Nell’ultimo libro
Ennio Di Francesco
raccoglie i suoi più
significativi articoli
apparsi su quotidiani
e periodici
che conservano una
straordinaria attualità
“Conoscendo Ennio Di Francesco, ne abbiamo apprezzato il costante profondo ricordo verso i nostri genitori, la coerenza professionale e sociale, la convinzione che la memoria sia dovere importante di tutti per comprendere da quanti e quali sacrifici provengano i diritti di cui fruisce ogni giorno e come solo su di essa si possa costruire una società più consapevole, partecipe, pacifica e democratica”. Queste parole, che portano la firma congiunta di Marco Alessandrini e Mario Calabresi, figli di due vittime del terrorismo, sono l’introduzione al volume di Ennio Di Francesco dal suggestivo titolo “Frammenti di utopia” (pagg. 170, e 10, Edizioni Tracce - Pescara).
Il libro di Di Francesco, che si avvale della prefazione di Giuseppe De Lutiis (storico ed esperto di Servizi segreti e di terrorismo), è una meditata raccolta di scritti dell’autore i quali, pur risalendo a tanti anni addietro, conservano ancora palpitante attualità, aggiungendovi ora una valenza di storicità. Basti rileggere quelli sulla droga, sui Servizi segreti, sulla Riforma di Polizia. Altri (e la cosa non guasta) sono densi di poesia e di pathos.
E a proposito di calidità storica, rileggiamo quanto scritto da Di Francesco, nel gennaio 1977, sul mensile “Ordine Pubblico” diretto da Franco Fedeli: “Il malessere che pervade l’Istituto di Polizia ha un valore sociale sintomatico. Trascende ogni più immediato effetto rivendicativo per porsi come momento di verifica democratica circa l’aderenza di un organismo dello Stato alle funzioni affidategli dalla collettività. Il discorso si inquadra dunque in una tematica più vasta e profonda che investe, come mostra l’attuale fenomenologia sociale, anche altri istituti vitali dell’apparato statuale.
Nel clima di più ossigenata cultura democratica i poliziotti riescono ad emergere dalla ghettizzazione psicologica e sociale in cui erano stati relegati e fanno conoscere all’opinione pubblica i propri problemi in termini non solo di riscatto materiale e morale, ma soprattutto di maggior efficienza professionale al servizio della collettività nella lotta contro il crimine e il terrorismo.
E’ stato un lungo cammino, graduale e travagliato, passato attraverso le maglie della repressione e delle lusinghe.
Oggi i poliziotti, educati dalle lotte moralizzatrici delle forze politiche e di cultura più avanzate, dalle conquiste dei lavoratori, riflettendo sul sangue dei propri caduti, hanno preso coscienza del proprio ruolo professionale, nobile e impegnativo, di operatori inseriti nel tessuto sociale per la difesa della democrazia e delle libertà quotidiane dei cittadini.
La criminalità è restrizione di quelle libertà per cui il diritto stesso sorge. Forti di questa convinzione i poliziotti che si battono per il riordinamento della Ps rifiutano di essere gestiti, come in passato, in funzione antipopolare nei conflitti sociali. Non vogliono più essere Corpo separato, avulso dalle altre forze del lavoro in posizione di diffidenza se non di rancore e ostilità, ma vogliono sentirsi integrati in tutta la loro dignità di cittadini e lavoratori per offrire il meglio della propria professionalità in un rapporto di efficienza, di fiducia, di partecipazione.
In tale prospettiva le istanze prioritarie per ricondurre l’Istituto al suo ruolo naturale sono: la smilitarizzazione, perché il servizio di sicurezza pubblica è essenzialmente civile, scevro da pesanti strutture militari che se da una parte ne frenano la flessibilità decisionale e operativa, dall’altra possono esporre a pericolose deviazioni; il riordinamento, inteso come revisione dei criteri di arruolamento, istruzione e impiego del personale, migliore distribuzione sul territorio e coordinamento delle Forze di polizia, recupero del personale sfruttato per squalifanti servizi non di Istituto, maggiore collaborazione con le Amministrazioni locali; il sindacato, non solo perché il poliziotto è un cittadino a cui spettano i diritti sanciti dalla Costituzione, ma perché il sindacato è, oltre che mezzo di tutela, scuola di democrazia e partecipazione sociale.
Per questo ci battiamo in termini legalitari, responsabili e non corporativi. Il vasto favorevole movimento di opinione creatosi tra le forze della cultura e del diritto, politiche e sindacali, rappresenta la verifica democratica della convergenza di ideali tra cittadini e poliziotti. Il discorso è riferito al nostro Istituto, ma non è escluso che diverse osservazioni, ferme restando fondamentali differenze di status, possano estendersi ad altre Forze dell’ordine.
L’Italia si caratterizza per la pluralità dei Corpi di Polizia. Sarebbe ipocrita non rilevare che in questi organismi, sorti con specifici compiti prevalenti ma col denominatore comune della lotta al crimine, si sia venuto alimentando uno spirito di malinteso antagonismo che rende spesso solo formale la collaborazione. Non di rado manca un’azione coordinata e, l’opera di prevenzione e repressione dei reati attuata da ciascun Corpo tende a tradursi in ripetizione inutile di strutture e servizi in affannosa rincorsa di successi, a tutto vantaggio di una criminalità sempre più astuta, manageriale e agguerrita.
E’ forte il sospetto che tale situazione non sia determinata solo da spirito di corpo ma sia sovente favorita in ossequio al principio del divide et impera e che essa rischi di radicalizzarsi ulteriormente se il legislatore non interviene fissando limiti di competenze e responsabilità”. [...]
Tragicamente di attualità l’ultima parte di questo scritto di trent’anni addietro, per quanto attiene al coordinamento delle Forze di polizia.
Ed ancora, sempre da “Ordine Pubblico” (ottobre 1977), ecco come Di Francesco chiudeva un suo articolo riferito alla morte in servizio di un poliziotto: “Chi non li rispetta come lavoratori, non è degno di piangerli quando muoiono. Basta con la morte, basta con la violenza, basta con le speculazioni antidemocratiche”.
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