Un secolo fa il vagabondo più celebre della storia del cinema faceva la sua prima apparizione davanti a una macchina da presa, armato di bombetta, con una faccia tra il malinconico e il furbetto, baffi, una giacchetta striminzita, soltanto i primi due bottoni allacciati, una cravatta senza nodo, un gilet sdrucito sopra a una camiciola a collo alto, pantaloni al malleolo, legati alla cintola con una cordicella di fortuna. Ed infine, un paio di scarponi semisfasciati di tre o quattro misure più grandi. A completare il quadro un bastoncino di bambù.
Questo era il grande personaggio cui siamo stati abituati a vedere in pellicola.
100 anni di Charles Charlot. La Cineteca di Bologna e l’Association Chaplin hanno voluto ricordare questo importante anniversario con tre giorni di eventi per celebrare quello che probabilmente è stato l’unico regista a catturare l’essenza cupa del XX secolo, e a raccontarla con un linguaggio universale e in chiave solo in apparenza leggera.
Sul grande schermo appare nel febbraio del 1914 in “Kid Auto Race At Venice”, e “Le Comiche Keystone” dove Charles Chaplin dava vita al suo personaggio per eccellenza.
“Il Vagabondo” conquistò l’America ed ebbe un clamoroso successo anche in Italia e in Francia. Si pensi che nello stesso 1914 Charlot fu protagonista di altre trentaquattro comiche, brevi quanto si vuole, come a dire poco meno di una ogni dieci giorni.
Un gran bel tipo: così candido da poter tranquillamente essere preso per fesso. Così maldestro da sfiorare a ogni passo monumentali catastrofi, ma più spesso provocandole, secondo l’immutabile destino dei clown. Si appoggia a un muro e l’intera casa crolla, allunga una gamba e fa inciampare una coppietta, si tuffa in acqua e affonda una barca. Sempre affamato, sempre di corsa, sempre in pericolo. Volto impassibile, un sorriso ogni tanto, la bombetta incollata alla testa, anche quando deve svignarsela a gambe levate.
Un vero genio non solo di comicità, come in “Tempi Moderni” del 1936. Charlot, disoccupato, tanto per cambiare, cammina senza meta quando un camion che lo precede perde la bandierina per la segnalazione di carico sporgente. Afferra il drappo, lo sventola mentre insegue l’autista distratto. In quel preciso istante da una via laterale sbuca un corteo di scioperanti. Neanche a farlo apposta, l’omino diventa inconsapevole capofila della protesta.
Il film, oltre che muto è in bianco e nero, ma la platea capisce che quella bandierina è rossa. Inesorabile passepartout per la galera.
Di capolavori, veri e più ancora presunti, si sono riempiti gli schermi e le penne dei critici.
Tra questi “La febbre d’oro”, girato nel 1925 e che è stato proiettato nella tre giorni a Bologna in versione restaurata.
La Cineteca di Bologna ha curato la pubblicazione, in inglese, di un romanzo inedito di Chaplin, “Footlights”, scritto nel 1948 sceneggiatura base quattro anni dopo di “Luci della Ribalta”.
Anche in questo film, come è regola, Chaplin è protagonista. Le risate si accavallano alla commozione in frammentate da scene emozionanti, come quella in cui l’omino, devastato dalla fame, addenta una scarpa, scambiando i lacci per spaghetti.
Una straordinaria altalena di emozioni raggiunge il suo punto più alto in “Luci della Città” del 1931. Charlot si innamora di una povera fioraia cieca, che lo crede milionario e lo invita comprare un fiore che Charlot acquista con l’unica moneta aveva. Deciso di trovare i soldi per curare la ragazza, dopo svariate disavventure viene accusato di furto ma trova i soldi per l’operazione.
Passa il tempo e uscito dal carcere Charlot vede dalla vetrina di un negozio di fiori la ragazza che ora vede ma non può riconoscerlo. Lei esce, gli sfiora la mano e capisce in un lampo. L’amore e la gratitudine racchiusi in uno sguardo e in una carezza. La scena è una delle più commoventi della storia del cinema.
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