Discriminatorio è il licenziamento determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dell’appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, tra cui è compresa la partecipazione del lavoratore a uno sciopero, nonché da ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni
personali del dipendente.
Il licenziamento discriminatorio è descritto nell’art.3 della legge 108/1990. In questo caso il licenziamento intimato al lavoratore è nullo indipendentemente dalla motivazione formalmente addotta dal datore di lavoro. Prima della riforma il licenziamento discriminatorio
comportava la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento integrale del danno anche al di fuori del campo di applicazione dell’art.18 dello Statuto.
Tutti i lavoratori, anche quelli occupati in aziende con meno di 15 dipendenti e anche i dirigenti, erano protetti alla stesso modo contro il licenziamento discriminatorio.
La sanzione rimane quella della reintegrazione con risarcimento integrale, in misura pari alla mensilità della retribuzione globale di fatto che questi avrebbe percepito dalla data del licenziamento nullo a quella della effettiva reintegrazione, comprensive dei contributi previdenziali e assistenziali, dedotto solo quanto eventualmente percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.
Resta la misura minima del risarcimento, che non potrà in ogni caso risultare inferiore a cinque mensilità di retribuzione.
Al licenziamento discriminatorio sono equiparati, quanto a conseguenze sanzionatorie, il licenziamento orale e altre tipologie di licenziamento dichiarato nullo in quanto:
· Intimato in concomitanza di matrimonio o in violazione dei divieti di licenziamento posti a tutela della maternità e paternità;
· Determinato da motivo illecito determinante;
· Riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge.
Le discriminazioni restano punite con la restituzione del posto e il risarcimento.
Dopo l’ordine di reintegrazione il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito del datore di lavoro.
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