Antonio Sannino, funzionario della Polizia di Stato, in questo suo libro ripercorre le fasi storiche della Pubblica sicurezza in Italia fino alla Riforma del Corpo del 1981
Questo libro del funzionario di Polizia, Antonio Sannino (quadro storico del Movimento per la Riforma della Ps), al di là del titolo (Le Forze di Polizia nel dopoguerra - Mursia ed - pagg. 270 - e 15), scorre un arco di tempo che va dall’Unità d’Italia al primo Congresso nazionale del Sindacato Unitario di Polizia, come traguardo di una lunga e faticosa marcia.
Avvenimenti lontani fra di loro ma che Sannino, una “voce di dentro”, riesce a legare ponendo al centro della sua ricerca gli uomini della Polizia più che l’istituzione. Forse è il primo tentativo di fare entrare i poliziotti nella Storia dalla porta principale.
Uomini sconosciuti quando non denigrati, insultati, emarginati; chiamati a simboleggiare uno Stato da sempre forte con i deboli e debole con i forti.
Uomini reclutati fra gli strati più poveri delle popolazioni perché condannati ad una vita di “pane amaro”. Ma nonostante tutto uomini che hanno saputo mantenere la propria dignità professionale e politica contro stereotipi e luoghi che li hanno voluti descrivere sempre come “servi” di qualcuno.
Non sono pochi i fatti ben documentati che l’autore elenca a dimostrazione che i poliziotti, di fronte alla marea montante del fascismo, non abdicarono al loro dovere istituzionale; mentre altri sceglievano la via più facile dell’obbedienza ai nuovi padroni.
Infatti la Polizia non ha mai aderito all’ideologia fascista, osservando una linearità di comportamento basata sulla fedeltà allo Stato indipendentemente da chi, nel momento dato, lo rappresenta: compreso il Partito nazionale fascista.
Atteggiamento coerente ma ricambiato con paghe miserevoli, lavoro massacrante e da una disistima generale che partiva proprio dagli uomini di governo: sia di quelli liberali del periodo unitario, sia di quello fascista. E non cambierà molto con la Repubblica democratica ed antifascista, anzi su di essi calerà il pubblico ludibrio in quanto, contro la verità storica, si vorrà indicarli strumento cieco e di violenta repressione agli ordini del regime.
Ma ancora una volta toccherà agli uomini della Polizia di difendere le nuove e fragili istituzione democratiche minacciate al tempo della guerra fredda dalla profonda spaccatura politica che divideva il Paese e che appariva propedeutica alla guerra civile.
Per i poliziotti e per la Polizia, la Repubblica democratica non introdurrà grandi cambiamenti rispetto al passato: forse c’è qualche peggioramento. Un dato su tutti; nel 1949 su 26 dipendenti riformati per malattie contratte in servizio, 22 erano malati di tubercolosi, mentre in Italia vi erano 42 casi ogni centomila abitanti. In questo periodo la morbosità di questa patologia coincideva con il tasso di mortalità. Dunque ancora una volta non c’è traccia di un potentissimo apparato repressivo agli ordini di Scelba. Anzi per gli anni ’48 – ’49 – ’50 ci sono 67 poliziotti morti in servizio di cui 16 in ordine pubblico e 46 carabinieri di cui 14 in ordine pubblico. D’altra parte lo stesso ritratto di Scelba disegnato dalla saggistica e dalla storiografia risulta notevolmente sfocato rispetto ai fatti. A testimoniarlo è Giuseppe Di Vittorio, leader carismatico della Cgil comunista quando ammette in Parlamento che le vertenze sindacali con la mediazione dei prefetti, quindi di Scelba, vengono risolte per il 90% in favore dei contadini. Altro argomento d’interesse è dato dalla diversità “storica” di comportamento di Polizia e Carabinieri assai poco conosciuta e ancor meno descritta.
La parabola temporale del Movimento coincide con la spirale terroristica che ha investito il nostro Paese in quegli anni. Abbiamo cercato di mettere a fuoco il ruolo e il contributo dei poliziotti nell’opera di rafforzamento della Democrazia italiana con il forte impegno nella lotta al terrorismo insieme alla alleanza strategica con il mondo del lavoro, superando la storica contrapposizione ideologica che tanti danni aveva causato alla convivenza civile.
In definitiva, il libro narra di una categoria, le Forze di polizia, che ha contribuito a costruire e difendere qualche pezzo dello Stato democratico in cui viviamo. Anche se non ci sono monumenti, vie o piazze a ricordarlo.
Con toni pacati e precise fonti storiche, Sannino ripercorre le azioni e le proposte dei leaders politici dell’epoca e i rapporti dei partiti con le Forze di polizia , così vengono alla luce nuove letture di avvenimenti che non sempre sono stati riportati in modo adeguato dalla storiografia e dalla saggistica.
Protagonisti di quella turbolenta stagione come Scelba e Togliatti vanno ricollocati nei rispettivi ruoli non più alla luce di forzature ideologiche ma sulla scorta di una documentazione, ancora una volta, puntuale e precisa.
Gli uomini della Polizia hanno contribuito, con enorme sacrificio anche in vite umane, a costruire qualche pezzo dello Stato democratico in cui viviamo; in silenzio e non ci sono monumenti, strade o piazze a ricordarlo.
L’emancipazione degli uomini della Polizia comincia con il secondo Movimento riformista negli anni ’70 e Sannino, come accennato, ne è uno degli artefici. Perciò la parte del libro che riguarda la battaglia per la Riforma e la sindacalizzazione dell’ex Corpo delle Guardie di Ps è una descrizione di prima mano, che evita enfatizzazioni ed autocelebrazioni ma si preoccupa di segnalare al Paese l’importanza di quella battaglia e dei soggetti che vi hanno preso parte.
La prima grande riforma dei “Corpi separati” dello Stato approvata in Parlamento da un vasto schieramento di forze politiche come unica via d’uscita alla disgrazia del terrorismo che era caduta addosso al Paese.
E come superamento definitivo della teoria che voleva lo Stato debole meno pericoloso per la democrazia. Dopodichè non c’era più niente che impedisse all’Italia una politica della sicurezza pubblica liberata dai fantasmi del passato e proiettata verso la società del terzo millennio.
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