Associato di Diritto Costituzionale all’Università
di Milano Bicocca, il professor Paolo Bonetti fa per noi
il punto su sbarchi e accoglienza
Polizia e Democrazia ha chiesto al professor Paolo Bonetti, associato di Diritto Costituzionale nell’Università di Milano Bicocca, di fare il punto sulla compatibilità costituzionale della normativa vigente che dovrebbe scoraggiare l’immigrazione clandestina e rendere più sicuro il nostro Paese. Il quadro delineato è desolante e pone in primo piano le responsabilità di una classe politica che finge di non vedere.
Professor Bonetti, da anni ormai il parlare di immigrazione evoca le tragiche immagini dei barconi stracarichi di disperati che approdano sulle coste del nostro Paese per fuggire da guerre e dittature. Molte di queste persone chiedono il diritto d’asilo: in sintesi, in cosa consiste?
In generale il diritto di asilo (che è garantito non soltanto dalla Costituzione italiana, all’art. 10, comma 3, ma anche da tutte le Costituzioni degli Stati democratici e dunque dagli altri Stati europei e dalle norme dell’Unione Europea) comporta per ogni straniero ai quali nel proprio Paese non è garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana il diritto soggettivo all’ingresso e al soggiorno nel territorio dello Stato, a vedere esaminata la propria domanda di asilo e alla accoglienza e assistenza durante l’esame della domanda e fino alla decisione definitiva e in caso siano stati accertati i presupposti di soggiornare nello Stato e di non esserne allontanato.
In base ai d.lgs. n. 251/2007 e n. 25/2008 il diritto d’asilo è riconosciuto in una delle tre forme: status di rifugiato con diritto di soggiorno quinquennale rinnovabile in caso di fondato timore di persecuzioni per motivi etnici, politici, religiosi; status di protezione sussidiaria con diritto di soggiorno quinquennale in caso di pericoli di danni gravi derivanti dal rischio di subire la pena di morte o torture o pene o trattamenti inumani o degradanti o la violenza generalizzata in un conflitto interno o internazionale; permesso di soggiorno annuale per motivi umanitari negli altri casi.
Quale organo valuta se accogliere o rigettare le domande d’asilo e sulla base di quali criteri?
Ogni domanda di asilo è esaminata da una Commissione territoriale per la protezione internazionale, composta da un Prefetto, un rappresentante dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, un rappresentante dell’Ente locale e un rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. I criteri sono precisati dal d.lgs. n. 251/2007 che attua una direttiva dell’Ue e sono basati su un esame individualizzato della situazione di pericolo concreto di subire persecuzione individuale per motivi di razza, lingua, sesso, opinioni politiche, religione, appartenenza ad un determinato gruppo o condizione sociale o di subire un danno grave derivante da pena di morte, torture, pene e trattamenti inumani e degradanti, violenza generalizzata provocata da conflitti interni o internazionali.
Dovendo analizzare ogni singolo caso, sarebbe compatibile con la Costituzione repubblicana, nei casi di emergenza, la pratica dei respingimenti di massa, da molti ritenuti l’unico modo per evitare lo sbarco?
La pratica dei respingimenti o delle espulsioni collettive sarebbe comunque incostituzionale, perché violerebbe il diritto di asilo previsto dall’art. 10, comma 3 della Costituzione, il divieto di trattamenti inumani e degradanti previsto dall’art. 3 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del protocollo IV addizionale alla medesima convenzione e il divieto di respingimento dei richiedenti asilo previsto dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati. Tutte queste violazioni l’Italia le ha già abbondantemente commesse dal 2010 al 2012 con la pratica dei respingimenti in mare, finché una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Hirsi) l’ha definitivamente dichiarata illegittima.
Uno dei passaggi critici nel complesso iter delle espulsioni è rappresentato dalla detenzione presso i Centri di identificazione ed espulsione: chi decide il trattenimento in questi Centri e in quali casi può essere disposto?
Il trattenimento in un Cie dello straniero destinatario di un provvedimento amministrativo di espulsione o di respingimento è disposto dal questore allorché vi siano ostacoli oggettivi all’identificazione o all’effettivo rimpatrio
Potrebbero sorgere, a suo avviso, problematiche di conformità alle disposizioni costituzionali sulla libertà personale?
Sicuramente c’è un grave problema di costituzionalità, perché le norme legislative vigenti sui provvedimenti di respingimento degli stranieri con accompagnamento alla frontiera disposti dal solo questore, sui provvedimenti amministrativi di espulsione disposti dal Prefetto da eseguirsi con accompagnamento alla frontiera disposto dal questore e sui provvedimenti di trattenimento disposti dal questore, violano la riserva di giurisdizione prevista dall’art. 13 Cost. per i provvedimenti restrittivi della libertà personale: quei provvedimenti sono disposti in via ordinaria dalla sola Autorità di Pubblica Sicurezza, mentre l’art. 13 Cost. prevede che provvedimenti restrittivi della libertà personale possano essere adottati soltanto dall’Autorità Giudiziaria, salvo che sussistano casi eccezionali (non ordinari!) di necessità e urgenza, nel qual caso i provvedimenti provvisoriamente possono essere adottati dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, con successiva convalida giurisdizionale entro le successive 48 (+48) ore. Insomma quei provvedimenti o sono radicalmente incostituzionali (come il respingimento disposto dal solo questore per i medesimi casi di ingresso irregolare nei quali lo straniero potrebbe essere destinatario di un provvedimento di espulsione) o sono incostituzionali perché adottati soltanto dall’Autorità di Pubblica Sicurezza invece che dall’Autorità Giudiziaria.
C’è infine una violazione della riserva di legge assoluta prevista dell’art. 13 Cost. circa i modi dei provvedimenti restrittivi della libertà personale: le modalità del trattenimento dovrebbero essere disciplinate soltanto da norme legislative e mai da norme regolamentari o, peggio, da capitolati di appalti, come accade oggi per il trattenimento nei Cie. Tutta questa area della disciplina delle espulsioni e dei trattenimenti in molte parti viola la direttiva Ue sui rimpatri degli stranieri in situazione di soggiorno irregolare. Perciò occorrerebbe una profonda riforma, prima che arrivino le inevitabili sentenze di illegittimità costituzionale.
E’ radicata in molti la convinzione che più immigrazione implichi più criminalità. Ammesso che tale assunto sia vero, ciò non potrebbe essere considerata la dimostrazione che le politiche della sicurezza, nel loro complesso, così come sono state pensate ed attuate da una ventina di anni ad oggi, siano state fallimentari?
E’ molto discutibile che di per sé l’aumento dell’immigrazione straniera comporti un aumento della criminalità. E’ tutto da dimostrare con ricerche empiriche e mi pare che quelle esistenti non lo confermino. In ogni caso occorre ricordarsi che in Italia oggi vivono regolarmente ben 5 milioni di stranieri comunitari ed extracomunitari, sicché occorre sempre guardarsi da generalizzazioni che non spiegano nulla.
Occorre piuttosto chiedersi perché la percentuale di detenuti stranieri sia molto superiore alla percentuale di popolazione straniera. Ciò si spiega per tanti motivi: difficoltà di riuscire a difendersi in modo adeguato (con avvocati preparati e interpreti), persone che compiono delitti quando si trovano in situazione di soggiorno irregolare non riuscendo a mantenersi, persone che non possono o non vogliono scontare la pena nel Paese di origine, persone che appartengono a organizzazioni criminali straniere, che esistono come esistono le note organizzazioni italiane che l’emigrazione italiana ha esportato in tutto il mondo.
Le politiche sulla sicurezza diventano fallimentari se mirano soltanto a contrastare l’ingresso e il soggiorno irregolare degli stranieri e non si curano né di prevedere forme realistiche di ingressi regolari (per lavoro, per asilo ecc.) davvero commisurate alla pressione migratoria, né di prevedere forme e fondi per l’integrazione sociale degli stranieri regolarmente soggiornanti.
Nel 2008 vennero attribuiti ai sindaci speciali poteri di ordinanza con cui far fronte ai fenomeni di degrado urbano. I primi cittadini si sbizzarrirono, adottando provvedimenti con evidenti profili di illegittimità. Per quali motivi, nel 2011, la Corte Costituzionale sancì l’incompatibilità costituzionale di tali poteri?
La Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale le legge che attribuiva ai sindaci il potere di adottare ordinanze in materia di sicurezza urbana perché la legge dava all’Autorità amministrativa un potere quasi illimitato di prevedere obblighi di fare o di non fare, il che violava l’obbligo che tali prestazioni personali siano imposte soltanto dalla legge (art. 23 Cost.) e in modo da rispettare il principio di eguaglianza di trattamento delle persone su tutto il territorio nazionale. Se la legge statale vorrà, potrà essa stessa prevedere in modo uniforme e generale talune limitazioni restrittive della libertà di circolazione e soggiorno per motivi di sicurezza e di incolumità pubblica.
Quale può essere la “via costituzionale” per coniugare le politiche di sicurezza con quelle di accoglienza?
La sicurezza consiste anche nella certezza di potere esercitare i propri diritti fondamentali e eventuali limiti all’esercizio dei diritti fondamentali possono essere previsti per tutti soltanto quando ciò serve a tutelare i diritti fondamentali altrui e ad adempiere agli obblighi costituzionali. Altrimenti si giunge all’assurdo che per tutelare la sicurezza di alcuni si fa fuori la sicurezza di altri, ma la vera sicurezza o è di tutti coloro che abitano su un determinato territorio o non è di nessuno: non potrà mai vivere nella sicurezza una società attraversata da centinaia di migliaia di persone che vivono nell’insicurezza.
Dare sicurezza agli stranieri regolarmente soggiornanti e una progressiva parità di trattamento coi cittadini (come prevedono le norme Ue) rafforza la coesione sociale e previene ghettizzazioni ed emarginazioni che possono costituire un focolaio di risentimenti e di reazione anche criminale.
Una diversa organizzazione delle Forze di polizia potrebbe a suo avviso essere funzionale a politiche della sicurezza più efficaci?
L’attuale assetto delle Forze di polizia statali e locali è del tutto irrazionale, inadeguato alle nuove esigenze e comporta sprechi e inefficienze che mettono in pericolo il buon andamento dell’Amministrazione (previsto dall’art. 97 Cost.) e rendono difficile un effettivo mantenimento della sicurezza pubblica. Invece che cinque Forze di polizia statali (scenario non previsto in nessuno Stato europeo) sarebbero sufficienti due Corpi di Polizia statale (una nuova Polizia di Stato, Corpo ad ordinamento civile e a competenza generale, ma con molte specialità e una nuova Arma dei Carabinieri, che oltre a svolgere compiti militari potrebbe svolgere in via esclusiva quei compiti di Polizia giudiziaria e di sicurezza che sono più vicini alla difesa dello Stato e delle Istituzioni); gli altri Corpi statali dovrebbero essere accorpati agli altri due e si dovrebbero trasferire al ministero dell’Interno tutti i compiti strumentali, finanziari e di formazione; si dovrebbe anche provvedere ad un riordino dei Corpi di Polizia locale e alla disciplina del coordinamento delle funzioni statali e regionali in materia di sicurezza come prevede l’art. 118 della Costituzione.
A ciò si aggiunga che occorrerebbe semplificare, riformare e accorpare tutte le norme in materia di ordine pubblico e sicurezza e per renderle conformi alla Costituzione. Per fare tutto ciò occorrerebbe una legge delega che riordini l’intero sistema.
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PAOLO BONETTI - E’ professore associato confermato di Diritto costituzionale presso il Dipartimento di Scienze giuridiche nazionali e internazionali dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, dove insegna anche Istituzioni di Diritto pubblico e Diritto regionale. Svolge regolarmente ricerca su: sicurezza e Forze di polizia, terrorismo e diritti fondamentali, emergenze e costituzioni democratiche, diritti sociali.
E’ socio del Gruppo di Pisa e di Astrid (Fondazione per l'analisi, gli studi e le ricerche sulla riforma delle Istituzioni democratiche e sull'innovazione nelle Amministrazioni pubbliche).
Collabora con le riviste “Quaderni costituzionali” e “Diritto immigrazione e cittadinanza” promossa da Asgi e Magistratura democratica.
Ha all’attivo numerosissime pubblicazioni, tra cui: La condizione giuridica dello straniero, in La condizione giuridica dello straniero nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Giuffré; Il diritto di asilo nella Costituzione italiana, in C. Favilli (a cura di), Procedure e garanzie del diritto di asilo, Cedam; Trattamento giuridico dell'immigrazione e disciplina dell'immigrazione, in V. Onida, & B. Randazzo (a cura di), Viva vox constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell'anno 2008, Giuffrè.
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