Sovraffollati, fatiscenti e sotto controllo da parte della Corte europea
dei diritti dell’uomo. Gli Istituti penitenziari italiani attraversano
una fase di cambiamento, ma la strada verso un riassetto strutturale
è ancora lunga. Il numero dei detenuti scende mentre prendono quota
le pene alternative come i braccialetti elettronici. Per il ministro
della Giustizia Orlando: «Bisogna puntare su strumenti alternativi».
Osservatorio Antigone: «Siamo ancora lontani dalla media europea».
I sindacati: «Soluzioni concrete anche per la Polizia Penitenziaria».
Nel frattempo il Dap cerca un nuovo capo
Carcere come un luogo drammatico dove speranze e prospettive lasciano spazio alla rassegnazione di una vita senza futuro. Di sicuro non era questo l’obiettivo dell’Assemblea Costituente quando, nel lontano 1948, dava vita alla Costituzione Italiana mettendo nero su bianco i diritti e doveri dei cittadini. Purtroppo, però, sono queste le condizioni a cui devono far fronte, ogni giorno, la maggior parte dei reclusi in Italia. Giuseppe Saragat, Umberto Terracini e Umberto Tupini – solo per citarne alcuni – sgranerebbero gli occhi nel constatare quanto lo Stato di oggi si discosti da quelle fondamentali linee guida tracciate, da loro stessi, sessantasei anni prima. Eppure l’articolo 27 della Carta costituzionale è di una chiarezza adamantina: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». Un principio ripreso anche dal Consiglio d’Europa con un altrettanto cristallino articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che recita testualmente: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». Per non parlare della Carta dei diritti e dei doveri del detenuto e dell’internato che, con le modifiche apportate dal decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000, ha l’obiettivo di ottenere maggiore consapevolezza «da parte della popolazione carceraria delle regole e dei diritti destinati a conformare la loro vita per un periodo di tempo più o meno lungo, periodo che in ogni caso costituisce sempre una parentesi rilevante che, si spera, possa concludersi con un arricchimento della persona e non con la negazione delle sue positive peculiarità».
Come spesso accade in Italia, però, anche nel sistema penitenziario le leggi e i regolamenti trovano una certa difficoltà ad avere un’attuazione concreta e stabile nella quotidianità. Per comprendere fino in fondo l’entità della scollatura tra la pena detentiva, così come riportata dal vertice nella gerarchia delle fonti di diritto, quale la Costituzione Italiana, e le effettive condizioni degli istituti penitenziari, occorre analizzare bene i numeri del fenomeno. Secondo l’ultimo rapporto divulgato dal ministero della Giustizia, al 30 aprile 2014 i detenuti presenti nelle carceri italiane sono 59.683, di cui 20.521 stranieri (34,3 per cento). Un dato che sta lentamente scendendo anche grazie ai vari provvedimenti introdotti, nel 1986, dalla legge Gozzini come la detenzione domiciliare negli ultimi mesi di pena, l’aumento della liberazione anticipata per buona condotta, l’affidamento ai servizi sociali e la semilibertà. Un dato incoraggiante, quello sul progressivo svuotamento delle carceri, a cui si è arrivati anche grazie al crescente utilizzo del braccialetto elettronico: si è passati dalle 26 unità del 2013 a alle mille del 2014. Ma se da una parte il numero di detenuti e sceso di oltre sei mila persone rispetto all’anno precedente, anche il dato dei posti disponibili è da rivedere al ribasso. Dalla capienza regolamentare vanno sottratti 4.762 posti letto, attualmente non disponibili per effetto della spending review che ha portato pesanti tagli ai fondi destinati alla manutenzione ordinaria, costringendo l’amministrazione penitenziaria a chiudere alcuni reparti. Dunque, il problema del sovraffollamento è una delle principali criticità del sistema penitenziario italiano. Con un tasso del 134,6 per cento, ovvero 134,6 detenuti per cento posti letto, nella classifica del Vecchio Continente dei Paesi più virtuosi l’Italia è davanti solo a Cipro, Ungheria e Serbia. Un risultato di certo poco lusinghiero visto che la media europea si attesta al 97,8 per cento. E proprio sul sovraffollamento delle carceri che si è attivata la procedura europea di controllo. Infatti, l’8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire sette detenuti per il trattamento disumano e degradante subìto durante la permanenza nelle case circondariali di Piacenza e Busto Arsizio. Secondo i giudici di Strasburgo i reclusi sono stati fatti vivere in uno spazio troppo stretto e per troppo tempo in celle non idonee perché al di sotto dei tre metri quadri previsti per legge. Il provvedimento, meglio conosciuto come sentenza Torreggiani, dal nome di uno dei ricorrenti, ha da un lato accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo da parte dello Stato italiano, dall’altro ha aperto la strada a migliaia di ricorsi analoghi facendolo diventare una sentenza pilota. Il 28 maggio 2013, dopo aver respinto il ricorso presentato dal Governo Monti, il Consiglio d’Europa ha concesso all’Italia un anno di tempo per individuare le misure di compensazione volte a sanare le posizioni di chi è stato riconosciuto vittima di un trattamento inumano e degradante e attivare le soluzioni strutturali necessarie per risolvere il problema alla radice. Dopo la scadenza della proroga, avvenuta il 28 maggio scorso, e la valutazione positiva da parte del Consiglio d’Europa sulle azioni delle autorità italiane messe in campo per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, è arrivata l’attesa legge sui rimedi risarcitori. Una norma che, oltre a compensare le violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, allontana in maniera decisa una possibile condanna targata Strasburgo.
Ma quali sono le principali novità introdotte dalla legge entrata in vigore lo scorso agosto? In sintesi, oltre al risarcimento in denaro e allo sconto di pena, la norma prevede un’estensione del diritto minorile per i detenuti under 25 anni, il divieto di custodia cautelare in carcere in caso di pena non superiore ai tre anni, la possibilità di destinare i giudici di prima nomina alla magistratura di sorveglianza in caso di uno scoperto d’organico superiore al venti per cento e un incremento del personale della Polizia penitenziaria pari a 204 unità.
Una legge che trova d’accordo anche il presidente nazionale dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella: «Quando lo Stato vìola la dignità umana di qualunque persona, è legittimo che debba essere risarcita. Si tratta di una legge importante – prosegue Gonnella – che prevede un risarcimento per chi ha subito un trattamento inumano e degradante. Speriamo serva anche a fare in modo che in futuro non si ritorni ad una situazione di sovraffollamento ingestibile.
Ricordiamo che sono ancora migliaia le persone in più nelle carceri rispetto ai posti disponibili, per questo – conclude il presidente di Antigone – è importante che, ad esempio in materia di droghe, si facciano passi avanti in direzione di una legge meno punitiva».
È da sottolineare che il «sovraffollamento grave» riportato dai giudici europei nel testo della sentenza Torreggiani, seppur in qualche modo ridimensionato grazie alla diminuzione del numero di reclusi e all’aumento di misure alternative al carcere, sembra ancora lontano da una soluzione soddisfacente. Secondo quanto rilevato nei mesi scorsi da Antigone, ci sono ancora alcuni penitenziari dove il tasso di affollamento rimane ben al di sopra del tollerabile. «I dati migliorano – osserva Antigone – ma siamo comunque lontani dalla media europea che è del 97,8 per cento. La situazione comunque non è omogenea, in alcune regioni il tasso sfiora ancora il 150 per cento: in Puglia è del 148,4 per cento, in Liguria del 148 per cento, in Veneto del 139,9 per cento, in Lombardia del 136,7 per cento, nel Lazio del 133,7 per cento fino ad arrivare al caso limite di Secondigliano (Napoli), dove il sovraffollamento ad aprile era di oltre il 200 per cento (1.357 detenuti il per 650 posti). È così che – come i volontari dell'associazione hanno constatato nelle visite effettuate questo mese – si verificano ancora casi di scabbia (Rebibbia Nuovo Complesso), carenza di attività rieducative e mancanza di spazi per le attività di trattamento e socializzazione». Un emergenza sanitaria confermata anche dai dati diffusi dal Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) durante il suo congresso a Torino. Dati allarmanti, quelli presentati al simposio, che evidenziano un notevole aumento nelle carceri italiane delle malattie infettive come tubercolosi, epatiti e Aids. Su questo aspetto si è soffermato Sergio Babudieri, professore associato di malattie infettive all’Università di Sassari e presidente della Simspe, che ha rilevato come tra i carcerati il 30/40 per cento delle persone abbiano contratto l’epatite C, il sette per cento l’epatite B mentre l'infezione della tubercolosi si attesta oltre il 50 per cento. «Questi numeri dovrebbero essere raccolti dallo Stato – afferma Babudieri – occorre un Osservatorio nazionale di studi sulla sanità in carcere. Uno degli scopi del congresso è proprio quello di iniziare a ragionare sulla creazione di raccomandazioni che possano poi essere presentate all'interno di un documento ufficiale e consegnate alle Istituzioni. Alcuni gruppi di lavoro – conclude il presidente del Simspe – si stanno già attivando su questo argomento».
Come appare evidente, il problema del sovraffollamento non è fine a se stesso e si trascina dietro nuove mancanze. Perché un istituto penitenziario con più detenuti di quanti ne può contenere comporta una conseguente carenza di tutte quelle figure professionali indispensabili che gravitano intorno al pianeta carcere come i sanitari, gli educatori e gli assistenti sociali. Una criticità strutturale, dunque, alla quale sarà difficile trovare una soluzione in tempi brevi.
Un punto su cui lavorare in futuro per ridimensionare ulteriormente il numero di detenuti c’è e mette d’accordo associazioni e istituzioni: fare accedere alle misure alternative alla detenzione un numero maggiore di reclusi. È di questo avviso anche il ministro della Giustizia, Andrea Orlandi, che nel corso della cerimonia per l’anniversario della Polizia penitenziaria ha espresso la volontà di imboccare questa strada: «La notevole inversione di tendenza registrata negli ultimi anni, che ha visto passare il numero di detenuti ammessi a misure alternative dai 12.455 casi del 2009 ai 29.223 del 2013, non è ancora sufficiente. È mia ferma convinzione – ha aggiunto il Guardasigilli – che per dare piena attuazione al dettato costituzionale occorre puntare, in via preferenziale e salve le prioritarie esigenze di sicurezza, su strumenti alternativi. Questo modello lo ritengo necessario per ottenere una maggiore responsabilizzazione del condannato che sia pienamente funzionale al suo più pronto recupero». Secondo il ministro, le ragioni del sovraffollamento carcerario «non dipendono solo dal numero di reati e di condanne e dall’insufficienza delle strutture. Lo sbilanciamento, peculiare nel nostro Paese, tra sanzioni detentive e misure alternative, che vede le prime prevalere sulle altre, incide con altrettanta forza». Infine, il ministro ha evidenziato che una delle priorità da affrontare è quella delle «carenze d’organico» del personale della Polizia penitenziaria. «Su 45.121 unità – ha detto Orlando – oggi ne mancano 6.321, con una carenza pari al 14 per cento. Un passo importante – conclude il Guardasigilli – sarà la già annunciata assunzione, nel corso di quest’anno, di 506 nuovi agenti».
Parole, quelle del ministro Orlando, accolte con soddisfazione dalla Fnd-Cisl. Il sindacato della Polizia penitenziaria ribadisce l’importanza del ruolo degli agenti che operano all’interno degli istituti penitenziari. «Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, si è finalmente reso conto di quanto sia grave il problema della carenza del personale penitenziario in Italia». È quanto dichiara il segretario della Fns-Cisl, Pompeo Mannone. «Il problema delle carceri – osserva il segretario – non riguarda solo i casi di sovraffollamento, ma coinvolge anche il personale penitenziario, troppo spesso dimenticato e che subisce sulla propria pelle i disagi complessivi di un ambiente spesso invivibile». Mannone ricorda che «le carceri italiane versano in uno stato di emergenza continua, non solo a causa del grande numero di detenuti, ma anche per la limitatezza degli organici della polizia penitenziaria e per le condizioni strutturali in cui versano molti istituti di pena».
Sull’argomento della carenza di personale interviene anche il segretario nazionale dell'Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti: «Le soluzioni da adottare non possono riguardare solo lo smantellamento dell'attuale iter procedurale nell'applicazione delle misure detentive in carcere. La situazione richiede, attraverso una ponderata analisi della condizione strutturale delle carceri esistenti, l’ampliamento della ricettività dei penitenziari, conformando l'organico alle reali necessità. In tal senso – conclude il sindacalista – riteniamo di sollecitare ancora una volta il ministro a effettuare un esame che non si fermi al rilevamento delle condizioni di disagio della popolazione detenuta, ma affronti il senso di abbandono in cui versa soprattutto la Polizia penitenziaria, a rischio estinzione se non si procede ad un ripianamento della pianta organica e a un rilancio del ruolo rivestito dalle donne e dagli uomini che operano ogni giorno silenziosamente nelle carceri».
Ma buttando uno sguardo al di fuori dei confini nazionali, come si comporta l’Italia rispetto agli altri Paesi europei? Le carceri italiane si confermano tra le più sovraffollate. Tra i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa solo cinque hanno superato la soglia dei 130 detenuti per 100 posti disponibili: Italia, Cipro, Ungheria, Grecia e Serbia. A denunciarlo, ancora una volta, è il Consiglio d'Europa, con un rapporto annuale sulle statistiche carcerarie riferito al 2012. Il problema – si legge ancora nel rapporto – è che oltre ad essere le più affollate, le carceri italiane si evidenziano per un altro record: contengono il più elevato numero di detenuti per reati legati al traffico di droga, pari al 38,8 per cento del totale dei condannati, contro una media europea del 17,1 per cento. Una nota dolente arriva anche dalla classifica dei Paesi dove si sono registrati più suicidi in carcere. Nel 2011, negli istituti penitenziari italiani si sono suicidate 63 persone. L’Italia è seconda solo alla Francia, dove nello stesso anno si sono tolti la vita cento detenuti. Seguono Inghilterra, Galles, Germania e Ucraina. In generale, il furto e il traffico di droga restano i reati per i quali più facilmente si finisce in carcere in Europa, seguiti da rapina e omicidio. In Italia solo lo 0,7 per cento dei detenuti è in carcere per reati legati alla criminalità organizzata quota fra le più contenute del Vecchio Continente. Al contrario, nel nostro Paese è molto elevata la proporzione dei condannati a più di vent’anni. Il 4,8 per cento contro una media dell'1,9 per cento. I dati raccolti si riferiscono a 47 delle 52 amministrazioni carcerarie d'Europa. L'Italia nel suo palmares vanta anche un'altra maglia nera. È infatti, dopo Ucraina e Turchia, il paese con più detenuti in attesa di un primo giudizio, con il 21,1 per cento del totale. Fa riflettere anche la spesa sostenuta nel 2010 dal Dap per ogni singolo detenuto: l'Italia nel 2010 ha speso, escludendo le spese mediche, 116,68 euro al giorno per ogni carcerato. Allo stesso tempo la Francia e la Germania, che prendono in considerazione anche le spese mediche, ne hanno spesi rispettivamente 96,12 e 109,38. Dati sicuramente meno aggiornati quelli europei, rispetto alle statistiche fornite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e dall’Osservatorio Antigone, ma altrettanto importanti per recuperare il divario creatosi, negli anni passati, sul tema carceri tra l’Italia e il resto d’Europa.
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