Qual è il lavoro di documentazione che hai fatto per scrivere questo libro?
Il mio è stato un lavoro da cronista. Solo che invece di ricostruire una semplice storia di cronaca ho ricostruito la vita di una donna.
Vita pubblica e privata. Ho cominciato con le persone, con i ricordi raccolti in presa diretta dagli amici, dal fratello e dai colleghi. Grazie all’aiuto dei colleghi e ad alcune relazioni, lettere di servizio, incarichi di missione ho tracciato la sua carriera. Grazie al fratello e alla famiglia Mormile ho, invece, avuto l’occasione di leggere diari, lettere private e anche “L’Isola”, un racconto autobiografico scritto da Armida Miserere.
Come sei stata accolta dalle persone che hanno conosciuto Armida e che hai intervistato?
All’inizio la reazione comune è stata la diffidenza. Armida parlava poco del suo lavoro con gli amici e con il fratello. Iole, Luigi, Edmondo, Domenico quindi all’inizio erano intimoriti a dividere con me i loro ricordi. Non parliamo dei colleghi della Miserere: tutti guardinghi.
Il mondo del carcere è difficile da “osservare” dall’esterno. Chi non ne fa parte viene tenuto a debita distanza, per una inviolabile legge non scritta. Ma alla fine, paradossalmente, mi ha aiutato proprio Armida. Lei infatti solo con Umberto – Mormile- si è sempre aperta; a tutti gli altri, amici o colleghi, invece aveva concesso, negli anni, solo un parte di sé.
Dopo la sua morte, improvvisa, terribile, intessuta di misteri, rabbia e dolore, chi le voleva bene aveva una gran voglia di capire, di mettere insieme i pezzi mancanti.
Io, pur essendo un’estranea, sono diventata l’elemento per dare un senso ai ricordi sparsi e cercare di trovare delle risposte comuni. Ho tenuto sempre tutti al corrente di ogni mio passo, di ogni mia scoperta e alla fine, i protagonisti del libro sono diventati anche un po’ gli scrittori, con me. Iole e Luigi, per esempio, hanno corretto le bozze. Edmondo mi ha aiutato con le ricerche. Domenico ha dolorosamente recuperato i diari di Armida, tra scatole e pacchi in cantina.
Nei ringraziamenti del libro spieghi che i parenti e gli amici di Armida l’hanno riconosciuta pienamente. Cosa rispondi a coloro che hanno scritto che la tua è una versione romanzata della sua vita?
Chi ha conosciuto Armida Miserere sa che la sua vita era un romanzo già scritto.
Per me è stato doloroso leggere questo libro, sei riuscita a rendere le due essenze, la vita e la morte, contro cui ha lottato Armida tutta la vita. A te cosa ha lasciato?
Per due anni ho vissuto due vite, la mia di giorno e quella di Armida di notte (quando scrivevo).
Mi ha lasciato la sua forza e la sua fragilità, la sua ironia, la sua voglia di sfidare i limiti, la sua capacità di affrontare i problemi sempre di petto, e la paura, la paura di dedicare la propria vita a un lavoro, senza accorgerti che il lavoro a volte ti usa, ti consuma e quando sei troppo fragile per difenderti, ti annienta.
Quali reazioni hai avuto dal mondo carcerario?
Miserere è nelle librerie da un mese. Qualche giorno fa mi è arrivata una mail. Mi ha scritto la direttrice di un carcere del nord Italia chiedendomi informazioni sul libro, perché ne aveva sentito parlare da un detenuto. Un carcerato che aveva conosciuto Armida a Palermo quasi dieci anni fa e “non l’aveva mai dimenticata”.
Armida Miserere, con il mio libro, è tornata in carcere, tra i detenuti.
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