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Giugno - Agosto/2015 - Pensioni - Il parere dell'esperto
Pensioni
Arretrati bonus per gli anni 2012 - 2013 (Per effetto dell’applicazione del decreto legge n. 65 del 21/5/2015)
di Giuseppe Chiola

Occorre precisare innanzitutto che la Corte Costituzionale con la Sentenza n. 70 del 10 marzo scorso, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 25, del D.l. 101/2011, convertito con la legge 214/2011; pertanto la rivalutazione è riferita ai soli anni 2012 e 2013 e per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo Inps (1.443,00 per l’anno 2012 e 1.486, per l’anno 2013).
La norma dichiarata incostituzionale modificava, infatti, per il biennio 2012 e 2013, l’art. 34 della legge 448/98 che prevedeva la rivalutazione delle pensioni, a titolo di perequazione automatica, nella misura del: “100% della percentuale dell’indice Istat sull’importo della pensione non superiore a 3 volte il minimo Inps, del 90% per le fasce di importo comprese fra 3 e 5 volte lo stesso minimo e del 75% sull’importo residuo”.
Poiché l’applicazione della Sentenza della Consulta avrebbe causato un grosso buco nelle casse pubbliche, soprattutto per l’effetto trascinamento per gli anni successivi al biennio di riferimento, il governo è intervenuto con il D.l. n. 65 del 21 maggio 2015 con il quale (all’art. 1) ha riformulato il comma 25 dell’art. 24 della legge 214/2011, stabilendo che, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione delle pensioni è riconosciuta limitatamente per i trattamenti pensionistici di importo inferiore a sei volte il minimo Inps, nella misura del: “100%, della percentuale stabilita dall’Istat, per le pensioni di importo complessivo fino a 3 volte il minimo Inps, del 40% per quelle di importo da 3 a 4 volte lo stesso minimo, del 20% per quelle di importo da 4 a 5 volte e del 10% per quelle di importo superiore a 5 volte e fino a 6 volte il minimo Inps”.
Per le pensioni di importo superiore ai limiti sopra indicati, ma inferiore agli stessi limiti incrementati dell’aumento previsto per l’anno di riferimento, l’aumento perequativo è comunque attribuito fino a concorrenza dei predetti limiti rivalutati. Nessuna rivalutazione, invece, è riconosciuta, per gli anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici complessivamente di importo superiore a 6 volte il minimo Inps.
Lo stesso Decreto, convertito senza sostanziali modifiche, con la legge n. 109 del 17 luglio scorso e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 166 del 20 luglio 2015, ha previsto, poi, un comma aggiuntivo (il 25 bis) con il quale sono state modificate anche le modalità applicative per il triennio 2014/2016, peraltro già applicate per gli anni 2014 e 2015 a norma dell’art. 1, comma 483, della legge 147/2013. La nuova formulazione prevede, per gli anni 2014 e 2015, l’attribuzione del 100% della percentuale Istat sui trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a 3 volte il minimo Inps e del 20% per quelle di importo superiore a tale limite ma inferiore a 6 volte lo stesso minimo. Dal 1° gennaio 2016, invece, ha previsto la ricostruzione “solo teorica” delle posizioni pensionistiche, con l’attribuzione di una somma pari al 50% del rimborso riconosciuto a titolo di “bonus” sulle pensioni di importo superiore a 3 e inferiore a 6 volte il minimo; manovra, questa, utile solo ai fini dell’attribuzione dei futuri aumenti perequativi che saranno previsti a partire dal 1° gennaio 2016. Tale criterio applicativo penalizzerà i pensionati con reddito medio-alto.
Da un’attenta lettura del nuovo disposto normativo si ritiene che il D.l. in questione potrebbe presentare alcuni punti di incostituzionalità, non solo per quanto riguarda la mancata rivalutazione dei trattamenti pensionistici di importo superiore a 6 volte il minimo Inps, ma anche perché, malgrado lo stesso provvedimento abbia efficacia retroattiva, non prevede, per gli anni 2014 e 2015, né arretrati né ricostituzione delle posizioni pensionistiche sulla base degli incrementi perequativi riconosciuti per gli anni 2012 e 2013.
Facciamo l’esempio di un pensionato che alla data del 31 dicembre 2011 godeva di un trattamento pensionistico (complessivo) mensile lordo di 1.500,00 euro; per effetto della rivalutazione di cui all’art. 1 del D.l. 65/2015 (che ha modificato il comma 25 dell’art. 24 della legge 147/2011) alla data del 31 dicembre 2013 ha una pensione di euro 1.534,39; dal 1° gennaio 2014, con l’incremento perequativo previsto dall’art. 1, comma 483, della legge 147/2013, come integrato dall’art. 1 (comma 25 bis) dello stesso D.l., la sua pensione mensile lorda è pari a 1.522,59, in pratica subisce una riduzione di 11,80 euro.
Inoltre va considerato il Decreto ingiuntivo del 29 maggio scorso della Sezione lavoro del Tribunale di Napoli che, in accoglimento del ricorso presentato da un ex dipendente delle Poste, ha imposto all’Inps il rimborso pieno della mancata rivalutazione del trattamento previdenziale per il biennio 2012-2013, con le modalità previste dalla Sentenza della Corte Costituzionale.
Per le ragioni suesposte c’è da prevedere che in futuro assisteremo ad una lunga serie di contenziosi. Infatti anche il Codacons, condividendo l’impostazione del Tribunale di Napoli, sta procedendo alla raccolta delle firme per la presentazione di una class action; la Confedir (Confederazione dei dirigenti, quadri e alte professionalità della Pubblica Amministrazione) sta predisponendo ricorsi avverso il D.l. 65/2015; l’Ugl si sta mobilitando in tutto il territorio nazionale per fornire assistenza gratuita a chi vorrà avviare un ricorso alla magistratura competente; ma anche moltissimi studi legali stanno invitando i pensionati ad inviare lettere di diffida all’Inps, per poi procedere con mirati ricorsi alle Delegazioni Regionale della Corte dei Conti di residenza.
Personalmente non so fino a che punto convenga presentare ricorsi, soprattutto ai pensionati con trattamenti medio e medio-bassi, perché a beneficiare di un eventuale difficile risultato positivo, saranno i soliti pensionati con trattamenti altissimi. Infatti dopo la Decisione della Corte Costituzionale del 24 giugno scorso, riguardante il personale in attività di servizio, con la quale pur dichiarando illegittimo il blocco dei contratti dei pubblici dipendenti, ha stabilito: “con decorrenza dalla pubblicazione della Sentenza”, quindi senza prevedere arretrati, (Sentenza, tra l’altro, che, a tutt’oggi, non è stata ancora pubblicata in Gazzetta Ufficiale). Pertanto ritengo assai improbabile che tornare, oggi, alla stessa Consulta con la questione delle pensioni si possa ottenere un risultato diverso. Occorre specificare altresì che, in caso di rigetto del ricorso da parte della Corte dei Conti (Giudice del lavoro), il Giudice Unico potrebbe condannare il pensionato (soccombente) al pagamento delle spese processuali a favore dell’Amministrazione. Ciò premesso consiglierei, per il momento, di non partire subito con i ricorsi, ma limitarsi ad inviare un’istanza all’Inps, per la messa in mora ed interruzione di eventuale prescrizione, ed attendere gli sviluppi della situazione.
Infine, alla corresponsione degli arretrati per gli aventi diritto, l’Inps provvede d’ufficio con questa mensilità di agosto, pertanto non occorre presentare alcuna domanda. Sugli arretrati graverà l’Irpef, applicata con l’aliquota media (tassazione separata) per quelli riferiti agli anni precedenti e aliquota massima individuale per quelli dell’anno in corso.

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