Cinque milioni di stranieri in Italia, più del 65% (intorno ai 2 milioni)
soggiornanti di lungo periodo con permesso di soggiorno europeo.
Un fenomeno da interpretare e gestire perché già ben regolamentato
in maniera sistemica, secondo Paolo Bonetti professore di Diritto
Costituzionale all'Università Bicocca di Milano e membro
dell'Associazione studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi)
L’Europa cambia e le nazioni cedono sotto il peso dell'incapacità e non volontà di gestire in maniera sistemica il traffico di migranti.
L'Unione Europea ha da tempo stabilito una serie di norme sull'attraversamento delle frontiere, norme comuni che orientano e disciplinano tutta una serie di ingressi per soggiornanti di lungo periodo, per studio, ricerca scientifica, lavoro non altamente qualificato e ricongiungimento familiare.
A spiegarlo, Paolo Bonetti, professore di Diritto Costituzionale alla Bicocca di Milano e membro dell'Asgi, l'associazione che da tempo cura gli interessi di stranieri e migranti nel nostro Paese.
«Il Mediterraneo è da molti anni circondato da situazioni di grave instabilità ed è un mare facilmente navigabile. Nel momento in cui si decide quanto stanziare per l’immigrazione si prende una decisione politica. Gli altri Paesi si preoccupano delle loro frontiere. Davanti a picchi anche di 450mila richiedenti asilo, la Germania si è attrezzata. Stessa cosa ha fatto la Francia. Hanno previsto, nei loro bilanci, cifre maggiori per l’accoglienza dei richiedenti asilo. Noi invece abbiamo 8mila chilometri di coste, sul mare più navigabile che esista, e non siamo preparati». Bonetti ha poi aggiunto che «dobbiamo affrontare il problema in modo più completo e pensare all’accoglienza come prevedono i regolamenti europei, perché il rischio è che senza l'ombrello giusto, avendo le Amministrazioni sottovalutato i nuovi flussi migratori ritenendoli momentanei e non strutturali, l'Italia sia colta dal diluvio».
In merito ai criteri di determinazione dello Stato competente a esaminare le domande di asilo, invece, Bonetti chiosa: «Per modificare i regolamenti manca la volontà degli Stati membri, e il risultato futuro è senz'altro molto incerto. Bisogna invece applicare la Costituzione italiana che all’articolo 10 stabilisce il diritto d’asilo a chiunque, nel proprio Paese, non abbia garantito l'effettivo esercizio delle libertà democratiche. Prima di parlare delle responsabilità degli altri, l’Italia ha quindi l’obbligo costituzionale di dare asilo, considerando che le persone in fuga da situazioni simili coprono il 70% del totale dei flussi migratori».
Diritto d’asilo, Italia in panne
Recita la normativa: “Lo Stato membro, nel quale la persona è entrata per la prima volta in modo irregolare, è responsabile per 12 mesi di esaminare la sua domanda di asilo".
Il Trattato di Lisbona racchiude in sé molte politiche uniche europee in materia d’asilo, e il regolamento Dublino III stabilisce il principio generale per cui spetta allo Stato di primo ingresso la responsabilità di esaminare la domanda di accoglienza del richiedente, insieme ad altri criteri di competenza.
«In base alla legge italiana e alle norme internazionali – spiega il docente della Bicocca - non si può espellere uno straniero irregolare se proviene da uno Stato in cui è in atto un conflitto o una persecuzione, e che anche a fronte di una mancata richiesta d'asilo avrebbe comunque diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Tuttavia – aggiunge Bonetti - in base all'art. 5 del regolamento Schengen questo ingresso, consentito in Italia in deroga ai requisiti generali, dovrebbe essere segnalato agli altri Stati membri e dovrebbe valere soltanto per l’ingresso e il soggiorno in Italia. Perciò non identificarli e lasciarli andare informalmente in altri Stati significa non rispettare le norme europee sui controlli alle frontiere. Quindi, il problema è nazionale, perché il diritto di asilo c'è, e da molti anni».
Esistono tre direttive: riconoscimento della protezione internazionale, procedure di esame delle domande di asilo e accoglienza dei richiedenti. In più, due regolamenti: uno sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare le domande, e l'altro su Eurodac, il sistema europeo di gestione delle impronte digitali dei richiedenti asilo.
Ma i richiedenti asilo non vogliono fermarsi in Italia
I richiedenti asilo non vogliono fermarsi in Italia, perché il nostro Paese non rispetta la direttiva europea sull’accoglienza, sia in termini di alloggio che di assistenza. «Il problema è la sottostima dei numeri. Per attuare la direttiva, l’Italia ha istituito lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che è un’ottima cosa: centri di accoglienza standard con un numero sostenibile di ospiti, che offrono alloggio, orientamento, assistenza per la presentazione delle domande di asilo, istruzione della lingua italiana, formazione professionale e lavorativa».
La rete dei centri Sprar è finanziata dal Fondo Nazionale per le Politiche e i Servizi dell’Asilo (gestito dal ministero dell’Interno) che eroga contributi a quegli Enti locali che presentano progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. Tale fondo è finanziato pubblicamente con stanziamenti in Bilancio e da contributi erogati dal Fondo europeo per i rifugiati.
Quindi l'Italia dispone sia dei contributi europei, sia dei finanziamenti pubblici in quota fissa da decreto ministeriale, che vengono stanziati dopo che il Viminale annualmente traccia una stima di quanti possano essere i richiedenti asilo.
Inoltre, fino allo scorso agosto, vi erano solo dieci Commissioni per l’esame delle domande di asilo, un gap che allungava l'esame di ogni pratica. Solo un mese fa, con decreto legge, ne sono state istituite 50 (20 commissioni più 30 eventuali sezioni aggiuntive) e il Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo è stato aumentato.
Esiste poi un’altra direttiva europea, la 55 del 2001, che prevede la cosiddetta protezione temporanea di un anno in caso di afflusso massiccio di sfollati nell’Unione. Una direttiva fino ad ora inutilizzata, perché presuppone l'ok del Consiglio europeo.
La direttiva c’è, ma non si vede
Se venisse attivata, gli Stati membri dovrebbero cooperare nella gestione di flussi di persone, anche prendendosi in carico quote di migranti e aiutando i Paesi di prima destinazione come l'Italia. «Il problema – spiega Bonetti - è che in questo momento la geografia delle crisi e degli esodi di massa è spaventosa. Chi aiutiamo per primi, gli individui in fuga dalla Libia, dall’Iraq, dalla Siria? Oppure, attendere che la Turchia, che ha accolto 1,5 milioni di profughi siriani, decida di trasferirli in Bulgaria o Grecia?»
Di passaggio in Italia per ricongiungersi alla famiglia in altri Paesi
Regolamento di Dublino: “I migranti devono poter andare nel Paese dove risiedono già gli altri parenti”.
L'Italia per rispondere positivamente al diritto al ricongiungimento familiare ha 45 giorni di tempo. Se, ad esempio, una famiglia siriana vuole andare in Germania per via dei parenti, l’Italia deve interpellare la Germania che deve rispondere entro quell'arco di tempo.
La domanda da porsi, secondo Bonetti è: “Perché non 45 minuti?”
Questo per dire che i tempi sono troppo lunghi. Se fossero accorciati, l’Italia non dovrebbe occuparsi della loro accoglienza. «La Commissione europea deve migliorare e velocizzare le procedure – aggiunge -. Anche perché è il 90% dei richiedenti asilo che entrano in Europa a transitare dall’Italia».
Perché per poter ottenere l'Asilo non si dà la possibilità ai migranti di arrivare direttamente nei Paesi agognati? Perché per regolamento comunitario occorre un visto, una motivazione che giustifichi il soggiorno e la garanzia di un mezzo di sostentamento che consenta l'ingresso nell'area Shenghen.
«Le alternative alle morti in mare esistono, e sono figlie della protezione temporanea e dell’ingresso per motivi umanitari. Purtroppo però dipendono dalla discrezionalità politica dei singoli Stati e in questo momento, soprattutto nel caso della protezione temporanea, sono molto difficili da applicare».
Cos’é l’Associazione studi Giuridici per l’Immigrazione
L'Asgi collabora con le Istituzioni e le organizzazioni non governative per garantire il pieno rispetto dei diritti dei migranti che, trovandosi per la prima volta in Italia, cercano un futuro, o una via di fuga. In più, come nel caso descritto di seguito, si occupa di intercedere per vie legali, per affrancare qualunque rischio di reato di discriminazione commesso dalla Pubblica amministrazione.
Assunzione di personale: non è esclusiva degli italiani
“Il Bando dell'Ata per l'assunzione di personale riservato a italiani e comunitari è illegale e discriminatorio”. E' recentissima la denuncia dell'Associazione secondo la quale, “non si tiene conto delle modifiche apportate lo scorso anno in materia di accesso al pubblico impiego dalla legge europea 2013. Appare inspiegabile che, il decreto ministeriale con il quale è stato indetto il bando per il reclutamento di personale nelle scuole, abbia previsto quale requisito per l’ammissione la cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione europea. La normativa sul pubblico impiego attualmente in vigore prevede l’accesso alla funzione pubblica anche alle categorie di cittadini di Stati terzi extra Ue protetti dal diritto comunitario, come i familiari di cittadini di Stati membri Ue, i ‘lungo soggiornanti’ di cui alla direttiva 109/2003, i rifugiati e titolari di protezione sussidiaria”.
Così si legge in una nota del Servizio antidiscriminazione dell'Asgi che lo scorso 15 settembre ha inviato una lettera al ministero della Pubblica Istruzione per chiedere la modifica dei requisiti richiesti ai fini dell’ammissione alle graduatorie, con l’eliminazione della clausola di cittadinanza italiana o Ue, e dandone immediata pubblicità posticipando la data ultima di presentazione della domanda, così da consentire la diffusione della notizia e l’effettiva possibilità di partecipazione dei cittadini stranieri a parità di condizione con quelli italiani e di altri Stati membri Ue.
Questo a conferma di quanto denunciato dal professor Bonetti e dalla stessa Associazione: «Troppo di frequente manca un adeguamento dei bandi alla normativa sull'accesso al pubblico impiego, in vigore oramai da oltre un anno. Se l'Italia vive ancora l'immigrazione come un fenomeno straordinario o un problema, dopo che al suo interno risiedono 5 milioni di stranieri, il problema è suo».
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