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Maggio-Agosto/2014 - Articoli e Inchieste
Gialli
L’omicidio di Pier Paolo Pasolini
di Giovanni Lucifora

A 39 anni dal massacro dell’idroscalo di Ostia mancano ancora
troppe certezze. Ipotesi e indagini non hanno sciolto alcun
dubbio: innanzitutto perché il poeta fu barbaramente ucciso?
Giuseppe Pelosi: “Quella notte non ero solo ma non dico di più”. Per l’avvocato Marazzita: “Pier Paolo fu ucciso da più persone,
sciogliere i dubbi su Johnny lo zingaro”. Per Claudio Marincola
l’ipotesi dell’estorsione è plausibile


Èuna di quelle notti che passerà alla storia come la notte di Ustica o dell’Italicus. E’ la notte dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini tra il primo e il due novembre del 1975. Siamo a Roma, precisamente in piazza dei Cinquecento. L’artista e intellettuale bolognese incontra Pino Pelosi. Secondo la sentenza della Cassazione emessa il 26 aprile di quattro anni dopo, Pino Pelosi, soprannominato ‘la Rana’, è uno degli autori dell’omicidio del poeta. Oltre a lui, secondo i supremi giudici, c’erano altre persone mai identificate.
Dunque siamo a Roma, nei pressi della stazione Termini. La cronologia dei misteri di quella notte la ricorda lo stesso Pelosi a memoria e sembra di leggere un verbale.
«Siamo andati a cena in un ristorante che conosceva Pasolini, il “Biondo Tevere”. Io ho mangiato spaghetti aglio, olio e peperoncino e bevuto birra. Pasolini aveva già mangiato. Dopodiché siamo andati a fare benzina a un self service; qui alcuni testimoni dicono di aver visto una macchina che ci seguiva targata Catania. Abbiamo fatto benzina e siamo arrivati a Ostia in un posto che conosceva lui. Dopo aver “consumato” un rapporto orale da parte sua, io sono sceso dalla macchina per fare pipì. Sono andato davanti a una rete dove sono stato aggredito da un uomo con la barba che mi ha colpito in testa perché provai a ribellarmi. Altri uomini tirarono fuori dalla macchina Pasolini e iniziarono a massacrarlo ma lui si divincolò e scappò. Lo rincorsero e ripresero a picchialo mentre lui gridava “aiuto mamma, aiuto mamma!” e poi… non sentii più nulla. Solo un ‘rantolio’ che all’epoca non sapevo neanche cosa significasse. Poi quello che mi aveva colpito, prima di andarsene, mi minacciò ordinandomi di scordare tutto perché sennò avrebbe fatto del male a me e alla mia famiglia…»
Questi i fatti che Giuseppe Pelosi detto ‘la Rana’ racconta dopo ben 30 anni dall’omicidio e soprattutto dopo aver scontato una lunga pena in carcere. Avrebbe, dunque, ammesso davanti ai giudici di aver ucciso Pier Paolo Pasolini per paura delle minacce ricevute all’idroscalo. Può essere, ma non ci basta. Cerchiamo allora di chiarirci le idee, ma per farlo dobbiamo riavvolgere il nastro e tornare ai punti salienti di quel sabato notte primo novembre del 1975.
Alle 22,30 Pasolini incontra Pelosi e altri ragazzi. Dopo un po’ Pelosi sale nella macchina dell’artista ma percorsi alcuni chilometri chiede di tornare indietro perché deve recuperare le chiavi di casa e della macchina. C’è un problema però: Pelosi all’epoca aveva appena 17 anni quindi non poteva avere la patente. Andiamo avanti.
Alle 23 i due cenano alla trattoria “Biondo Tevere” nella zona di San Paolo. Fanno benzina e si dirigono verso Ostia dalla via del Mare. A mezzanotte sono all’idroscalo dove avviene l’omicidio. Pelosi sarà poi arrestato dai Carabinieri che lo incroceranno intorno all’una e mezza di notte sul lungomare Duilio. Sta guidando l’auto di Pasolini, un’Alfa Gt. Per difendersi in Tribunale nominerà un avvocato legato all’estrema destra e la perizia psichiatrica sarà affidata a Aldo Semerari, altro personaggio conosciuto nella destra estrema romana. Semerari dichiarerà Pelosi incapace di intendere, la perizia verrà però respinta. La Cassazione condannerà Pelosi a 9 anni e 7 mesi per omicidio volontario in concorso con ignoti. Qui si chiude l’intricata vicenda giudiziaria del caso Pasolini ma le cose, nel tempo, hanno assunto aspetti diversi.
L’avvocato Nino Marazzita è l’archivio vivente dell’intera vicenda. E’ stato il legale di parte nei procedimenti giudiziari e per lui, Pelosi, non racconta tutto quello che sa e non è attendibile: “le sue parole non dicono sempre la verità”. Dunque cosa è accaduto quella notte all’idroscalo di Ostia e soprattutto perché?
Dal movente sessuale legato ad alcuni ambienti gay a quello politico per la sua vicinanza al marxismo e la vivace polemica nei confronti dei principali partiti (in particolare la Democrazia Cristiana) sono state tante le ipotesi durante tutta la vicenda, allora seguiamo, per un attimo, un’ipotesi diversa.
Da tempo circolano voci legate a un libro misterioso che nessuno sa dov’è e che pochi avrebbero visto. Il libro (o un capitolo) si intitola “Petrolio” e sarebbe stato scritto proprio da Pasolini. La famiglia sostiene che questo libro non esiste mentre l’ex senatore Marcello Dell’Utri (attualmente agli arresti in Libano accusato in Italia di concorso esterno in associazione mafiosa) afferma di averlo visto.
«La questione è controversa – dice l’avvocato Marazzita - Dell’Utri aveva detto di averlo letto poi però ha ritrattato sostenendo che una persona gli aveva detto di essere in possesso del dodicesimo capitolo. A questo punto, sostanzialmente, Dell’Utri non è più attendibile.”
Ma perché è così importante questo libro? «Secondo alcune ricostruzioni del testo, ci sarebbero degli elementi che legherebbero la morte di Pier Paolo e quella di Enrico Mattei, tanti episodi inquietanti che sono accaduti e che in questo capitolo verrebbero collegati tra di loro».
Aldilà del libro, nel tempo, gli investigatori hanno comunque provato a percorrere altre piste e alcuni intellettuali si sono spinti su trame complottistiche catalogate come “misteri d’Italia”. «E’ difficile privilegiare una pista piuttosto che un’altra – ragiona l’avvocato Marazzita -. Io alla pista privata però non credo. Non ho mai avuto elementi in questo senso. La pista del complottismo in Italia invece ha sempre una matrice legittima perché nel nostro Paese le verità sono negate dalla strage di piazza Fontana (Milano 1969). Quindi un collegamento di verità ‘pericolose’ intuito da un uomo preveggente, straordinario, dotato di grande intelligenza e genialità come Pasolini, potrebbe avere un senso; d’altra parte Pasolini era quello che scriveva sul Corriere della Sera “Io so ma non ho le prove”. Potrebbe aver colto qualcosa grazie alla sua capacità e all’intuito riservato a pochi eletti».
Sembra che Pasolini desse fastidio a qualcuno allora…
«Pier Paolo dava fastidio a tutti. Alla destra fascista e ai comunisti».
Infatti fu pure espulso dal Pci.
«Sì, dalla sezione di Casarsa per uno scandalo che denunciò un prete accusandolo di aver avuto rapporti sessuali con un minorenne. In realtà nel processo fu dimostrato che era tutto falso. Malgrado ciò il partito Comunista lo espulse».
Il partito non ci fece una bella figura…
«No. Il Pci tende sempre a dimenticare questo episodio».
Torniamo alle indagini e alle supposizioni. Oltre alla pista del libro “Petrolio” ce n’è un’altra mai approfondita ed è quella relativa al film “Le 120 giornate di Sodoma”, la pista dell’estorsione.
«E’ stata una pista lanciata dal regista Sergio Citti, molto amico di Pasolini – precisa Marazzita. - Per la verità, tra tutte, è la pista alla quale credo meno, almeno nelle modalità che descrive Citti, cioè che Pasolini fosse andato a un appuntamento per il riscatto delle bobine». Per capirne di più allora chiediamo aiuto a Claudio Marincola, giornalista del Messaggero molto informato sul caso Pasolini.
«Dagli stabilimenti della De Laurentiis di via Tiburtina a Roma scompaiono improvvisamente alcune ‘pizze’ (le bobine) del film “Le 120 giornate di Sodoma” che era ancora in lavorazione. All’epoca per un film si producevano molte pizze; alcune improvvisamente però spariscono, rubate. A distanza di tempo ho ricostruito il luogo nel quale furono rubate le bobine e posso dire che non era semplice individuare quel materiale. Erano studi grandi e dispersivi quindi tutto fa pensare che c’era qualcuno all’interno che aiutò i ladri a prelevare le pellicole. Dopo vari anni Pelosi raccontò che quel furto era stato compiuto da due fratelli, uno di 15 e l’altro di 17 anni, che lui frequentava abitualmente in una delle tante bische della periferia romana, i fratelli Franco e Giuseppe Borsellino, due piccoli criminali molto pericolosi. A un certo punto qualcuno propone a Pasolini uno scambio: le pizze in cambio del pagamento di un riscatto. De Laurentiis dice subito che non è intenzionato a pagare ma quelle pellicole per Pasolini sono importanti anche perché non esistevano dei duplicati. Per il regista è dunque fondamentale recuperare il film ma il riscatto chiesto ammonta a 50 milioni di lire, una cifra importante».
Quindi, secondo questa teoria rilanciata da Marincola ma resa pubblica all’epoca da Sergio Citti, morto nel 2005, Pasolini sarebbe stato attirato in una trappola. Secondo Citti infatti Pasolini, poche ore prima di essere ucciso, gli aveva confidato che quella sera doveva andare in piazza della Repubblica perché aveva un appuntamento con i ricattatori per riottenere quelle bobine. I fratelli Borsellino potrebbero essere un collegamento ma Sergio Citti è morto e le sue congetture non sono mai state approfondite. Dunque i fratelli Borsellino e ancora Giuseppe Pelosi con il colpo di scena del 2005 quando esce dal carcere, ritratta e sostiene che all’idroscalo c’erano altre persone. Tasselli che sembrano incastrarsi tra loro anche se la verità rivelata da ‘la Rana’ era facilmente intuibile da subito: Pasolini fu letteralmente massacrato, era una maschera di sangue mentre Pelosi quando fu fermato sul lungomare di Ostia non aveva neanche una goccia di sangue addosso. Dunque una verità che molti immaginavano e che ‘la Rana’ ufficializza. E allora chi erano queste persone? L’avvocato Marazzita azzarda un’ipotesi.
«Ritengo che gli esecutori dell’omicidio siano i fratelli Borsellino e a loro si erano unite altre persone, naturalmente con Pelosi».
Dunque Pasolini sarebbe stato aggredito dai fratelli Borsellino?
«Sì. Ma c’è un’altra persona sulla quale non si è mai indagato approfonditamente: ‘Johnny lo zingaro’».
Si tratta di Giuseppe Mastini, un criminale pluripregiudicato che nel 1975 aveva 15 anni. Bergamasco di nascita apparteneva a una famiglia di giostrai di etnia sinta. Ad appena 11 anni era già conosciuto come ladruncolo e aveva partecipato a una sparatoria con la Polizia. Di lì a poco diventerà un feroce assassino uccidendo anche un agente. Un giovane criminale, ok, ma perché Marazzita sostiene che ‘Johnny lo zingaro’ quella notte era presente all’idroscalo di Ostia?
«Avevo dato delle informazioni precise su un plantare trovato nella macchina di Pasolini… - Di fondamentale importanza in questa vicenda, a distanza di 40 anni, sono i reperti e gli oggetti trovati nell’auto di Pasolini tra cui un plantare taglia 41/42 - …questo plantare – sottolinea l’avvocato - ha un’importanza particolare perché all’epoca c’erano tre pregiudicati che portavano un plantare per problemi alle gambe e uno era proprio Giuseppe Mastini. Non voglio dire che ‘Johnny lo zingaro’ fosse presente quella notte sulla scena del crimine, credo però che gli accertamenti andavano fatti». C’è anche da dire che Pelosi negò che ‘Johnny lo zingaro’ fosse presente all’idroscalo ma sulle sue dichiarazioni il dubbio (come già detto) è d’obbligo. Tra l’altro, accanto al cadavere dello scrittore fu trovato un anello con un’aquila americana che Pelosi dichiarò di essersi perso ma che per l’avvocato Marazzita apparteneva proprio a ‘Johnny lo zingaro’. Dunque un plantare e un anello, ma non solo. Pino Pelosi detto ‘la Rana’ e Giuseppe Mastini detto ‘Johnny lo zingaro’ si conoscevano ed erano stati in carcere insieme e rilasciati pochi giorni prima dell’omicidio.
Mastini attualmente sta scontando alcuni ergastoli.
Arriviamo ai giorni nostri. La tecnologia ha fatto passi da gigante e le indagini adesso hanno un valido supporto nei laboratori scientifici. Di quel massacro del 1975 ci sono rimasti 36 reperti. Sono in mano al Ris dei Carabinieri. Tra questi ci sono i bastoni con i quali Pasolini è stato violentemente colpito alla testa, un maglione verde trovato nella macchina dello scrittore che non apparteneva né a Pasolini né a Pelosi, la camicia intrisa di sangue, gli occhiali e il plantare a cui faceva riferimento l’avvocato Nino Marazzita, ciocche di capelli e una tavoletta. Quest’ultima potrebbe svelare il dna degli aggressori.
«La tavoletta è il reperto più importante – spiega Claudio Marincola - perché secondo la ricostruzione sarebbe stato l’oggetto con il quale Pasolini si sarebbe difeso. A mani nude, ha iniziato a lottare e l’unico oggetto che ha trovato per difendersi è stata una tavoletta. E’ ovvio supporre che come un’arma di difesa si sia impregnata di materiale biologico». E infatti i risultati delle analisi del Ris hanno confermato che su quella tavoletta c’è il dna di una persona che non è né Pasolini né Pelosi. Dunque, ufficialmente, quella notte all’idroscalo c’era almeno un’altra persona. Almeno.
Ma la storia dei reperti è curiosa. Ad esempio, «l’Alfa Romeo di Pasolini – ricorda ancora Marincola – all’inizio si disse che aveva delle macchie di sangue sulla parte superiore vicino allo sportello, ebbene, quella macchina fu lasciata sotto la pioggia e alcuni anni fa è stata addirittura rottamata. Chissà, magari oggi con le nuove tecnologie si poteva tirar fuori qualcosa di utile per le indagini». Indagini all’epoca svolte a dir poco in modo superficiale e che oggi ci lasciano pochi elementi per arrivare alla verità, ci sono però i fatti. Come quelli che abbiamo descritto e come un episodio del 2010, uno dei tanti da legare creando un filo logico. E’ ancora la figura di Pino Pelosi al centro di questa vicenda. Innanzitutto Pelosi conferma che all’idroscalo quella notte c’erano altre persone e fornisce anche il numero: sei. Poi è coinvolto in uno strano incidente nel 2010. In un articolo di Claudio Marincola c’è la ricostruzione dei fatti: alla guida della sua Renault Clio sull’autostrada Roma-Fiumicino Pelosi sbanda e va addosso al guard rail. Scende dall’auto e si rifugia in un centro commerciale. Arrivano le prime volanti della Polstrada e trovano nell’abitacolo un uomo di 38 anni gravemente ferito. Intanto altri agenti si mettono alla caccia di Pelosi e riescono a rintracciarlo. Viene arrestato per guida in stato di ebbrezza, omissione di soccorso, lesioni gravissime e rifiuto di sottoporsi all'alcoltest e al narcotest. La sorpresa arriva quando il passeggero trasportato in ospedale muore e si scopre essere il nipote di Ennio Salvitti, un pescatore abitante delle baracche dell’idroscalo che la mattina del 2 novembre 1975, dunque poche ore dopo il massacro, fu intervistato da Furio Colombo dicendo che erano in tanti a massacrare “quel poveraccio”. Per mezz’ora – ricorda Salvitti - ha gridato “mamma! mamma! mamma! ed erano quattro o cinque.” E già perché sempre secondo questa testimonianza altre persone avrebbero visto l’omicidio del poeta bolognese e sono gli abitanti delle baracche dell’idroscalo dove spesso Pasolini si recava. Ma nessuno si è mai fatto avanti o forse nessuno li ha mai cercati. Alla domanda di Furio Colombo sul perché non si era rivolto alla Polizia, Salvitti aveva risposto stizzito: “ma che so’ scemo?” Paura, ancora paura, timore di ripercussioni estreme.
In questa vicenda troppa gente ha paura e il degrado rende questa storia ancor più oscura; forse è per questo motivo che Fabrizio De André dedicò una canzone a quella maledetta notte del novembre 1975 e la intitolò “Una storia sbagliata”. Come la notte di Ustica e dell’Italicus. Notti di paura che non finiscono mai.

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