“Se volete andare negli Stati Uniti per meno di tre mesi, come turisti, non avete bisogno di un visto alla partenza. In cambio, vi dovete dotare di un passaporto elettronico. Ciò consente all’arrivo al funzionario americano di collegarsi con le banche dati del vostro Paese e di ricostruire on the spot il vostro profilo anagrafico, penale e giudiziario, non ché – presumibilmente – politico e ideologico. In base ad accordi recenti con l’Unione Europea, è possibile che diversi altri dati siano concessi alle autorità americane (medici, morali, sessuali, ecc.). Si tratta di una forma di subordinazione all’alleato d’oltreoceano, ovviamente giustificata dagli attacchi dell’11 settembre e, in generale, dalla lotta contro il terrorismo”.
Ha inizio con questo esempio la presentazione (di Alessandro Dal Lago e Salvatore Palidda) di “Un mondo di controlli”, numero 5 della rivista semestrale Conflitti globali, una pubblicazione edita, con il contributo della Commissione europea, dal Dipartimento di Scienze Antropologiche (Disa), e dotata di un prestigioso Comitato scientifico di docenti universitari europei e americani.
“Ma non c’è bisogno di andare così lontano – prosegue la presentazione – per accorgersi che la nostra vita (materiale, ma non solo) è schedata in un’infinità di modi. Se, per esempio, uno ha pagato in ritardo, anni fa, la rata di un prestito, è probabile che un’altra società di credito gli rifiuti il finanziamento per acquistare un’automobile. Innumerevoli indizi fanno ritenere che le banche dati siano intercomunicanti non solo all’interno di un settore (per sempio, quello bancario), ma tra diversi settori. Se questo è vero, significa che tutto quello che facciamo quando ci colleghiamo al Web o inseriamo una carta in qualche sistema, è rintracciabile… In poche parole, che è dotato del potere di schedare qualcuno (perché fa parte di apparati pubblici e privati di controllo o per vendergli qualcosa) è in grado di entrare nella nostra vita privata. Naturalmente, se non si è degli hacker esperti (ovviamente correndo grossi rischi), il contrario non è possibile. Voi, gli schedati, non potrete entrare mai nel pensiero e nella vita degli schedatori”.
Buono a sapersi. Del resto, molti possono considerare queste intrusioni poco importanti per quanto li riguarda. E tutti sanno che – soprattutto grazie all’onnipresente elettronica – i controlli si estendono in varie direzioni. A chiunque capita di dire: “Di questo è meglio non parlarne al telefono”. Le intercettazioni sono praticamente nate con l’invenzione di Bell (o di Meucci), ma da qualche tempo hanno assunto caratteri molto più sofisticati. Il che può preoccupare, ma non manca di solleticare il malizioso demone della curiosità. “Dalla controllabilità universale discende un macroscopico cambiamento dell’opinione pubblica, e in primo luogo dei media. Un tempo il giornalismo raccontava o travisava i cosiddetti fatti. Oggi racconta o travisa la vita privata di chiunque. In nome della libertà di informazione – che ovviamente noi cittadini qualsiasi non deteniamo – conversazioni private (che abbiano una rilevanza pubblica anche indiretta) vengono immediatamente pubblicate. L’antipatia o l’avversione che possiamo nutrire per gran parte del ceto politico non ci deve far dimenticare che la vita privata dovrebbe essere un santuario inaccessibile in società che si vogliono democratiche… La schedatura virtualmente universale non significa che qualche Grande fratello sia perennemente in ascolto per registrare le nostre vite. Significa invece, proprio per l’irrazionalità complessiva della società dei controlli, che l’esistenza è sottoposta all’alea di sistemi basati sull’anarchia del profitto e dello scambio, non sull’ossessione centralizzatrice. Se solo gli apparati pubblici ci controllassero, prima o poi susciterebbero resistenze e opposizioni. Alla fine qualcuno porrebbe il problema di distruggere il computer centrale, un evidente sogno o incubo tra fantascienza e fantapolitica. Ma oggi l’informazione sulla vita privata è merce di scambio e quindi segue la logica accentrata del capitale, in cui, per intenderci, oligopoli in competizione producono più profitto delle economie dirigiste e lasciano qualche spazio all’iniziativa dei singoli. Se da una parte questo ci garantisce una sorta di paradossale pluralismo (fino al punto che nessun sistema di controllo può escludere di essere controllato da qualche concorrente), dall’altra rende però infinitamente più disponibili le informazioni”.
Condizionamenti della paura
“Nel corso degli anni Ottanta e Novanta, e ancor di più dopo gli attentati dell’11 settembre, di Madrid e di Londra, due fenomeni si sono sovrapposti e alimentati a vicenda: l’ascesa delle paure e delle insicurezze e il successo delle risposte sicuritarie o della ‘tolleranza zero’, a livello locale e su scala mondiale sino alla guerra permanente. Le conseguenze sono state l’enorme inflazione dei controlli ‘postmoderni’, la riproduzione continua delle paure e l’affermazione della necessità del sacrificio della libertà e delle garanzie dei diritti fondamentali in nome della sicurezza. L’esito politico più importante, ma meno evidente, è l’erosione delle possibilità di agire politico da parte dei subalterni e dei dissidenti, così come l’affermazione delle scelte militari-poliziesche a scapito della politica, della diplomazia e quindi della gestione negoziata e pacifica dei conflitti del disordine”.
Nel capitolo titolato “Politiche della paura e declino dell’agire pubblico”, Salvatore Palidda mostra come questi fenomeni coincidano con “una congiuntura politica segnata dalla riproduzione continua della coesistenza di disordine e ordine, di guerra e pace, del conflitto e della mediazione, e come essa sia conseguenza della destrutturazione politica innestata dallo sviluppo neoliberista. Ma, contrariamente all’idea di ‘distruzione creativa’ di Schumpeter, la prospettiva politica attuale non sembra condurre verso un nuovo ordine, un Grande fratello o un effettivo panottico ‘postmoderno’, ma più semplicemente a una molteplicità di poteri che possono abusare di ogni sorta di controllo e di violenza nei confronti dei subalterni e dei concorrenti. La pratica e gli abusi delle attività di spionaggio di ogni sorta sono sempre esistiti, operando a vantaggio degli attori forti. Ogni innovazione tecnologica ha offerto sempre nuove potenzialità allo spionaggio, al controllo sociale e politico e in genere a ogni modalità di esercizio del potere, di lotta per conquistarlo o di competizione fra concorrenti. L’inflazione delle molteplici forme del controllo e dei loro abusi è dovuta non solo alle nuove tecnologie, ma soprattutto all’accessibilità dei dispositivi a molteplici soggetti sociali, pubblici e privati. Si è quindi sviluppato un vero e proprio mercato delle informazioni su persone, organizzazioni e ogni sorta di attività e affari. L’ibridazione fra pubblico e privato, fra interno ed esterno, fra lecito e illecito ha favorito l’inflazione dello spionaggio e dei controlli. Come scrivono gli autori di un’autorevole ricerca, la ‘società di sorveglianza’ sembra essere definitivamente affermata”.
Palidda indica lo sviluppo dei controlli ‘postmoderni’ agli inizi degli anni Ottanta, con l’introduzione in Francia del Minitel, un sistema informatico precedente a Internet, che collegava un monitor a vari servizi, utilizzato anche per apparati di sorveglianza, e l’introduzione dei sistemi di telesorveglianza e di controllo dei telefoni pubblici in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.
“Verso la fine degli anni Novanta, dopo lo ‘scanorama’ descritto da Mike Davis, si arriva alla scoperta di Echelon, alla diffusione planetaria del modello sicuritario e dell’esaltazione del controllo totale postmoderno che di fatto affascina tanto i sostenitori che gli oppositori. Oltre al proliferare di telefilm, reality show e film, anche gli artisti si appassionano al fenomeno con mostre e installazioni: in quella curata da Y. Levin oltre 60 artisti ricostruiscono un percorso che passa per il Panopticon di Bentham, il Grande fratello di Orwell, la società disciplinata descritta da Foucault, fino a giungere alle tecnologie più sofisticate e invisibili. La letteratura critica sui controlli e il sicuritarismo postmoderni, intanto, continuava a svilupparsi”. Lo sviluppo e il moltiplicarsi dei sistemi di controllo ‘postmoderni’, rileva Palidda, non è servito ad alzare il livello della sicurezza: “L’attentato a Londra ne rappresenta un clamoroso esempio: il riconoscimento degli attentatori è stato fatto solo grazie alla collaborazione del padre di uno di loro, mentre la Polizia non riusciva a individuare nessuno scorrendo le migliaia di registrazioni video del suo sistema CcTv”.
E il moltiplicarsi degli allarmi a tutto campo crea confusione nell’opinione pubblica, spingendo i cittadini a concedere al potere (anzi, ai poteri) deleghe sempre più ampie: “Sta qui l’erosione dell’agire politico a favore dei poteri forti. Fra questi gli imprenditori del sicuritarismo che spesso si confondono con le autorità statali e politiche. Uno degli aspetti più impressionanti di venticinque anni di sicuritarismo è appunto l’enorme ascesa del business poliziesco-militare e dell’inflazione dei controlli, senza peraltro alcuna riduzione delle paure e dell’insicurezza. Nessun dispositivo potrà evitare attentati come quelli di Madrid o di Londra. Ed è anche evidente che il terrorismo, che pretende di ribaltare l’asimmetria di potere e di potenza, con effetto speculare contribuisce a rafforzare l’erosione delle possibilità dell’agire politico dei subalterni”.
Quindi, conclude l’autore, i sistemi che gestiscono, anche in forme disordinate, un controllo espansivo a vari livelli, operano attivamente per renderlo accettabile: “I sondaggi d’opinione assicurano che esso gode della piena approvazione da parte della popolazione dei Paesi dominanti, che spera di essere protetta in cambio del sacrificio apparentemente banale della sua privacy. In realtà, non è stata tanto la privacy a essere violata, ma anche la seppur minima possibilità di incidere sulle pratiche dei poteri (al punto da fare passare l’azione giudiziaria contro abusi e reati come un’iniziativa dovuta a interessi privati mascherati”.
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Conflitti globali 5
Politiche della paura e declino dell’agire pubblico – Salvatore Palidda
Sorvegliare (a distanza) e prevenire. Verso una nuova economia della visibilità – Eric Heilmann
Sorveglianza soft. Come cresce la voglia di regalare informazioni personali – Gary T. Marx
Al bando. Sicurezza, eccezione e sorveglianza – Didier Bigo
Foucault e le società dei controlli. Il contributo dei surveillance studies – Roberto Ciccarelli
La macchina di Guillauté e la nascita della Polizia moderna – Eric Heilmann
Sulla svolta attuariale in criminologia – Bernard E. Harcourt
Il controllo militare dello spazio – Lorenza Sebesta
Guerra finanziaria e intelligence – Aldo Giannuli
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