«Una brutta pagina di storia» ed è giusto inserire il reato
di tortura nell'ordinamento giuridico, ma non solo
per le Forze dell'ordine. «Chi sbaglia deve pagare
ma è un errore generalizzare». Il processo di riforma
democratica continua tenendo presente le difficoltà di oggi
Nei principali Paesi europei il reato di tortura è previsto dai rispettivi Codici penali spesso con un aggravio della pena se commesso da un pubblico ufficiale. Ad esempio, nel Regno Unito, il Criminal Justice Act prevede la detenzione a vita se il pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni 'pone in essere azioni tali da procurare ad altri sofferenza fisica o psicologica'. In Spagna, se a commettere il reato di tortura è un funzionario pubblico, la detenzione va da due a sei anni per fatti gravi e da uno a tre per fatti meno gravi. In ogni caso è prevista l’inabilitazione assoluta da otto a dodici anni. E anche papa Francesco in Vaticano ha introdotto il reato di tortura dal 2013.
La linea guida dell'Europa è dunque abbastanza chiara su questo tema e lo conferma la sentenza della Corte dei Diritti umani di Strasburgo che ha dato ragione al ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, una delle vittime dell'irruzione del settimo Nucleo del Reparto Mobile di Roma alla scuola Diaz durante il famigerato G8 di Genova. Cestaro ricorda che stava dormendo quando all'improvviso sentì un gran trambusto. «Ho pensato, ecco, arrivano i black block. E invece era la Polizia. Mi hanno rotto un braccio, una gamba e dieci costole». Nel 2001 Cestaro aveva sessantadue anni e ancora patisce i dolori di quella maledetta notte. Adesso sarà risarcito dallo Stato italiano con 45mila euro, così come deciso dalla Corte di Strasburgo.
La condanna verso l'Italia dunque pone ancora una volta alcune questioni scottanti legate alle Forze dell'ordine e all'assenza di norme su specifici reati. Nella sentenza si evidenzia infatti la violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea dei Diritti umani, a cui l’Italia aderì nel 1987, che riguarda la tortura. Anche la Cassazione chiamata ad esprimersi sulle violenze alla Diaz, chiarì che l'operato della Polizia aveva 'un fine punitivo, un fine di rappresaglia, volto a provocare l’umiliazione e la sofferenza fisica e morale delle vittime', azioni qualificate come 'torture'. Dunque, nonostante vari giudici abbiano chiaramente individuato una grave zona d'ombra nell'ordinamento italiano, ad oggi, il reato di tortura nel Codice penale italiano non esiste. In Parlamento proprio in virtù della condanna europea i tempi sono stati accelerati e una proposta di legge è già passato alla Camera e al Senato. Si auspica un'approvazione per l'estate, staremo a vedere.
Tornando alla condanna di Strasburgo è importante leggere ciò che scrivono i giudici: 'la Corte si rammarica che la Polizia italiana abbia potuto rifiutarsi impunemente di apportare alle Autorità competenti la cooperazione necessaria all’identificazione degli agenti suscettibili di essere implicati negli atti di tortura'. Una sentenza schiacciante che evidenzia come giovani, donne e anziani abbiano subito percosse gratuite definite atti di tortura, ma sottolinea anche l'omertà di coloro che, in quel caso, erano chiamati a garantire la sicurezza e non hanno avuto il coraggio, per volontà o per necessità, di testimoniare la verità, motivo imprescindibile per chi indossa una divisa. La verità prima di tutto, anche se condanna un collega. Soprattutto se quel collega ha commesso un reato grave. Il silenzio, in questi casi, è complicità. ... [continua]
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