Colloquio con Angiolo Marroni, garante del Lazio: “L’elevata
presenza di detenuti nelle carceri è il problema più importante
perché il sovraffollamento incide sulla qualità della vita nelle celle,
sulla possibilità di avviare i percorsi di recupero previsti
dalla Costituzione, sulla tutela del diritto alla salute e sulla capacità
di realizzare progetti formativi e di avviamento al lavoro”
Quali sono i margini di azione e intervento del Garante dei Detenuti, figura istituzionale che sempre più Comuni, Provincie e Regioni stanno nominando nell’ambito del territorio di competenza?
Il Garante per le persone sottoposte a limitazioni della libertà personale della Regione Lazio è stato istituito con la legge regionale n. 31 del 6 ottobre 2003 ed è stata la prima Authority del genere creata, a livello regionale, in Italia.
Il Garante è stato istituito per tutelare i diritti fondamentali inviolabili dell’uomo sanciti dalla Costituzione e dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo: il diritto alla salute, all’istruzione, alla formazione professionale, alla cultura, allo sport, alla socializzazione, ai rapporti con le famiglie e ogni altra prestazione finalizzata al recupero, alla reintegrazione sociale e all'inserimento nel mondo del lavoro.
Il Garante è chiamato a favorire l’incontro e lo scambio tra realtà esterna e interna al sistema di detenzione e il rispetto delle pari opportunità; inoltre, attraverso percorsi formativi, sostiene il reinserimento del detenuto nel sistema lavorativo e la possibilità di lavoro per i soggetti affidati ai servizi sociali, quelli che godono della semilibertà e dei domiciliari.
Per quanto riguarda la nostra esperienza, è la legge fondativa che definisce i compiti dell’Ufficio. Fra l’altro, il Garante è chiamato ad assumere ogni iniziativa necessaria ad assicurare ai detenuti le prestazioni inerenti al diritto alla salute, al miglioramento della qualità della vita, all’istruzione e alla formazione professionale e ogni altra prestazione finalizzata al recupero ed al reintegro sociale del detenuto; deve segnalare agli organi regionali eventuali fattori di rischio o di danno di cui venga a conoscenza, intervenendo presso strutture ed Enti regionali in caso di accertate omissioni o inosservanze e quando tali mancanze perdurino, può proporre l’adozione delle opportune iniziative, compresi i poteri sostitutivi. Il Garante può proporre agli organi regionali gli interventi amministrativi e legislativi da assumere per assicurare il pieno rispetto dei diritti dei detenuti.
A fronte di tali attribuzioni, i poteri di reale intervento per migliorare la situazione nelle 14 carceri della Regione e nel Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Ponte Galeria, sono piuttosto limitati. Ma il Garante non è una “pistola scarica”, tutt’altro. In oltre dieci anni di attività questa Istituzione ha saputo costruire una fitta rete di rapporti istituzionali che, unita alla propria reputazione e alla propria autorevolezza, consente molte volte di raggiungere obiettivi che sarebbero altrimenti impossibili.
In che cosa si sostanzia l’attività del Garante e del suo Ufficio?
Nel ruolo del Garante deve esserci una componente di partecipazione personale, psicologica e umanitaria fondamentale. Se questa manca, il lavoro diventa faticoso, difficile, doloroso. Il Garante sta dalla parte degli ultimi: per accettare questa realtà occorre uno spirito di partecipazione solidale incondizionato.
Per questo, sin dalla mia nomina, ho voluto interpretare la funzione di Garante nel senso di fornire a quanti sono a contatto con il mondo della detenzione (detenuti, operatori, magistrati, agenti di Polizia Penitenziaria, associazioni) un punto di riferimento per cercare nel concreto di migliorare la condizione complessiva dei detenuti. Ritengo infatti che la civiltà di un Paese si misuri anche dal trattamento che riserva a coloro che infrangono la legge, che mai deve andare oltre quello che l’ordinamento prevede. La privazione della libertà è di per sé una sanzione dura ed affittiva, cui non deve accompagnarsi la compressione di altri diritti costituzionali come la salute, il lavoro o l’istruzione.
Date queste premesse, in tutti questi anni abbiamo garantito, con i nostri operatori, una presenza assidua nelle 14 carceri del Lazio e nel Cie di Ponte Galeria e nelle strutture protette degli ospedali “Pertini” di Roma e “Belcolle” di Viterbo. I nostri operatori hanno, a turno, lavorato in tutte le carceri e questo è un punto di forza. Alla lunga abbiamo imparato a conoscere le specificità di ciascuna realtà e siamo stati in grado di esportare le esperienze positive maturate all’interno degli altri contesti in cui eravamo impegnati.
In questi anni abbiamo fatto tanto, a volte anche oltre le nostre forze e le nostre competenze come, ad esempio, nell’estate dell’indulto, quella del 2006, quando centinaia di persone appena scarcerate si rivolsero a noi per un posto dove abitare, per un impiego, per un pasto.
Dal punto di vista numerico, facciamo migliaia di colloqui l’anno con i detenuti, organizziamo eventi e manifestazioni culturali, creiamo opportunità di lavoro e di studio. Il nostro fiore all’occhiello è il progetto del Sistema Penitenziario Universitario, grazie al quale, in dieci anni, i detenuti iscritti all’Università sono passati da 17 a 113. Due nostri progetti sono stati indicati, dal Dap, quali “best practices” da replicare su tutto il territorio nazionale: mi riferisco, alla Teleuniversità e ai tavoli tecnici congiunti istituiti per migliorare l’assistenza sanitaria in carcere.
C’è davvero bisogno, nel nostro Paese, di un Garante per le persone private della libertà visto che l’ordinamento penitenziario, all’articolo 67 della legge 354/75, identifica una serie di persone ed Autorità che nei penitenziari possano fare visita senza alcuna autorizzazione o permesso (come ad esempio i parlamentari, i consiglieri regionali, i magistrati, il prefetto e il questore)?
Il Garante opera all’interno di un quadro obiettivamente difficile con il compito di tutelare i diritti delle persone private della libertà personale, a dispetto di tutte le difficoltà.
Il Garante non ha una funzione sostitutiva delle Autorità carcerarie né giudiziarie, il suo è un compito essenzialmente di persuasione. Per questo ritengo il Garante nazionale per le persone private della libertà personale una figura fondamentale .
Al di là di tutto, ogni volta che si parla di problematiche legate al mondo del carcere, è evidente l’assenza, in larga parte dei mass media e dell’opinione pubblica, della percezione di cosa sia il carcere. Concetti come legalità e certezza della pena sono i capisaldi di ogni società civile, ma la pena, come previsto dalla Costituzione, deve tendere alla rieducazione del reo e ciò comporta che ognuno di noi, per la propria parte, deve contribuire ad abbattere quel muro metaforico che separa il carcere dal mondo esterno.
Si avverte, insomma, la necessità di una nuova stagione di tutela dei diritti di chi è stato privato della libertà personale e, in questo senso, la presenza di una autonoma Authority nazionale potrebbe contribuire a portare a livello più alto quelle che sono le carenze culturali e strutturali del sistema.
Probabilmente, con la presenza di un Garante nazionale non saremmo arrivati davanti alla Corte di Giustizia europea per certificare le manchevolezze delle carceri italiane.
Se, dunque, da un lato giudico con favore l’istituzione del Garante nazionale, devo dire che è assai deludente il modello di riferimento che è stato immaginato. Il Garante è infatti nominato dal Consiglio dei Ministri, anche se con decreto del Presidente della Repubblica, e la sua struttura è incardinata presso il ministero della Giustizia. Questo rischia di rendere meno terzo ed imparziale l’Ente.
Il Garante interviene anche per le varie figure professionali che lavorano in carcere, come i poliziotti? E in che modo?
L’attività del Garante dei detenuti del Lazio ha interessato la tutela dei diritti di tutti coloro che, a vario titolo frequentano il carcere. E dunque, oltre ai detenuti, anche i volontari e gli operatori. Da questo punto di vista avere un rapporto di collaborazione con la Polizia Penitenziaria è utile poiché bisogna tenere presente che i disagi e i problemi dei detenuti nelle carceri sono vissuti dagli stessi poliziotti come elemento di grande frustrazione.
Abbiamo contatti costanti con le organizzazioni sindacali di categoria, con molte delle quali abbiamo anche sottoscritto, negli anni passati, Protocolli d’Intesa per lo svolgimento di attività formative e di aggiornamento professionale finanziate dalla Regione Lazio.
Sempre con le organizzazioni sindacali, abbiamo stipulato degli specifici accordi aventi ad oggetto il miglioramento delle competenze e delle condizioni di lavoro degli agenti.
Infine, più volte ho denunciato le precarie condizioni di lavoro cui sono costretti gli agenti di Polizia Penitenziaria a causa del sovraffollamento e dei sempre più pesanti vuoti di organico.
Il miglioramento delle condizioni di vita quotidiane nelle carceri deve valere per i detenuti, ma anche per chi negli Iistituti di reclusione lavora. Il carcere è un luogo duro, in grado di piegare anche le persone moralmente e psicologicamente più forti, senza distinzione fra reclusi e chi di questi dovrebbe occuparsi.
Quante volte al mese va in carcere? E come si svolge la giornata tipo di un Garante dei detenuti?
Senza contare gli appuntamenti istituzionali, personalmente mi reco in carcere, o nel Cie di Ponte Galeria almeno tre volte a settimana per incontrare i detenuti, i direttori degli Istituti e tutti coloro che lavorano nel carcere.
Il resto della giornata del Garante è dedicato al coordinamento dell’attività dell’Ufficio, e agli appuntamenti istituzionali.
Quanti sono i Garanti in Italia ed esiste un organismo di raccordo e confronto tra voi?
Attualmente in Italia ci sono dieci Garanti regionali e 42 fra Garanti provinciali e comunali. A livello regionale esiste un organo di coordinamento che è la Conferenza nazionale dei Garanti dei diritti dei detenuti, istituita presso il Garante nazionale della Privacy, attualmente coordinata dalla dottoressa Adriana Tocco, Garante della Regione Campania.
Esiste anche un Coordinamento nazionale dei Garanti regionali, provinciali e comunali che dovrebbe avere due coordinatori, la cui nomina è prevista a breve.
Per un Garante, quali interventi sarebbe necessario adottare per migliorare le condizioni di detenzione e di lavoro in carcere?
Rispetto al dibattito di questi mesi sulla situazione delle carceri italiane, non sono contrario all’amnistia e all’indulto, ma sono convinto che se il quadro legislativo di fondo resta quello odierno, ogni iniziativa assunta - come le ultime previsioni varate dal governo Letta - sarà un palliativo temporaneo.
Al netto degli effetti dei provvedimenti adottati, la situazione è sempre drammatica fra sovraffollamento, mancanza di personale, strutture fatiscenti e risorse finanziarie ed umane inadeguate.
L’elevata presenza di detenuti nelle carceri è, ovviamente, il problema più importante perché il sovraffollamento incide sulla qualità della vita nelle celle, sulla possibilità di avviare i percorsi di recupero previsti dalla Costituzione, sulla tutela del diritto alla salute e sulla capacità di realizzare progetti formativi e di avviamento al lavoro.
Al di là delle cifre, le misure varate dai governi Letta e Monti (con i ministri Severino e Cancellieri) segnano il ritorno verso un’idea di pena che abbia anche una funzione trattamentale, ma non è che il primo passo.
La soluzione è prettamente politica e passa per la decarcerizzazione del sistema, con un ampio ricorso a misure alternative, ma non per questo meno dure e dissuasive, con la pena carceraria prevista solo come extrema ratio e riservata ai casi più gravi.
Il ricorso massiccio a pene e misure alternative ridurrebbe in maniera significativa il numero dei detenuti, con evidenti benefici. Le risorse liberate consentirebbero di investire in nuove assunzioni di agenti, di personale dell’area del trattamento ed in serie politiche di edilizia penitenziaria.
FOTO: Il Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio Angiolo Marroni
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