In Italia sono circa 70mila le persone che esercitano
la prostituzione. Per molte di esse vendere servizi erotici
e sessuali è un lavoro che va tutelato e rispettato. Colloquio
con Pia Covre, prostituta e attivista, segretaria
del Comitato per i diritti civili delle prostitute
È vero. C'è il fenomeno delle “baby prostitute” e dello sfruttamento sessuale di donne spesso poco più che bambine costrette a vendersi. Ma la distinzione tra una persona adulta che sceglie di praticare sesso in cambio di denaro, e un’altra, il cui corpo è abusato contro la propria volontà, è fondamentale quando si discute di prostituzione, schiavitù e libertà. Ecco allora che, per chi ha scelto volontariamente di esercitare il mestiere più antico del mondo, il lessico diventa una questione politica: non prostituta dunque, ma sex workers, dove a contare è il sostantivo, più che l'aggettivo. Da anni in tutta Europa il movimento dei sex worker si batte per il riconoscimento di pari diritti e doveri di questa categoria di lavoratrici e lavoratori. In Italia non è facile parlare di lavoro del sesso. Complesso, in una società i cui valori sono fortemente condizionati dalla cultura cattolica, concepirlo come una scelta consapevole e autodeterminata. Ancora più difficile superare e guardare oltre la contrapposizione tra donne perbene (madri, mogli, figlie) e donne per male (meretrici, prostitute, puttane), quando si entra in una sfera tanto privata come quella sessuale. Quasi immediato usare la logica dei due forni, stigmatizzando, isolando e condannando colui che intraprende strade diverse. E la gestione dell'ordine pubblico diventa emarginazione a colpi di ordinanze violente e repressive ben lungi dall'offrire soluzioni per la sicurezza. I sex worker auspicano un intervento organico che regolamenti le prestazioni, vogliono pagare le tasse e versare i contributi per la pensione, perché, sostengono, nessun lavoro, nessuna scelta è degradante se fatta in piena libertà per sostenere se stessi o la propria famiglia. Chiedono di decriminalizzare la prostituzione di persone adulte e autodeterminate e di regolare gli accordi fra le parti secondo le norme commerciali che tutelano i prestatori di servizi privati alla persona; un sistema fiscale che sia equo e che si adatti alle specificità di questa attività e alle situazioni dei soggetti, con rispetto della privacy e della riservatezza; tavoli partecipati su ogni aspetto di gestione non trascurando che molte delle persone che scelgono questa attività si trovano in condizioni di svantaggio e vulnerabilità. Infine, gli operatori del sesso, rivendicano uno sforzo da parte degli attori sociali e delle Istituzioni per sensibilizzare l'opinione pubblica all’accoglienza non discriminatoria delle nuove figure professionali, affinché si superi l’atteggiamento pregiudiziale che ne ostacola una sana e corretta integrazione.
In Italia sono circa 70 mila le persone che esercitano la prostituzione. Per molte di esse vendere servizi erotici e sessuali è un lavoro che va tutelato e rispettato. Del lato sfuggente di un mestiere borderline, abbiamo parlato con Pia Covre, prostituta e attivista, segretaria del Comitato per i diritti civili delle prostitute (CDCP), fondato nel 1982, oggi divenuto una onlus.
Pia Covre, lei è la leader storica del Comitato per i diritti civili delle prostitute, che oggi ha più di 30 anni di attività alle spalle. Da quale esigenza nacque l'idea del Cdcp?
Nel 1982, insieme a Carla Corso e ad altre colleghe, decidemmo di organizzarci in questa associazione, in seguito ad un momento di protesta dovuto ad alcuni episodi di violenza da parte dei soldati americani della base (la base aerea di Aviano è un'infrastruttura militare italiana utilizzata dall'Usaf, l'aeronautica militare statunitense. Si trova nel comune di Aviano, in Friuli-Venezia Giulia, a circa 15 chilometri di Pordenone. n.d.r.) e ad altri casi di repressione da parte delle Forze dell'ordine. Ricordo che scrivemmo una lettera alla base, dicendo che non sapevamo di essere un pPese occupato. Di lì, visto il riscontro ottenuto dalla stampa, pensammo che avremmo potuto organizzare un'azione costante di sostegno alle donne.
Quali sono le attività principali del Comitato e i servizi che offrite?
La nostra associazione in tanti anni ha svolto soprattutto un lavoro in campo sanitario, di prevenzione, consulenza e aiuto per le prostitute. Proprio in quegli anni si cominciava a parlare del virus dell'Hiv, su cui organizzammo diverse campagne informative, ampliando poi la tematica dalle malattie sessualmente trasmissibili, alle disfunzioni ginecologiche in generale. Abbiamo dato il via ad iniziative di altri servizi, come le unità di strada, i camper informativi, che in varie città sono poi passati a carico di Asl e comuni. Negli anni '90 esplose il fenomeno delle donne migranti vittime di tratta. Per questa problematica seria e gravissima ci siamo battute proponendo progetti e premendo per una legge, che poi fu fatta (la legge Turco-Napolitano n.d.r.) anche su spinta delle associazioni cattoliche. Parallelamente, abbiamo sempre portato avanti un importante lavoro di sensibilizzazione, dibattendo sui media e nelle università su cosa significhi rispetto dei diritti umani e civili. Oggi spesso, con l'aiuto di alcuni professionisti, sosteniamo anche legalmente le donne che ci chiedono aiuto e lavoriamo con molti esperti organizzando corsi di formazione per operatori del sesso che vogliono anche prestare attività di volontariato.
Possiamo considerare il Comitato come un sindacato?
Non esattamente, perché purtroppo il nostro, in Italia, non è ancora un lavoro legalmente riconosciuto. Per ora siamo solo una onlus.
Qual è la differenza tra il termine prostituta e quello di sex worker?
Non c'è differenza. Noi chiamiamo sex worker una persona che in Italia si definisce prostituta, una parola antica e connotata negativamente. Pensiamo sia più corretto utilizzare lavoratore del sesso, una terminologia che definisce bene il fatto che questo per chi lo sceglie liberamente è un lavoro come un altro.
Cosa pensa del dibattito in corso sul referendum di parziale abrogazione della Legge Merlin?
Non sono favorevole ad un'abrogazione parziale perché, così come vengono proposte, le modifiche manterrebbero il fenomeno in ambito criminale, cancellando tra l'altro alcune garanzie a tutela delle donne, come quelle previste dall'articolo 7 della Merlin, che vieta le schedature di Polizia o sanitarie. In secondo luogo ritengo che questo dibattito sia strumentale ad alcune forze politiche (vedi Lega Nord n.d.r), che vogliono utilizzarlo a fini propagandistici. Penso invece ad una nuova proposta di legge che sia una soluzione condivisa in Parlamento, e quando dico condivisa intendo anche da noi.
Recentemente in Senato è stato presentato un disegno di legge ragionevolmente trasversale per regolamentare il fenomeno della prostituzione. L'ha letto?
Si, lo conosco. L'ha presentato la senatrice Spilabotti che ha intrapreso un percorso coraggioso perché questa proposta inizia ad abbozzare l'idea della prostituzione come lavoro. Il testo prevede l'iscrizione alle camere di commercio e il pagamento di una tassa previo rilascio di una sorta di patentino, una certificazione che attesti il benessere psicologico e la libera scelta della richiedente. Ma ci sono molti aspetti che andrebbero migliorati. Conosco molto bene la realtà della prostituzione di strada e credo sia impensabile eliminare questo fenomeno e passare da un sistema quasi di totale anarchia, ad uno così strettamente regolato. C'è il rischio che chi non aderisce subito, perché magari non capisce o non sa come muoversi, incappi in pesanti sanzioni. Inoltre, se le donne non sono costituite in cooperative penso sia improprio imporre il pagamento dell'Iva: si potrebbe limitare l'iscrizione all'Inps e all'Inail e pagare l'Irpef a fine anno. Andrebbe studiato un regime fiscale particolare perché si tratta di una realtà particolare.
Qual è il modello da seguire? In Europa c'è un Paese cui ispirarsi?
In Svizzera per esempio hanno legalizzato la professione e hanno messo in piedi un buon sistema. Si può andare, registrarsi presso una sorta di ufficio di Polizia specifico anche online e affittare una stanza in locali appositi. Se lavori più di due mesi paghi le tasse, altrimenti sei libero di andare e venire. Ora però, dopo un attento monitoraggio, stanno pensando di modificare il sistema a vantaggio delle lavoratrici, perché i gestori dei locali tendono a sfruttare la situazione. Se le leggi si dimostrano non adatte alla realtà dei fatti vanno cambiate.
Il Parlamento europeo ha da poco votato una risoluzione di condanna di ogni forma di prostituzione come forma di violenza sulle donne...
Si, e penso che sia stata una presa di posizione estremamente grave da parte del Parlamento europeo non tener conto che in alcuni Paesi d'Europa questo è un lavoro. Sarebbe come dire che fare il minatore sia un grave sfruttamento - e lo è - però nessuno si sognerebbe di bandire quel lavoro. Lamento un'ondata moralista, repressiva, bigotta e fondamentalista in questo momento storico, anche da parte di certo femminismo che vorrebbe impedire la libertà sessuale.
Una piaga molto dolorosa che appartiene al mondo della prostituzione è però quella dello sfruttamento e della tratta sessuale di ragazze spesso anche minorenni. Quali misure bisognerebbe adottare per combattere il trafficking?
Indubbiamente questo lavoro è un male quando le donne non possono sceglierlo liberamente. In Italia abbiamo già delle buone leggi contro la tratta e siamo stati tra i primi a farle. Abbiamo dei programmi di integrazione sociale, che prevedono l'accoglienza delle vittime di questo fenomeno e il loro reinserimento in una vita normale, cercando di risarcirle del danno subito, sia moralmente che economicamente. Penso che dovremmo allargare lo sguardo allo sfruttamento lavorativo, non solo sessuale, perché in questi anni abbiamo tralasciato quello che è il bacino maggiore di traffico di esseri umani, che riguarda settori come l'agricoltura e l'edilizia, dove il nero la fa da padrone. Nessuno si sognerebbe di eliminare il lavoro edile perché ci sono fenomeni illegali: dovrebbe essere uguale per il lavoro sessuale, che deve essere legale, trasparente, tassato. Noi vogliamo gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri lavoratori, e da parte nostra dobbiamo impegnarci di più nel rispetto della società e delle Forze dell'ordine. Detto questo, tutto ciò che è coercizione va combattuto con ogni mezzo, a cominciare, per esempio dal dare alle magistrature di vari Paesi gli strumenti per lavorare insieme in modo da individuare i flussi di denaro nascosti dietro la schiavizzazione del sesso.
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Oltreconfine
Cittadini europei e del mondo? E allora vediamo quali sono le regole sulla prostituzione fuori casa nostra.
In Germania la prostituzione è regolata da una legge del 2003 che legalizza l’attività delle 400.000 lucciole del Paese. La normativa assegna loro tutte le garanzie assicurative in materia di malattia, disoccupazione e pensione. L’attività dei bordelli è consentita legalmente e il favoreggiamento non è più punibile, a condizione che non vi sia sfruttamento. In Francia le case di tolleranza sono state chiuse nel 1946 con la legge Marthe Richard. La normativa attuale non considera reato la prostituzione di adulti sulle strade. Nel Regno Unito fornire sesso a pagamento non è illegale, ma lo sono l’adescamento e lo sfruttamento. La politica verso il meretricio è di fatto definita a livello locale, dai consigli comunali e dalla Polizia. In Spagna le case chiuse sono illegali dal 1956, ma i bordelli di allora sono i “club” di oggi. Nel 2003 il governo della Catalogna, il primo nel Paese, ha approvato un decreto che stabilisce regole sanitarie, d’orario e di collocazione dei locali dove si esercita l'attività. In Olanda la prostituzione è legale dai tempi di Napoleone. Il Paese dispone di 11 aree speciali, dove le professioniste del piacere possono lavorare anche all’aperto. Ma fuori dalla zona rossa scattano le manette. Le prostitute in regola sono tenute a pagare le tasse, ma non a sottoporsi regolarmente a controlli sanitari. Anche in Belgio la prostituzione è consentita dal dopoguerra ma viene perseguita quando turba l'ordine pubblico. Il grosso dell'attività si svolge in bar a luci rosse e case private. Le prostitute sono tenute a dichiararsi al fisco come lavoratici autonome e possono godere di assistenza sociale. In Svezia la legge in vigore finalizzata alla protezione della donna, stabilisce la non punibilità di chi si prostituisce ma punisce l'adescamento. Pene anche per i clienti: chi viene sorpreso con una prostituta può essere condannato ad una pena detentiva da sei mesi ad un anno. In Australia la professione è legale ma sotto lo stretto controllo delle autorità. E’ illegale per le persone straniere. Nei primi anni del 2000 un “gentleman’s club” di Melbourne è divenuto il primo bordello al mondo quotato in borsa. Infine negli Stati Uniti la prostituzione è illegale, tranne che in Nevada (lo stato della città di Las Vegas), ma solo in alcune contee ed esclusivamente in strutture allestite con determinati criteri igienici e di sicurezza. Trentatré case chiuse, alcune in funzione da quasi 160 anni, sono fornite di licenza statale.
FOTO: Pia Covre
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