Quest'anno in Italia dal Mediterraneo sono arrivate
oltre centomila persone. Per la professoressa Morviducci
alcune norme sono inadeguate; intanto molti disperati
muoiono durante i viaggi della morte. L'Unhcr: «Crisi
umanitaria senza precedenti»
Erano gli ultimi giorni di agosto quando a Pozzallo, nel ragusano, 290 migranti lasciavano il Centro di prima accoglienza per far posto ad altri 440 profughi. Quel giorno l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) comunicava i numeri della tragedia che si stava verificando tra l'Italia e le coste del nord Africa.
Tenendo presente che dopo quella data sono arrivati altri immigrati, il dato principale è che il nostro Paese è quello che conta il maggior numero di arrivi di immigrati dal Mediterraneo. 108.172 le persone sbarcate fino al 24 agosto, oltre il 50 per cento in fuga da guerre, violenze e persecuzioni. In Grecia il numero si riduce notevolmente: 14.800. Poi c'è la Spagna con circa 1.100 immigrati e Malta con 308.
Sempre nello stesso giorno del trasferimento dei migranti, la Polizia arrestava un uomo originario del Gambia perché ritenuto lo scafista del barcone sul quale c'erano 18 migranti morti e 97 sopravvissuti, arrivati poi a Pozzallo a bordo della nave militare Sirio. Oltre al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina l'uomo è anche accusato del reato di morte come conseguenza di un altro delitto. Tra gli immigrati c’era anche un diciassettenne, anche lui del Gambia, che non vuol fare lo scafista, vuole una vita ‘normale’, sogna di fare l'idraulico in Italia. «In Libia - dice - ti prendono e ti rubano tutto. Anche i bambini sono armati e violenti». Per sopravvivere è stato costretto a dividersi dalla famiglia e fuggire.
Dunque non solo numeri perché ognuna di queste vite rappresenta una storia di speranza o di criminalità. Donne, uomini, bambini, almeno 14mila i minorenni che sono riusciti a raggiungere le nostre coste nei primi sette mesi del 2014, di cui 8.600 non accompagnati o separati dalle famiglie.
Ma il dossier non si ferma ai numeri: «il principale Paese di partenza per l'Europa è la Libia - sostiene l'Unhcr - dove il peggioramento della situazione ha favorito la crescita del traffico di persone, ma ha anche spinto i rifugiati e i migranti ad affrontare la rischiosa traversata in mare piuttosto che rimanere in una zona di guerra».
All'ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite di Tripoli «ogni giorno arrivano chiamate da rifugiati, richiedenti asilo e altre persone vulnerabili che esprimono timori per la propria vita e chiedono disperatamente cibo, acqua, medicine e di essere trasferiti». Chiedono beni primari.
Il dato più scioccante però è quello dei morti: 1.889 a fine agosto, a giugno se ne contavano 1.600 (poi si sono rovesciati tre barconi). Un dato che riflette quello degli immigrati sbarcati in Italia che sono raddoppiati rispetto al 2013 quando ce l’hanno fatta circa 60.000 profughi mentre nel 2014, sempre fino al 24 agosto, sono state salvate 124.380 persone.
Migliaia di esseri umani in fuga per sopravvivere ma l'Italia oggettivamente non ce la fa a sopportare questo carico, un esodo che potrebbe assumere dimensioni ulteriormente inquietanti. C'è bisogno del sostegno, immediato, della comunità nella quale viviamo e cioè dell'Unione Europea che però sembra essere assai unita nelle regole economiche ma colpevolmente evanescente nelle azioni da compiere.
Frontex è l'istituzione dell'Unione Europea che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati dell'Ue e attua gli accordi con i Paesi confinanti per la riammissione dei migranti respinti. A novembre iniziano a prendere corpo i nuovi accordi dell'agenzia dell'Ue.
«Frontex plus aiuterà a pattugliare i confini delle acque territoriali – spiega la professoressa Claudia Morviducci, docente di Diritto dell'Unione Europea -, però se è vero quello che è stato anticipato dalla commissaria Maelstrom, bisogna dire che si tratta di mezzi ridotti: due aerei, un elicottero, tre motovedette, due gommoni e piccole imbarcazioni. Si pensava che Frontex dovesse sostituire Mare Nostrum ma non è così, al massimo può coadiuvare lo sforzo italiano».
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha affermato che saranno distrutti i barconi della morte. Un annuncio quanto meno curioso dato che questi barconi dovrebbero comunque essere sequestrati, non trova professoressa?
Certo, però non ho capito alla distruzione di quale barconi si riferisse il Ministro, se a quelli giunti in Italia o, ma in quel caso non si capisce a quale titolo potremmo intervenire, ai barconi in partenza. Nel caso, occorrerebbero accordi con gli Stati da cui muovono.
C'è chi invece auspica, come l'ex ministro Cécile Kyenge, degli 'avamposti', sedi distaccate dove svolgere le pratiche delle autorità dei Paesi membri dell'Unione.
In effetti, una proposta ampiamente condivisa è quella di istituire uffici dei vari Stati dell’Unione per individuare gli aventi diritto all’asilo o alla protezione internazionale sui territori dei Paesi da cui queste persone partono. In tal modo, inoltre, sarebbe più agevole tenere conto delle scelte che queste farebbero rispetto al Paese cui chiedere asilo, evitando così che lo Stato di arrivo dei barconi si debba fare carico dell’istruzione di tutte le pratiche di riconoscimento e della concessione dell’eventuale asilo.
E’ noto come molti immigrati preferirebbero presentare la domanda di asilo in Paesi diversi dall’Italia. Il sistema attuale di individuazione dello Stato competente a istruire e decidere sulla domanda, pur aggiornato, non pare congruo alle difficoltà che si presentano per il nostro Paese.
Quali sono le procedure che si attivano nel momento in cui arrivano questi barconi?
Bisogna distinguere due aspetti. Infatti, le persone che arrivano sui barconi possono essere meri immigrati o richiedenti protezione internazionale, e sono oggetto, per quanto riguarda il diritto dell’Unione, rispettivamente delle norme relative alla politica di immigrazione e di asilo. C'è una notevole differenza, anche se non sempre è facile capire a quale aspetto appartiene chi scende da un barcone.
La questione rilevante è che se si tratta di persone che chiedono l'asilo o comunque protezione internazionale, l'Italia si trova soggetta a una serie di obblighi di carattere internazionale dettati dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati con i relativi protocolli e una serie di direttive adottate a partire dal 2000. Diverso invece è il caso di quanti non sono qualificabili come rifugiati.
Gli immigrati clandestini?
Non necessariamente tutti coloro che sbarcano vanno distinti tra aventi diritto allo stato di rifugiato e clandestini. Non bisogna infatti confondere l'immigrato che deve essere tutelato perché proviene da uno Stato nel quale è perseguitato o in grave pericolo, con chi cerca condizioni di vita migliori. Si possono distinguere sostanzialmente tre situazioni; chi è un rifugiato in senso proprio perché perseguitato, chi si trova in pericolo e chi può essere considerato in senso lato 'immigrato clandestino'. Chi rientra nelle prime due categorie non solo deve essere ammesso nel territorio dell’Unione dove può restare finché non viene meno lo stato di persecuzione o pericolo ma gode anche di una serie di norme relative al trattamento per l'inserimento nel mondo del lavoro, alle prestazioni sociali ecc. quindi essenziale è verificare se la persona che sbarca è perseguitato o in oggettivo pericolo qualora tornasse nel Paese di origine.
Come riconoscere un perseguitato?
L’Unione ha dettato una serie di norme in materia, tra cui una direttiva che viene definita 'Procedura'. Qualora la persona che dichiara di avere diritto all'asilo o alla protezione internazionale sussidiaria sia priva di documenti che provino il suo diritto, essa comunque sosterrà un colloquio con un'autorità italiana. Al colloquio deve essere presente un funzionario dell'Alto Commissariato per i rifugiati che ha il ruolo di garante. Si tratta della prima fase per comprendere da dove arriva la persona e controllare così se l’interrogato è a rischio di persecuzioni o in pericolo.
Un ruolo importante lo svolgono gli interpreti che spesso riescono a comprendere il luogo di provenienza della persona anche dai vari 'dialetti'.
Se l'immigrato però non riesce a dimostrare di avere diritto all'asilo o a essere protetto cosa accade?
In caso di rifiuto del diritto all'asilo, che deve essere motivato, c’è il diritto ad impugnare il diniego dinanzi a un giudice. Chi è già stato respinto una volta e tenta nuovamente di chiedere protezione in Italia viene escluso qualora non possa provare che la sua situazione è cambiata.
Che tipi di situazioni si presentano?
Come accennato, vi sono vari motivi per cui ci si imbarca per giungere in un Paese dell’Unione. Tra chi arriva, c'è chi ha effettivamente diritto in quanto rifugiato vero e proprio (e cioè perseguitato nel Paese di origine, da parte dello Stato stesso o di gruppi contro la cui azione lo Stato non riesce a garantire protezione, si pensi ai cristiani perseguitati in quanto tali dall’Isis in territorio siriano o iracheno) e chi ha comunque bisogno della protezione internazionale sussidiaria.
Questa è una figura introdotta dal diritto dell’Unione e dà diritto a non essere respinti nel Paese in cui si corre pericolo, mentre la Convenzione di Ginevra protegge solo i perseguitati.
Ci sono vari motivi per cui un immigrato è perseguitato. Sotto l'aspetto del diritto quali sono?
I motivi di persecuzione possono riguardare la razza, la religione, la nazionalità, l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale o le opinioni politiche. Secondo una direttiva del 2008, per appartenenza a un gruppo sociale si intende anche l’orientamento sessuale. Quindi, un omosessuale che sia effettivamente perseguitato per questo motivo nel suo Paese, può chiedere asilo ai sensi della Convenzione.
Ecco appunto. A chi lo chiedono?
Ovviamente a un Paese che possa garantire la cessazione delle persecuzioni, un cosiddetto Paese sicuro. E dato che tutti i Paesi dell’Unione Europea sono 'sicuri', in astratto, si può chiedere asilo a uno qualsiasi di questi Stati.
L'Unione Europea e ancor prima gli Stati membri della Comunità Europea si sono posti il problema di evitare oneri eccessivi derivanti dal fatto che molti aspiranti all'asilo approfittavano dell'orientamento diciamo 'liberale' di alcuni Paesi, che venivano così subissati di domande; spesso poi venivano presentate domande in più Paesi, moltiplicando le procedure. Nel 1990 fu redatta una prima convenzione, la 'Dublino 1', nella quale si stabiliva che in via di principio il primo Stato dell’Unione cui arrivava il richiedente asilo era competente ad esaminare la domanda e, nel caso, ad accoglierlo. Il principio è quello dell’unico Stato competente.
Vorrei specificare che il modo 'normale' contemplato dalle direttive e dai regolamenti di chiedere asilo o protezione, consiste nell’entrare legalmente nel Paese europeo (o presentarsi comunque a una sua frontiera), qui presentare la domanda di asilo. L’afflusso di migranti sui barconi costituisce un’eccezione, una patologia del sistema, per la quale le soluzioni, soprattutto procedurali, non sempre si mostrano adeguate.
Come reagiscono gli Stati a questa normativa?
Gli Stati non sono ovviamente contenti di assumersi gli oneri dei rifugiati, quando il loro numero è cospicuo, anche perché le pratiche relative alle domande durano parecchio e nel frattempo, dato che si 'suppone' che i richiedenti siano rifugiati, devono essere accolti, concedendo un trattamento minimo fissato da una direttiva dell’Unione.
Quindi essere lo Stato di prima accoglienze diventa oneroso, e l'Italia ovviamente ne sa qualcosa. Esistono però dei criteri correttivi, volti soprattutto a permettere una migliore integrazione dei rifugiati nei vari Paesi europei: quindi, se un possibile rifugiato ha un congiunto che vive o lavora in Europa, o a maggior ragione se è un minore che cerca un ricongiungimento familiare, lo Stato competente varia.
Mettiamo il caso che una persona dichiara di essere rifugiato ma non riesce a provarlo e viene trovata in un Paese diverso da quello di prima accoglienza, cosa accade?
Dipende. In via di principio, ai sensi del regolamento Dublino III, lo Stato in cui il clandestino è entrato in Europa, è competente a decidere sulla sua domanda per un anno e quindi questi dovrebbe rientrare. Se però è decorso l’anno dall’ingresso, o non si riesce ad appurare da dove il clandestino è entrato, diventa competente lo Stato in cui il soggetto ha vissuto per almeno 5 mesi consecutivi. Quindi, ad esempio, un'clandestino' proveniente dalla Siria, sbarcato in Italia a giugno e ritrovato in Francia ad agosto, deve essere rimandato nel Paese di prima accoglienza.
A questo principio la giurisprudenza ha posto dei correttivi per i casi in cui il Paese dell’Unione nel quale si debba essere rinviati non ottemperi alle norme internazionali ed europee sull’asilo e la protezione internazionale sussidiaria. Una sentenza della Corte di giustizia di fine 2011 ha affermato che i principi del Regolamento Dublino II non si applicano nel caso in cui le persone che devono essere rinviate (nel caso la Grecia) non rispettino sostanzialmente le norme sull’asilo, adottando criteri troppo restrittivi. La Corte in pratica ha fatto prevalere la tutela dei diritti dell'uomo sulla lettera del regolamento.
Oltre alla Grecia ci sono vari Paesi che si comportano in questo modo. Torniamo a pensare ai siriani che scappano e si rifugiano nel nostro Paese.
In Siria in questo momento infatti è impossibile rimandare gli immigrati che arrivano da lì. Basta provare di essere siriani e rimangono in Italia.
Non in Siria?
No perché per un principo di non refoulement, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha spesso affermato e l’Unione recepisce, non è mai possibile rinviare una persona in un Paese in cui possa essere perseguitata o in cui corra pericolo di morte o di lesioni o di pene degradanti ecc.
E se non ha alcun diritto?
Viene rimandato in Italia. A questo punto, se si appura che si tratta di un clandestino, non perseguitato e non avente diritto alla protezione internazionale, l’Italia, accertata la sua nazionalità, lo espelle verso il Paese di origine, ovviamente se questo non è un Paese dove corra i rischi indicati.
A si?
Il problema deriva dal sistema Shengen, che ha abolito le frontiere tra i Paesi membri dell'Ue a condizione che questi si impegnino a garantire le frontiere esterne. Sostanzialmente non ci deve essere nessun extracomunitario nell'Ue senza che uno Stato membro abbia dato l'autorizzazione a entrare.
Le norme devono essere interpretate ma il principio è chiaro.
Sì, ma i problemi interpretativi sono spesso rilevanti. Tornando ad esempio alla protezione internazionale, è vero che la persona che afferma di essere in pericolo non può essere rimandata nel proprio Paese a rischio ma la norma dice anche che questo rischio deve essere individuale, non concernere chiunque si trovi in un certo Paese, ma la persona implicata in particolare. E qui sorge il problema di provare che il pericolo riguarda proprio quel clandestino In alcuni casi è facile, in altri invece è molto difficile.
La Corte di giustizia poi ha emesso una sentenza chiara: quanto maggiore è il rischio di essere ucciso o subire gravi pene, tanto meno è necessario individuare il pericolo.
Ma gli Stati seguono queste regole?
C’è un contenzioso abbastanza ampio in materia, ma in generale si tratta di casi sporadici, con l’eccezione della Grecia cui si è fatto sopra cenno.
Oltre alla Grecia ci sono vari Paesi che si comportano in questo modo. Torniamo a pensare ai siriani che scappano e si rifugiano nel nostro Paese.
In Siria in questo momento infatti è impossibile rimandare gli immigrati che arrivano da lì. Basta provare di essere siriani e rimangono in Italia.
Ma allora, se uno volesse (diciamo) 'farla sporca' potrebbe comportarsi come la Grecia?
In teoria sì. Però almeno per noi ostano due considerazioni. La prima è che la pressione politica internazionale è comunque forte e si potrebbero aprire delle procedure di infrazione davanti alla Corte di giustizia e alla Corte Cedu. Inoltre, l’obbligo di rispettare le Convenzioni e il diritto dell’unione in Italia ha rango costituzionale e i magistrati potrebbero sindacare un operato non appropriato dell’amministrazione.
Anche l'Italia è a rischio sanzioni?
Noi siamo accusati di non identificare i richiedenti asilo, cui all'arrivo dovrebbero essere prese le impronte digitali da inserire in un database e ci accusano di lasciarli allontanare.
Non identificare gli immigrati però dovrebbe essere illegale...
Certo.
Ma il fatto che non vengono identificati è provato?
Diciamo che alcuni Paesi ci accusano di questo.
L'Italia a sua volta però potrebbe accusare gli altri Paesi membri dell'Ue di scarso aiuto nella difesa del confine che è anche quello dell'Unione.
In realtà l'Italia viene accusata di spendere male le somme versate dall’Unione e spesso alla richiesta di sovvenzioni l'Ue risponde che il denaro è già stato elargito, ma è stato speso male, respingendo così la tesi Italiana.
A mio avviso ci sono situazioni strane perché alcuni dei fondi vengono dati in funzione dell'area di pattugliamento che viene garantita. Bisogna però considerare, a questo proposito, dell’onere particolare che l’Italia si assume, surrogando anche l’opera, spesso insufficiente, svolta da Malta.
Ecco appunto: Malta non è l'Italia.
Certo ma la domanda è: perché a Malta arriva un numero molto minore di barconi? Da fonti di stampa si direbbe che Malta non li soccorre, 'deviandoli' verso le coste italiane.
Se questo è un fatto conosciuto, l'Europa come si comporta di conseguenza?
L'Europa è in grave difficoltà perché deve avere le prove per iniziare una procedura d'infrazione.
Beh l'Italia le può fornire...
Credo ci sia la tendenza a convincere piuttosto che a far sanzionare gli Stati. L'errore a mio avviso è stato credere che Malta, con gli scarsi mezzi che possiede,potesse controllare una zona di mare così ampia. Forse non è neanche cattiva volontà è che proprio non è in grado di rispondere ai suoi impegni.
Cosa ne pensa di Mare Nostrum?
Bisogna innanzi tutto chiarire che non è una missione che rientra nelle funzioni imposte dall’Unione Europea. Il principio infatti è che ogni Stato deve controllare le proprie frontiere perché sono quelle dell'Unione; ma appunto la frontiera italiana coincide col limite delle acque territoriali. L’Unione è tenuta ad aiutare un Paese membro se questo controlla le proprie acque territoriali, ma se, per ragioni umanitarie, l’Italia decide di pattugliare il Mediterraneo assistendo i barconi in difficoltà, questa è una scelta autonoma. Una scelta rispettabile ma non in linea con quello che l'Ue chiede di fare.
E' però una scelta umanitaria quella del nostro Paese.
Certo, soprattutto dopo l'emozione degli sbarchi con centinaia di morti. Dopo quelle tragedie l'atteggiamento italiano è cambiato perché, oltre a controllare e accogliere i barconi nel mare di competenza italiana, si è deciso di andare loro incontro oltre le acque territoriali. Tutto questo possiamo farlo ma esula dall'Unione Europea. E' una scelta nostra.
Sembra allora che l'Europa sia poco solidale.
Lo è abbastanza poco. Tutti dicono che Mare Nostrum è una bellissima iniziativa ma nessuno vuole accollarsi le spese.
Una situazione veramente inquietante. Tutto questo aiuta la tanto decantata integrazione culturale e sociale in Europa?
Temo proprio di no. L'Europa ha svolto una funzione importante fino ai primi anni del 2000, promuovendo una politica mediterranea globale, in cui si integravano anche le problematiche dell’immigrazione extracomunitaria, con la conclusione di accordi in materia con i Paesi terzi rivieraschi. Ora sembra non essere in grado di proseguire questa politica e di essersi richiusa in se stessa, primo per provvedere alle conseguenze dell'allargamento ad est poi a causa della crisi economica e infine per il deterioramento geopolitico dell’area situata alle sue frontiere orientali e meridionali.
In pratica il suo ruolo come principale attore internazionale della cooperazione allo sviluppo si è molto ridimensionato, e ciò incide anche sulla efficacia della sua politica migratoria.
Nel frattempo giungono notizie di altri sbarchi e di altre vittime e si alza il grido dall'allarme anche dell'Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni): a metà settembre ottocento morti in cinque giorni. E la strategia dell'Europa continua a essere fragile.
Sembra che Mare Nostrum a novembre lascierà il posto all'operazione Triton targata Ue ma, c'è anche in questo caso un ma: «dipenderà dalla disponibilità economica e dalla volontà di partecipare dei Paesi membri dell'Unione», ha affermato il direttore esecutivo Jil Arias. In attesa di decisioni efficaci l'Unhcr ricorda che stiamo vivendo «una crisi umanitaria senza precedenti».
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