Alla sicurezza “gridata” nei consueti slogan pre-elettorali e a quella “apparente” è ormai palese che le condizioni lavorative ed economiche dei poliziotti stiano raggiungendo livelli sempre più insostenibili a causa di un’organizzazione del lavoro desueta e ancorata agli anni ’80 mai ridimensionata e sempre più improntata alla buona volontà dei singoli operatori. E’ ormai evidente che, negli ultimi tempi, all'elevato numero di problematiche non risolte della categoria, migliori condizioni di lavoro, di turn over, ed incentivi basati sulla meritocrazia per aumentare il livello di efficienza e professionalità nell’affrontare e assicurare la sicurezza del nostro Paese, il Dipartimento e il Ministro dell’Interno aggiunge e continua ad aggiungere nuove e delicate questioni dettate dall’emotività e dall’emergenza che minano in maniera oltremodo pesante l'attività lavorativa del personale.
Soluzioni sempre estemporanee dettate dal “palazzo” per accontentare il Ministro di turno attento all’opinione pubblica più che all’efficienza del sistema che da tempo deve essere ridimensionato, razionalizzato ed epurato dell’inutile dualismo dell’Autorità di Pubblica Sicurezza provinciale.
Un esempio del passato si chiama “poliziotto di quartiere” che purtroppo il governo ha messo in soffitta forse perché era uno dei punti del famoso contratto con gli italiani del 2001. Gli organici di poliziotti e carabinieri addetti al servizio dovevano aumentare costantemente ma dopo il 2006 le risorse non ci sono più state e da allora siamo fermi: 3.071 agenti per 748 zone nei 103 capoluoghi di provincia, ormai assorbiti in altri impieghi e settori.
Eppure la Polizia di prossimità doveva essere la risposta europea alle mutate esigenze della popolazione in materia di sicurezza e in molti Stati dell'Unione l'iniziativa è stata e viene portata avanti con ottimi risultati. Quella era la giusta via per ottenere la partecipazione dei cittadini al controllo del territorio, tant'è che il concetto di partecipazione era ed è parte integrante dei patti per la sicurezza sottoscritti da numerosi Enti locali.
Oggi, il governo, il Ministro dell’Interno e il Dipartimento della Pubblica Sicurezza mutano politica, non è la prima volta e in modo così repentino, portando avanti in via prioritaria e dettata dal sensazionalismo, una politica dell’immigrazione e dell’antiterrorismo dettata dall’emergenza del momento.
Il problema dell’immigrazione si può sintetizzare nel liberare posti nei vari alberghi e rifugi di fortuna dei profughi per inviarli agli Stati membri europei disponibili all’accoglienza. Un problema sociale, molto burocratico, ma cosa fanno i Prefetti? Scaricano le interviste cosiddette “c3” all’ufficio immigrazione della Questura e il Questore sottrae poliziotti dal controllo del territorio per ottemperare al disbrigo burocratico diventato impellente come le impronte digitali.
In Italia l’immigrazione diventa così problema di ordine pubblico, in altri Paesi “civili” le interviste vengono fatte da personale civile coadiuvato opportunamente da interpreti e mediatori culturali, anche loro sono tenuti al segreto d’ufficio.
L’antiterrorismo prevede mezzi e uomini addestrati a puntino ma dopo il Giubileo faranno anche loro la fine del poliziotto di quartiere, alla faccia della professionalità e di un progetto duraturo di sicurezza nazionale.
Oggi il mestiere del poliziotto è quello del “tuttologo” che nel nostro Paese, specie nei reality show, ha molto successo perché fa moda ed è un diversivo sociale ma la vita concreta è ben altro che la finzione televisiva.
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