Lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria colpisce ancora
e questa volta lo fa a settanta chilometri dalle coste italiane.
Dopo gli attentati al settimanale Charlie Hebdo
e al supermercato kosher di Parigi, a un mese e mezzo
dal duplice attacco al Krudttønden Café e alla sinagoga
di Copenaghen, questa volta nel mirino dell’Is ci finisce
il museo Bardo di Tunisi. Il bollettino parla di ventitré morti
e quarantatré feriti. Polizia e Democrazia fa il punto
della situazione cercando di capire cos’è di preciso il califfato,
cosa vuole ottenere e quali rischi corre realmente l’Italia
Mercoledì 18 marzo, ore 11.30, Tunisi: una cellula jihadista composta da cinque uomini armati di kalashnikov apre il fuoco su un pullman di turisti di fronte alla sede del Parlamento. Subito dopo il primo attacco, il gruppo terroristico si asserraglia all’interno del museo Bardo prendendo in ostaggio oltre cento turisti, tra i quali molti italiani. Dopo oltre due ore di conflitto a fuoco, gli agenti delle Forze speciali tunisine neutralizzano gli attentatori irrompendo all’interno dei locali museali e liberano gli ostaggi. Un atto sanguinario che ha portato alla morte di ventitré persone e al ferimento di altre quarantatré. Nell’attentato hanno perso la vita anche quattro italiani: Giuseppina Biella, Antonella Sesino, Orazio Conte e Francesco Caldara.
Ancora vittime in nome della jihad, dunque, che si vanno ad aggiungere ai diciassette morti per gli assalti alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato kosher Hyper Cacher, alle quattro vittime dell’attentato al museo ebraico di Bruxelles e alle due persone uccise al Krudttønden Café e alla sinagoga di Copenaghen.
Una scia di sangue, quella lasciata dallo Stato islamico, che non accenna ad attenuarsi. Se da una parte negli ultimi dodici mesi l’azione dei carcerieri e dei carnefici di Abu Bakr al-Baghdadi sembra estendersi a macchia d’olio in Siria, Iraq e Libia lasciando sul terreno un numero non quantificabile di morti, dall’altra sembra decisa ad allungarsi sempre di più in direzione dell’Europa. L’attentato di Tunisi svela per la prima volta il doppio fronte sul quale l’armata del califfato vuole stringere la sua morsa. Oltre allo scontro diretto con l’Occidente appare evidente che al-Baghdadi vuole piegare anche quei Paesi arabi che hanno scelto di dialogare con esso. E i numeri sembrano confermare questa tesi. Quello della Tunisia risulta essere per lo Stato islamico un territorio molto fertile dove poter reclutare aspiranti “foreign fighters”, cioè i combattenti stranieri convertiti alla Jihad. Infatti, dal 2011 ad oggi si stima che nel Paese nordafricano, l’unico tra quelli coinvolti dalle primavere arabe ad aver avviato un processo di transazione democratica, siano partiti per la Siria oltre tremila uomini andati in forze al contingente dell’Is. Come spesso accade, però, non c’è solo un aspetto a rendere appetibile un obiettivo. Il confine condiviso con la Libia a sud e la vicinanza a nord con le coste italiane - circa settanta chilometri dall’isola di Pantelleria - rendono la Tunisia il principale punto di accesso al bacino del Mediterraneo.
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