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Settembre-Ottobre/2014 - Articoli e Inchieste
Orizzonti
Immigrazione e sicurezza. Quale futuro?
di Andrea Nicosia

Oltre 140mila arrivi e 44mila richieste d’asilo nei primi nove mesi del 2014.
Il fenomeno dei flussi migratori provenienti dal Mar Mediterraneo non intende
fermare la sua corsa. L’Organizzazione internazionale per i rifugiati ammonisce:
«Il 2014 è l’anno più mortale». Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano
precisa: «Mare Nostrum ha fatto il suo dovere, ma serve più Europa».
Per l’Alto commissario dell’Unhcr, António Guterres: «Stiamo venendo meno
all’insegnamento insito nei naufragi precedenti»


Sempre più spesso ne sentiamo parlare. Sempre più spesso i mezzi d’informazione ci mostrano i loro volti e raccontano le loro storie. Sempre più spesso contiamo le loro presenze e i loro morti. Storie di donne, uomini e bambini disposti a rischiare la vita per fuggire dai propri luoghi natii, messi in ginocchio da guerre, dittature e povertà. Un fenomeno sociale sicuramente complesso e dibattuto quello dell’immigrazione che, da sempre e in tutte le parti del mondo, ha segnato il cammino dei popoli.
L’Italia, in questo particolare momento storico, si trova al centro di un importate spostamento migratorio, che vede il Mediterraneo come unica via di fuga per i rifugiati politici e i profughi espulsi da quei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente più instabili dal punto di vista politico, economico e sociale. A confermare il trend in ascesa dei flussi migratori verso l’Europa, ci pensano i recenti rapporti resi noti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione internazionale per le Migrazioni (Oim). Per l’Unhcr i numeri parlano chiaro: da gennaio a ottobre di quest’anno sono arrivati via mare, attraverso il Mediterraneo, oltre 165mila tra migranti e rifugiati. Un dato quasi triplicato rispetto ai 60mila dell’intero 2013. Dati importanti che da una parte classificano il 2014 come anno record per gli sbarchi, dall’altro quantificano con precisione la disperazione di coloro che si mettono in viaggio. Dal 1° gennaio al 30 settembre 2014 l'Italia ha ricevuto più di 140mila persone, al ritmo impressionante di 15.650 arrivi al mese, ovvero 516 al giorno. Numeri che fanno riflettere se li confrontiamo con i 60mila sbarchi del 2013, i 22.500 del 2012 e i 70mila del 2011. Questo aumento repentino e progressivo delle traversate del mar Mediterraneo ha portato a un peggioramento delle già precarie condizioni di viaggio. Si tratta di un fenomeno di massa, quello che riguarda il traffico di persone, in cui i rifugiati e gli immigrati si trovano in una posizione vulnerabile, sottoposti ad abusi con l’uso della forza, di minacce o con l’inganno con l’unico scopo dello sfruttamento. Solo tra il 1 luglio e il 30 settembre 2014 sono arrivate in Europa 90mila persone e almeno 2.200 hanno perso la vita, mentre nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 30 giugno, dello stesso anno, si sono contati 75mila arrivi e 800 decessi. In altre parole, le probabilità di morire per chi ha compiuto il viaggio nella prima metà dell’anno sono state pari all’1,06 per cento, mentre le probabilità per chi si è imbarcato nel terzo trimestre sono più che raddoppiate arrivando al 2,4 per cento.
I rilevamenti statistici sulle traversate irregolari nel Mediterraneo, mostrano un preoccupante aumento delle vittime. Infatti, a poco più di un anno dalla tragedia di Lampedusa, dove un incendio causò l’affondamento di un barcone a mezzo miglio dall’Isola dei Conigli, causando la morte di 368 persone provenienti dall’Eritrea, dall’Etiopia, dal Ghana, dalla Somalia e dalla Tunisia, si continuano a registrare numerosi naufragi dall’epilogo drammatico. Secondo una stima dell’Unhcr, ricavata dalle informazioni ricevute dalla Guardia Costiera, solo nel fine settimana tra il 13 e il 15 settembre scorso si conterebbero circa 800 tra morti e dispersi a causa di cinque sciagure del mare avvenute al largo dell’Egitto, della Libia e a est di Malta. Questi incidenti hanno reso il mese di settembre uno dei periodi più letali in termini di rifugiati e migranti deceduti nel tentativo di raggiungere l’Europa. Si tratta di stime non confermate, precisa l’Alto Commissariato per i rifugiati, soprattutto per quanto riguarda la conta dei dispersi, mentre sono state 2.372 le persone soccorse nel medesimo periodo dalle navi della Marina Militare e dalle motovedette dalle Capitanerie di porto.
Il medesimo allarme, quello riguardante il crescente aumento del numero delle vittime delle traversate della disperazione, è stato lanciato dall’Organizzazione internazionale per le Migrazioni. Dal rapporto presentato a fine settembre dall’Oim, emerge che dal 2000 ad oggi sono stati oltre 22mila i migranti che hanno perso la vita nel mar Mediterraneo cercando di raggiungere le coste europee. L’Oim prosegue classificando il 2014 come «l'anno più mortale». Infatti – sempre secondo l’agenzia delle Nazioni Unite – nei primi nove mesi dell’anno, il numero delle vittime è salito a 3.072, oltre il doppio del numero record di 1.500 registrato nel 2011. Questo per lo più a causa delle forti instabilità vissute dai Paesi interessati dalla “Primavera Araba”.
La maggior parte dei migranti che sono deceduti “sull’uscio” dell'Europa – per annegamento, soffocamento, fame o freddo – era nata in Africa e in Medio Oriente. «È il momento di fare qualcosa di più che contare il numero di vittime – ha dichiarato il presidente dell'Oim, William Lacy Swing – è giunto il momento che la comunità internazionale si impegni a fermare questa violenza contro migranti disperati». Dello stesso avviso è António Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati: «Stiamo venendo meno all’insegnamento insito nei naufragi dello scorso ottobre e sempre più rifugiati continuano ad annegare nel tentativo di raggiungere la salvezza. I Paesi dell’Unione Europea devono lavorare insieme per continuare a portare avanti le vitali operazioni di soccorso in mare – conclude Guterres – compito che è stato in gran parte svolto dall’operazione Mare Nostrum in Italia, ma anche da navi mercantili».
Ora cerchiamo di rendere più nitidi i contorni del fenomeno dell’immigrazione clandestina. Per fare questo bisogna analizzare nel dettaglio il percorso intrapreso dai migranti prima di affrontare gli ultimi trecento chilometri che separano le coste nordafricane dalla Sicilia. Quali sono le rotte più battute, dove si imbarcano i profughi, da quali nazioni provengono e quanti tra di loro sono richiedenti asilo? La Libia è il luogo di confluenza di migliaia di disperati che arrivano dall’Africa occidentale, dall’Egitto e dal Medio Oriente. Per chi arriva dagli Stati che si affacciano sul Golfo della Guinea, il percorso è pressoché obbligato: i migranti come prima tappa del loro viaggio si raccolgono ad Agadez, piccola città dello Stato del Niger. Qui, dopo aver pagato salate tangenti a soldati e poliziotti nigeriani, partono, in direzione nord, ammassati su enormi camion. Dopo un viaggio estenuante di 1.700 chilometri attraverso i deserti del Ténéré e del Sahara, chi sopravvive al caldo, alla fatica, alla fame e alla sete giunge a Tripoli, uno dei terminali maggiormente sfruttati dalle organizzazioni criminali dedite al traffico di persone. Dalla capitale della Libia ci si imbarca facendo rotta per Lampedusa con la speranza di rimanere in Italia o di proseguire il proprio viaggio verso altri Paesi europei come la Francia, la Germania, l’Olanda, l’Inghilterra. Gli immigrati provenienti dall’Egitto, dalla Tunisia, dall’Iraq e dalla Siria passano anche da Bengasi, altra città della Libia, a Est di Tripoli, che si affaccia sul golfo della Sirte.
Secondo i dati in possesso dell’Unhcr, nel 2014 le persone che hanno attraversato il Mediterraneo sono provenute da oltre quaranta Paesi diversi di cui oltre la metà da Siria ed Eritrea. Da gennaio ad agosto di quest’anno sono sbarcati sulle coste italiane circa 28mila eritrei (25 per cento del totale), di cui tremila minori non accompagnati. Nello stesso periodo sono arrivati anche 24mila profughi dalla Siria (21 per cento), 14mila dall’Africa sub-sahariana (13 per cento), ottomila dal Mali (7 per cento), seimila dalla Nigeria (5 per cento), cinquemila dal Gambia (5 per cento), 3.600 dalla Somalia (3 per cento), tremila dall’Egitto (tre per cento) e 17.228 dal resto del Continente africano (18 per cento).
Stando ai rapporti delle organizzazioni internazionali, il Vecchio Continente risulta la destinazione più pericolosa al mondo per tutti coloro che fuggono dai propri Paesi. E allora quali sono le forze schierate dall’Italia e dall’Europa per cercare di arginare il fenomeno dell’immigrazione irregolare? Quante risorse e quali strumenti sono a disposizione, da un lato per soccorrere gli stranieri in fuga e dall’altro per contrastare chi sfrutta la tragedia personale di questo popolo di disperati per ricavarne profitto? Il 18 ottobre 2013 l’Italia ha dato il via all’operazione militare e umanitaria Mare Nostrum, nata per far fronte all’eccezionale afflusso di migranti provenienti, in particolare, dal Nord Africa, dall’Iraq e dalla Siria. Questa missione, avviata alcuni giorni dopo la strage di Lampedusa, consiste nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori Constant Vigilance, in carico alla Marina Militare dal 2004, che prevede un pattugliamento marino costante con navi e aeromobili. In una recente question time alla Camera dei Deputati, a distanza di un anno esatto dall’istituzione di Mare Nostrum, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha illustrato i numeri raggiunti dall’operazione fino ad oggi: «Sono più di 91mila le persone soccorse e messe in salvo dall'inizio di Mare Nostrum: questo è il dato che dà il senso del valore umanitario della missione che ha fatto guadagnare all'Italia il plauso e il ringraziamento della comunità internazionale. Comunque – ha spiegato il ministro – Mare Nostrum è insufficiente a fronteggiare il carattere strutturale assunto dalle correnti migratorie. Da quando ha avuto inizio l'operazione Mare Nostrum sono stati recuperati nel canale di Sicilia 499 corpi di migranti, mentre altre 1.446 persone, stando alle dichiarazioni dei superstiti, sarebbero risultate disperse». Il ministro Alfano ha poi precisato che un confronto di numeri con il 2011 e 2012, dove i morti recuperati sono stati 69, non è possibile. Questo perché negli anni precedenti non era attivato il dispositivo attuale, che ha consentito contemporaneamente di salvare migliaia di vite e di recuperare le vittime.
Ma Mare Nostrum non è l’unico dispositivo attivo per fronteggiare i costanti flussi migratori diretti verso il canale di Sicilia. Sul piano del controllo dell’immigrazione irregolare, l’Unione Europea mette in campo due strumenti: Frontex e Eurosur. La prima è un’agenzia che ha il compito di promuovere la sicurezza e la gestione dei confini dell’Ue. Operativa dal 2005, Frontex ha come principale obiettivo quello di «aiutare le autorità di frontiera dei diversi Paesi europei a lavorare insieme». L’agenzia coordina la cooperazione fra gli Stati membri in materia di gestione e controllo delle frontiere esterne, fornisce assistenza nella formazione professionale delle guardie in servizio, nei controlli, nei pattugliamenti e nella vigilanza. Inoltre, appoggia gli Stati membri in operazioni comuni di rimpatrio dei clandestini e mette a disposizione gruppi di intervento rapido, in situazioni eccezionali e urgenti. Il secondo strumento, Eurosur, entrato in funzione a dicembre dell’anno scorso, è un sistema di sorveglianza finalizzato al rinforzo delle frontiere dello spazio di Schengen con un meccanismo attraverso il quale i Paesi membri possono condividere tra loro informazioni operative in tempo reale e cooperare negli interventi.
Dalle forze italiane ed europee messe in campo per fronteggiare i flussi migratori in transito nel Mediterraneo, passiamo alla descrizione delle fasi di recupero e assistenza in mare degli immigrati.
Le operazioni di soccorso scattano con una segnalazione relativa alla partenza di migranti dalle coste nordafricane o con l’avvistamento di imbarcazioni sospettate di essere coinvolte nel traffico o nel trasporto di clandestini. Da questo momento in poi gli eventi vengono registrati dalla Sala Operativa interforze del Centro nazionale per il coordinamento e per l’immigrazione “Roberto Iavarone”. Dalla cabina di regia del Centro – composta non solo dal personale della Polizia di Stato, ma anche da operatori appartenenti alla Marina Militare, alla Capitaneria di Porto, alla Guardia di Finanza e ai Carabinieri – le operazioni vengono seguite in tempo reale: dalla segnalazione di barconi in arrivo al supporto per le azioni operative in mare, dalla gestione dei migranti a terra, fino all'attività di analisi dei dati per effettuare previsioni e orientare meglio il pattugliamento in mare. Una volta sulla terra ferma, i profughi e i rifugiati vengono condotti nei Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) per prestare loro le prime cure mediche e accertare le richieste di protezione internazionale. Da qui vengono dislocati nei Centri di accoglienza (Cda). Una volta accolti in questi centri, i migranti, indipendentemente dal loro status giuridico, rimangono in attesa dell’emanazione di un provvedimento che ne legittimi la presenza sul territorio o ne ordini il rimpatrio.
Dopodiché, per i migranti si aprono due possibili strade: i profughi irregolari vengono trasferiti all’interno dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) dove sono identificati e trattenuti fino al loro rimpatrio, mentre per tutti gli altri si attivano le procedure di integrazione e inserimento sociale attraverso i Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) e il Sistema di protezione e richiedenti asilo e rifugiati (Sprar). Nei Cara vengono ospitati tutti gli stranieri richiedenti asilo privi di documenti d’identità o che si sono sottratti ai controlli effettuati alle frontiere, allo scopo di consentire l’identificazione e l'applicazione della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato.
Lo Sprar, invece, è un progetto gestito dal ministero dell’Interno in convenzione con l’Anci (Associazione nazionale comuni italiani), che garantisce tutta una serie di servizi di accoglienza diffusa, volti ad agevolare l’integrazione degli ospiti. Nel 2013 i posti messi a disposizione dallo Sprar sono stati 3.700 divisi per 151 posti di accoglienza. Nel 2014 il sistema di accoglienza è stato potenziato arrivando a toccare i 13mila posti. Numero destinato a salire di altre tremila unità nel triennio 2014-2016.
È ormai evidente che un’operazione di controllo e soccorso, sia essa italiana, europea o congiunta, da sola non può raggiungere gli obiettivi necessari per risolvere il problema alla radice. Per impedire che il Mediterraneo continui a mietere vittime a un ritmo infernale «occorre intervenire lungo tutto il percorso migratorio – come raccomanda l’Oim – attuando politiche di sostegno a favore dei migranti e di tutti i Paesi coinvolti e predisponendo – anche nei Paesi di transito – misure e programmi necessari a fornire un adeguato supporto legale a profughi e richiedenti asilo in cerca di protezione».

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