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Agosto - Settembre/2019 - Editoriale
direttore@poliziaedemocrazia.it
Rosari e crocefissi
di Francesco Neri

Buongusto e sobrietà sembrano diventate ormai parole desuete che rischiano di descrivere comportamenti anacronistici. Eppure ci saremmo aspettati buongusto e sobrietà, a costo di sembrare superati e fuori tempo, da chi ha vestito i panni di ministro, e ha coltivato la non troppo segreta ambizione di fare il presidente del Consiglio. Esibire un crocefisso o brandire un rosario o un vangelo come un’arma mentre si arringa la folla non è solo un gesto volgare di cui francamente non si sentiva la mancanza ma è anche un gesto in netta contraddizione con la frase ripetuta in modo sguaiato “tutti i porti chiusi”. E’ possibile conciliare l’amore per la religione cattolica e per i valori da essa predicati con il sistematico invito a violare i diritti umani dal momento che chiudere tutti i porti vuol dire negare la possibilità di salvare la propria vita a chi è costretto a restare in mare intere settimane senza un approdo sicuro?
Reazioni durissime sono arrivate dalle massime autorità del mondo cattolico: il segretario dello Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin ha detto: “Io credo che la politica partitica divida, Dio invece è di tutti. Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso”.
Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica: “Il comandamento di non nominare il nome di Dio invano chiede di non usarlo per i propri scopi: la coscienza critica e il discernimento dovrebbe aiutare a capire che non è un comizio politico il luogo per fare litanie e in nome di valori che col Vangelo di Gesù nulla hanno a che fare…”
E ancora il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali europee: “Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso. Nessuno può appropriarsi dei valori cristiani”.
C’è qualcosa di stonato, persino di osceno nel gesto di mostrare a favore di telecamera i simboli della religione e aver voluto fortemente il decreto sicurezza, uno e due (per il quale l’Italia ha ricevuto una condanna delle Nazioni Unite, una legge talmente lesiva dei diritti umani che per trovare qualcosa di simile nella storia del nostro Paese bisogna risalire alle leggi razziali del ’38), che ha stabilito, con alcune sanzioni per i soccorritori, il “reato di umanità” e ha scaricato per strada uomini, donne e bambini già inseriti in programmi di integrazione (“col piffero che apro Lampedusa”) perché non è possibile contemporaneamente negare i diritti umani ed esibire provocatoriamente il crocefisso invocando i Santi e la Madonna, richiamandosi ai valori del Cattolicesimo, dimenticando che ce n’è uno che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” (Matteo 22: 37-39).
Papa Bergoglio non ha mai esitato nel giudicare la follia inutile e cattiva dei porti chiusi, l’accanita lotta all’accoglienza, la guerra alle navi di soccorso ONG. Anzi il suo primo viaggio, cinque anni fa, lo ha fatto a Lampedusa, l’isola diventata involontariamente il luogo simbolo della sofferenza di tanti migranti nel Mediterraneo, decidendo di fare la sua prima uscita fuori dalle mura del Vaticano in un luogo simbolo, anticipando alcuni segnali che avrebbero contraddistinto il suo pontificato: attenzione verso gli ultimi, verso le periferie, verso i luoghi del dolore. Per questo motivo anche l’8 luglio scorso il Pontefice ha deciso di celebrare messa nella Basilica Vaticana insieme ad un gruppo di 250 persone tra migranti, rifugiati e volontari. E per questo motivo non ha ricevuto l’ex ministro dell’Interno in camicia verde.

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