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Maggio-Agosto/2014 - Articoli e Inchieste
Diritti
La salute negli Istituti penitenziari
di Francesco Ciusa

"La popolazione carceraria è ad alto rischio
per patologie infettive, divenendo un problema
di sanità pubblica. Sono soggetti che in periodo
di libertà, per la loro marginalità sociale,
non sono adeguatamente presi in carico dal Ssn.
Il carcere, quindi, paradossalmente, è un’occasione
di cura, dove è possibile rispondere all’esigenza
terapeutica ma anche alla promozione della salute”


La popolazione detenuta nel mondo supera 10 milioni di persone: la massima concentrazione di persone detenute spetta agli Stati Uniti con il rapporto di 756 ogni 100.000 abitanti, mentre il rapporto medio mondiale è di 145 ogni 100.000 abitanti. In Italia la popolazione detenuta è di poco inferiore a 60.000 persone (al 30/04/2014 59.683 persone detenute), con un rapporto di 99,99 per 100.000 abitanti (calcolato sui residenti del 01/01/2013, dato Istat).
Un particolare che non è solitamente preso in considerazione nelle comunicazioni rivolte alla popolazione generale è che negli ultimi 100 anni in tutti i Paesi occidentali il numero dei reati presenta tendenza alla diminuzione; viceversa troviamo una tendenza all’aumento della popolazione detenuta.
Qualora andassimo a considerare il carico di malattia della popolazione detenuta dovremmo pensare che sia almeno pari a quello della popolazione generale, ma nella realtà dobbiamo tenere conto della differenza di trattamento tra i detenuti ed i liberi, che hanno un accesso facilitato alle strutture sanitarie e possibilità di cure eventualmente migliori; dobbiamo poi tenere conto dei numerosi fattori socio-economici e comportamentali che producono una selezione negativa della popolazione detenuta, favorendo la concentrazione di malattie che affliggono i prigionieri. Pertanto troviamo un’alta rappresentazione di tossicodipendenza, alcolismo, tabagismo, di patologie infettive, di malattie cardiovascolari e di tumori. La malattia mentale è rappresentata con frequenza notevolmente elevata, anche per il fatto che, come la tossicodipendenza e l’alcolismo, è essa stessa un fattore di rischio per comportamenti che possono condurre alla detenzione.
Nei Paesi occidentali, con i quali l’Italia si confronta e si allinea, abbiamo una frequenza di patologia psichiatrica maggiore (psicosi e depressione) intorno al 14-16% e una frequenza del 40-70% di disturbi di personalità (una ricerca italiana realizzata nel 2005 anche a Parma conferma il valore più alto), mentre l’alcolismo è intorno al 20-30% dei casi e la tossicodipendenza o abuso di sostanze illegali fino al 50% dei casi (vuol dire che anche in caso di più prudente valutazione in Italia abbiamo, a fronte di quasi 60.000 detenuti, circa 25/30.000 tossicodipendenti e che in carcere si ha la massima probabilità di incontrare i pazienti tossicodipendenti con associata patologia psichiatrica – così detta “doppia diagnosi”).
La patologia infettiva merita una specifica attenzione perché tanto spesso si associa con la patologia mentale e la tossicodipendenza: la infezione da Hiv è, in Italia, calcolata intorno al 5-7%, l’epatite B presenta una frequenza di infezione in atto del 6-7% (con frequenza di infezione pregressa del 52,6 %), la frequenza della epatite C è stimata superiore al 60 %, tanto che, nei Paesi occidentali, il carcere è considerato il serbatoio naturale dell’infezione, mentre la frequenza dei casi di tubercolosi è stimata almeno di quattro volte più alta rispetto alla popolazione generale.
La popolazione carceraria rappresenta quindi una popolazione ad alto rischio per patologie infettive; queste fanno dei detenuti una sorgente potenziale di infezione, anche per la popolazione non carceraria, divenendo un problema di sanità pubblica. Sono inoltre soggetti che in periodo di libertà, per la loro marginalità sociale, non sono adeguatamente presi in carico dal Ssn; non solo, il carcere per questi pochi irriducibili, è paradossalmente una occasione di cura, dove è possibile rispondere all’esigenza terapeutica ma anche alla promozione della salute mediante educazione sanitaria e prevenzione sanitaria.
Non è infine al momento valutabile, anche se generalmente ammesso, in quale proporzione il carcere in quanto tale (attraverso fattori di rischio quali le condizioni ambientali generali, la sedentarietà, il sovraffollamento, l’alimentazione, la scarsa igiene), faccia aumentare il rischio di ammalarsi.
Seena Fazel e Jacques Baillargeon, in una revisione degli ultimi 19 anni della letteratura medica penitenziaria pubblicata nel novembre 2010 [18/11/2010 - The health of prisoners. Fazel S, Baillargeon J. Comment in Lancet. 2011 Jun 11;377(9782):2001-2. Lancet. 2011 Jun 11;377(9782):2001.], documentano la difficile situazione sanitaria penitenziaria riscontrabile anche nei Paesi occidentali, compresa l’Italia; suggeriscono anche alcune misure di fondamentale importanza. La popolazione detenuta ed i Servizi sanitari penitenziari dovrebbero:
1. ricevere massima attenzione e adeguate risorse, in quanto costituiscono un’occasione unica di raggiungere una parte marginalizzata della società;
2. essere assegnati al Servizio sanitario pubblico, in quanto “i valori dell’Amministrazione della Giustizia, che hanno come priorità la sicurezza, non sono sufficientemente orientati ai valori della salute”;
3. poter contare su screening per le patologie somatiche e per le patologie mentali, preferibilmente con metodiche standardizzate;
4. mettersi in condizioni di avere statistiche sanitarie affidabili rispetto alla popolazione detenuta, non abbiamo infatti dati certi e confrontabili dai quali partire per le necessarie valutazioni e programmazioni;
5. disporre di politiche sanitarie specifiche per la popolazione detenuta;
6. disporre di programmi di dimissione dal carcere e invio al servizio territoriale per il trattamento dopo la dimissione dal carcere;
7. ricevere un maggior interesse dal mondo accademico e della ricerca, per potere trarre vantaggio dai progetti innovativi;
8. ricevere maggior interesse dalla professione medica, dal sistema di cura professionale e dal volontariato;
9. essere oggetto di una volontà di riforma del sistema sanitario penitenziario da parte della società.
È spontaneo domandarci cosa sia delle risorse terapeutiche e della loro efficacia. Scarsissimi sono i dati relativi alla cura dei disturbi psichiatrici, maggiori evidenze abbiamo sulla tossicodipendenza. Ogni considerazione poi avrà come necessario completamento la valutazione della capacità di diagnosi e di cura delle malattie del corpo, parte ineludibile per prendersi cura della patologia della mente.
Ci domandiamo anzitutto se le risorse dedicate al carcere siano adeguate; ci domandiamo poi se le risorse comunque dedicate siano spese adeguatamente. Da ultimo ci interroghiamo sulla efficacia delle azioni sanitarie sulla popolazione dei detenuti.
Il dato quantitativo che è disponibile rende conto di una attività intensissima, quindi a prima vista alla domanda sulla adeguatezza delle risorse poste in campo si potrebbe rispondere affermativamente. Ovviamente molto difficile rispondere alla seconda domanda, salomonicamente potremmo parlare di spazi di miglioramento, ma in quale direzione ci vogliamo addentrare è la difficile scelta.
Il Dpcm 1 aprile 2008 ha trasferito la competenza della sanità penitenziaria dal ministero della Giustizia al Servizio sanitario nazionale, concludendo un percorso iniziato con il d.lgs. 230/99. In attuazione dell’articolo 32 della Costituzione le Regioni hanno acquisito il compito di tutela della salute delle persone detenute al pari di quelle libere.
Dai nove punti sopra riportati e dalle considerazioni generali sopra esposte possiamo provare alcune osservazioni: in Italia (una delle sei nazioni al mondo che rispondono a questo criterio) il Servizio sanitario penitenziario è dall’ottobre 2008 assegnato al Servizio sanitario nazionale, il passaggio è di fatto in corso e l’Emilia Romagna è tra le regioni che fanno da battistrada in questo percorso. Ai passi formali hanno incominciato a far seguito fatti organizzativi e prassi che vanno nella desiderata direzione dell’integrazione, ma siamo agli inizi di un cambiamento che si rivela assai complesso.
Nella circolare 15/20013 della Rer si riporta:
“Gli obiettivi di salute della popolazione detenuta coincidono con quelli dei cittadini liberi, avendo entrambi pari dignità rispetto alla cura:
1.promozione:
- salubrità degli ambienti e di condizioni di vita dignitose, pur in considerazionedelle esigenze detentive e limitative della libertà;
- benessere mirato all’assunzione di responsabilità diretta nei confronti della propria salute, in particolare all’interno dei programmi di medicina preventiva e di educazione sanitaria;
- sviluppo psico-fisico dei soggetti minorenni sottoposti a provvedimento penale;
2.prevenzione:
- primaria, secondaria e terziaria, attraverso progetti specifici, per patologie e target diversificati di popolazione, in rapporto all’età, al genere, e alle diverse etnie;
- del disagio e il contrasto dei fattori di rischio al fine di ridurre gli atti di autolesionismo e il fenomeno suicidario”.
Le strategie sanitarie sono esposte nei documenti ufficiali, ma non sono ancora state oggetto di estesa applicazione; così gli screening sanitari non hanno sistematico riscontro nella realtà. Il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione e dalle leggi del nostro Paese, ha ancora una applicazione limitata in ambito penitenziario. Un punto particolarmente critico è quello della continuità terapeutica e della integrazione tra il servizio fornito in carcere ed i servizi territoriali.
Possiamo affermare che dalla fine del 2010 i presupposti organizzativi sono stati realizzati, almeno in alcune regioni battistrada, e che siamo in fase di realizzazione dei passaggi operativi che, pur con persistenti difficoltà, potranno completare la riforma della sanità penitenziaria avviata nel 2008. Gli obiettivi a breve sono il consolidamento della sorveglianza infettivologica, della informazione sanitaria e della prevenzione attraverso le vaccinazioni e soprattutto con la diffusione di stili di vita volti a prevenire il rischio di malattia anche in ambiente penitenziario.
Il grande interesse ora rivolto alle carceri ed alla popolazione detenuta può garantire la tensione verso questi alti obiettivi. Le Aziende Usl, con la necessaria partecipazione di tutti gli operatori sanitari, possono importare, anche nel sistema penitenziario, l’obiettivo di promuovere le attività ed i programmi di prevenzione in tutte le sue accezioni; rappresentano inoltre una opportunità di cambiamento attraverso l’innovazione tecnologica; l’integrazione professionale multispecialistica e multidisciplinare; il monitoraggio dei flussi informativi.
Il nuovo approccio deve inoltre favorire nella persona detenuta la consapevolezza del concetto di salute come benessere, con auspicabili ricadute positive in termini di capacità di essere “utente di un servizio”, riorientando le proprie strategie alla realizzazione di un obiettivo personale di salute.
La concezione stessa della medicina ha occasione per passare da un approccio reattivo alle malattie ad uno proattivo alla produzione del benessere, diventando personalizzata, predittiva, preventiva e partecipativa. [La medicina delle 4 P secondo Hood - Hood, L., and Flores, M., A personal view on systems medicine and the emergence of proactive P4 medicine: predictive, preventive, personalized and participatory, New Biotechnol. (2012), doi:10.1016/j.nbt.2012.03.004]
Se questi sono gli ideali verso i quali possiamo tendere, ci domandiamo quali sono tuttavia le realizzazioni possibili e le risorse alle quali attingere, soprattutto a fronte del contesto penitenziario.
La riforma posta in essere dal Dpcm del 01/04/2008 tocca in modo significativo i primi 8 punti sopra riferiti da S. Fazel e J. Baillargeon; una sottolineatura importante è meritata da: “ricevere un maggior interesse dal mondo accademico e della ricerca, per potere trarre vantaggio dai progetti innovativi” e “ricevere maggior interesse dalla professione medica, dal sistema di cura professionale e dal volontariato”. Da questa specifica attenzione può infatti derivare, per il mondo penitenziario, l’occasione di costitutire una sperimentazione altamente innovativa, nel contesto più difficile infatti si possono realizzare le condizioni per un fare un'esperienza di ricerca, della quale conosciamo i presupposti teorici, ma che è alle soglie della applicazione.
Il punto 9, “essere oggetto di una volontà di riforma del sistema sanitario penitenziario da parte della società”, riportato per ultimo, è precondizione essenziale, che va al di là delle possibilità di intervento del Sistema sanitario: riportato per ultimo sembra riassuma tutti i precedenti, infatti dalla volontà generale di porre attenzione al problema della reclusione può derivare la serie degli effetti auspicati nei punti che precedono.

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