche di aggiustamento a quanto hanno sciaguratamente ideato.
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