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Luglio-Agosto/2006 - Pubblicazioni
Caso Montesi
Il pensiero dei politici
di

Dal libro di Vincenzo Vasile “Wilma Montesi - La ragazza con il reggicalze” (prefazione di Carlo Lucarelli) edito da l’Unità, riportiamo alcune dichiarazioni che uomini politici dell’epoca fecero sulla vicenda della ragazza uccisa a Torvaianica.

PIETRO NENNI
(all’epoca segretario del Psi) - “Capocotta sarà la Caporetto della borghesia”.

PAOLO EMILIO TAVIANI
(all’epoca sottosegretario agli Esteri) - Sono convinto, scrive Taviani nel suo diario, che Piero Piccioni, indicato come il principale imputato “non c’entri per nulla nella vicenda Montesi. La sera in cui Wilma partì da Roma per Ostia, Piero era sulla costiera amalfitana e poi a Capri con la sua amante, Alida Valli”. E ancora: “Il giorno successivo, Piero restò ancora laggiù; tornò dunque a Roma due giorni dopo la partenza di Wilma per Ostia e si mise a letto. Con la Valli Piccioni non ha certo recitato dei rosari. Né la Valli è donna che si accontenti di ascoltare la musica di Piero Piccioni. Piero è tornato a Roma addirittura ammalato e non aveva la forza di correre a soddisfare l’altra presunta amante che sarebbe rimasta ben due giorni ad attenderlo a Capocotta”. “Ma perché Piero Piccioni non ha subito detto che era fuori Roma nei giorni in cui morì la Montesi? Non voleva che il padre si amareggiasse venendo a conoscenza della sua relazione: una relazione di cui mezza Roma era al corrente e io avevo già appreso, prima degli altri, dagli autisti!”.

GIUSEPPE SARAGAT
- il leader del Psdi e futuro Presidente della Repubblica fu uno dei pochi a non approfittare della situazione per attaccare la Dc. Più tardi scriverà ad Aldo Moro di essere convinto che lo scandalo fu montato ad opera di esponenti della stessa Dc: “L’onorevole Scelba in un colloquio avuto a casa mia ieri prima della settima votazione (per la presidenza della Repubblica, ndr) dopo aver udito le ragioni della mia candidatura e dopo aver inutilmente insistito per il ritiro della mia candidatura a favore di quella dell’onorevole Segni, congedandosi mi diceva: ‘La Dc dovrebbe farti un monumento’ (...) L’onorevole Scelba probabilmente si ricordava che quando si tentò di trascinare la Dc nel fango, colpendola con voci calunniose - voci partite purtroppo dal seno della Dc stessa - nelle persone dei familiari del suo attuale presidente, fui io l’unico fra i capi partito a levarmi per difendere con la verità le condizioni stesse della convivenza democratica”.

ALDO MORO
- Nel memoriale consegnato alle Br prima di essere ucciso, nella primavera del 1978, Aldo Moro scriveva: “Prescindendo dalla prima e più semplice fase della sua vita politica caratterizzata, come è generalmente riconosciuto da dinamismo realizzatore, il nome di Fanfani emerge, essendo allora ministro dell’Interno, in occasione del caso Montesi, il quale sulla base di un’ondata purificatrice che non avrebbe dovuto guardare in faccia a nessuno, coinvolse sulla base di alibi indizi, poi contestati dalla magistratura di Venezia, il senatore Piccioni, una delle persone più stimate della Dc, il quale dové lasciare il posto di ministro, per quella che si dimostrò poi di essere una leggerezza... L’onorevole Fanfani salì rapidamente i gradini della sua carriera politica e finì per assommare in sé in poco tempo tre cariche di grande rilievo quali la segreteria del partito, cui era pervenuto in successione di De Gasperi. La Presidenza del Consiglio e il ministero degli Esteri”.

GIULIO ANDREOTTI
(allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) - Quando un padre gesuita venne al Viminale (allora sede della presidenza del Consiglio, ndr) a farmi leggere l’esposto di una sua penitente (o qualcosa di simile) nel quale si esprimevano gravi accuse contro un personaggio di cui era stata molto amica e che a suo avviso aveva molte frequentazioni di politici e di alti esponenti dell’Amministrazione lessi le prime due righe e gli dissi che non solo non la trasmettevo a De Gasperi, ma che la classificavo tra quelle perdite di tempo che a Roma diciamo che servono a Natale a fare ora per Messa di mezzanotte. Esordiva infatti così: ‘Ugo (Montagna, ndr) se l’intendeva con Claretta Petaci; Mussolini lo sapeva ma non poteva fare nulla perché aveva paura di Ugo’. Il reverendo non si dette per vinto e andò dal ministro dell’Interno. Poiché nell’‘epistola veniva chiamato in causa il capo della Polizia, l’onorevole Fanfani credette suo dovere (per notizia criminis?) attivare un’indagine dei carabinieri che si estese anche alla persona del questore di Roma, indiziato di appuntamenti con ragazze di vita. Tutto sarebbe passato senza conseguenze se non ci fosse stato il morto, anzi la morta. Sul lido di Torvaianica era stato ritrovato il cadavere di una giovane donna e ne venne un intreccio diabolico con le rivelazioni della penitente. Fu chiamato in causa un amico di Ugo, Piero Piccioni, il figlio di uno dei personaggi più autorevoli del governo e della Democrazia cristiana. Può ben immaginarsi l’emozione eccitata da una speculazione a testa bassa messa in campo dai comunisti. Piero finì in carcere, Piccioni padre si dimise e alla Camera risuonava quotidianamente all’indirizzo dei democristiani il grido di ‘capocottari’, riferito a una casa al mare dove Ugo e i suoi amici andavano a ricaricare i fucili da caccia. Nell’estate successiva ero a Grottaferrata quando ricevetti la visita del magistrato che conduceva l’inchiesta giudiziaria. Si scusava per non avermi preavvisato ma voleva che leggessi le conclusioni - colpevoliste - che aveva depositato al mattino. Perché questa visita? Era dispiaciuto perché la stampa lo faceva passare per antidemocristiano, mentre - io non potevo saperlo - sia nel ’48, sia nel ’53 aveva votato per me. Non nascondo che mi sentivo imbarazzato. Gli chiesi se fosse risultato almeno che Piero Piccioni avesse conosciuto la ragazza Montesi. La risposta fu singolare: ‘Lei conosce Piero Piccioni? E’ un compositore di jazz e amante di Alida Valli’. Mi sfuggì un’interruzione: ‘Ma se avesse venduto rosari a piazza della Minerva sarebbe insospettabile?’ Non si scompose. Ribatté che noi politici abbiamo sempre la risposta pronta. Nel volumone che mi lasciò e che lessi non c’erano davvero prove di reato’. Il processo si concluse con l’assoluzione di Piccioni che risultò ovviamente del tutto estraneo alla vicenda. I giudici accertarono anche che il verbale sugli appuntamenti del questore Polito con la ragazza Adriana era un vergognoso falso: tra la finestra dove era appostato il carabiniere e il cancello della casa vi era un intero fabbricato. Il Presidente del Collegio pregò l’avvocato Filippo Ungaro che difendeva Polito di non creare scandalo, tanto ‘aveva capito tutto’. Attilio Piccioni che era il candidato più qualificato alla successione di De Gasperi era ormai... declassato. Dopo una lunga quarantena tornò al governo come ministro. Fanfani tenne a questo perché volle togliere ogni sospetto su sue responsabilità penali nell’affare Montesi. Ed io sono convinto che non fu un suo piano per mettere alle corde Piccioni. Ci fu chi seppe inserirsi perfidamente nella vicenda, iniziata - questo sì - con una eccessiva interpretazione dei doveri di ufficio”.

PIETRO INGRAO
- Il termine “questione morale” fu coniato a proposito dell’affare Montesi nel titolo dell’editoriale dell’Unità pubblicato a firma del direttore Pietro Ingrao, 17 febbraio 1954, di cui riportiamo i seguenti brani: “Milioni di italiani discutono dell’affare Montesi. per molteplici e coloriti che possano essere gli aspetti morbosi, torbidi del caso, questa risonanza eccezionale non si spiega se non collegandola a uno stato d’animo, di cui bisogna prendere atto con franchezza e con coraggio: la convinzione che esista, in una zona della vita pubblica, un gruppo privilegiato, il quale elude impunemente la legge comune... Il caso Montesi ha scavato in questo stato d’animo; ed è facile vedere perché. In primo luogo, intorno alla morte misteriosa della giovane Wilma Montesi, si è avuta chiara la sensazione che le Autorità inquirenti avessero condotto indagini superficiali, limitate, accreditando una versione impossibile. E questo ha duramente colpito l’opinione pubblica, che non comprende come la Polizia abbia potuto appagarsi - e addirittura ostinarsi a una grottesca difesa - di tesi che ripugnano al senso comune, alla osservazione più elementare... A questo punto eravamo però solo a un ‘caso’ giudiziario. Poi, collegate all’affare Montesi, in una successione drammatica sono venute le rivelazioni - o almeno le denunce - circa un torbido settore di affari equivoci, di traffici di droga, di corruzione, che sconfinava nel mondo politico ufficiale. E il caso giudiziario si è mutato in una seria questione morale. E’ vano che il partito dominante protesti. E’ un fatto che le denunce di immoralità e di corruzione, intrecciate al caso Montesi, hanno trovato un terreno fertilissimo in precedenti casi che avevano scosso il cittadino, in una collera largamente diffusa, nella persuasione di illecite, scandalose immunità assicurate oggi in Italia a chi detiene potere e ricchezza”.

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