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Marzo-Aprile/2014 - Articoli e Inchieste
Cinema
La grande bellezza
di Avv. Achille Carone Fabiani

I differenti piani di lettura
dell'opera di Sorrentino premiata con l'Oscar


Dunque, a me sembra che l’opera presenti una “partitura” di contenuti con sottesa ambizione filosofica, più che psicologica.
Infatti, le vicende di natura personale, riferite al personaggio principale, “investono”, nella evoluzione narrativa, quelle del genere umano, sicché il percorso psicologico diventa inevitabile una “rivisitazione” di tipo essenziale più vasto (lo si vedrà meglio più avanti nella esposizione di altre figure e/o personaggi – Suora Maria – di ampio respiro storico, pur dentro la specifica narrativa; ad es.: il ricordo nostalgico e dolente di tipo leopardiano, dell’incontro con la prima ragazza con la quale non si realizzerà mai un rapporto di amore (quindi, il rimpianto di un rapporto solo vagheggiato), per cause rimaste inconsce e che comunque lascerà altra lesione nella memoria; ciò costituisce un segmento di carattere individuale ma pur sempre di rilievo generale; ad esempio la “subrette”, partecipe della festa da ballo disegna il modello di “disfacimento” fisico – psichico, riferibile a tutti gli altri invitati).
Va premesso che emerge un profilo di ispirazione “felliniana” (la Dolce Vita) ma con notevoli differenze (invero, Fellini denunciava una cultura personale naturalmente laica senza istanze di carattere religioso e/o filosofico; le sue descrizioni di squarci di vita mondana apparivano eleganti e misurate, intese a dare un affresco della città eterna, mediante la raffigurazione di una nobiltà particolare, di contro a queste del film in esame che risultano pressoché volgari, nonché eccessive, nella trasgressione (tempus regit actum).
Di poi si osserva che non si rinviene la vena del decadentismo di maniera pure se alcuni riferimenti letterali (citazioni di D’Annunzio per bocca di Carlo Verdone) appaiono collocati forzosamente rispetto agli atteggiamenti più onesti ed autentici del personaggio principale (certamente, di carattere autobiografico).
Quest’ultimo risulta portatore ed “intercettatore” di una profonda inquietudine (segno del tempo, che, a volte, appare “provocata” dalla ambientazione esterna, data dalle antiche vestigia di Roma), motivata da:
1. la ricerca affannosa di una fede, ma non quale interesse primario (lo si coglie da un desiderio latente di parlarne con qualcuno, disponibile a tanto; c’è, invero, il tentativo di farlo anche con il prelato di occasione, ma esso non trova esito poiché il prelato si sottrae);
2. un certo approdo al pessimismo, esaustivo, che non lascia margine a nuove riflessioni; ad esempio: la forte critica disfattista verso la donna che aveva sostenuto, in seno a quel salotto culturale di maniera, la piena realizzazione di se stessa, siccome formatasi, dallo esercizio di notevoli impegni sociali e politici, anche quale soggetto politico;
3. un vago richiamo alla “inutilita” culturale del consorzio civile, laddove si rinvengono “chiacchiericcio” e “superficialità”;
4. la presenza di un costante senso di tristezza che accompagna la musica e le scene; (per Platone, la musica dà un fascino alla tristezza;
5. l’insorgere di un senso di commozione allorquando il protagonista rivisita, in una specie di sacrario, le immagini di persone scomparse (un richiamo alla memoria collettiva delle Fosse Ardeatine);
6. l’insorgere di un terribile senso di angoscia allorquando il personaggio sente dire dal letterato Verdone che egli vuole “andare via per sempre lasciando tutti così”; l’insorgere dell’amara conclusione, sempre in capo al protagonista, di non volere occuparsi “dell’altrove”, nonostante le esigenze spirituali che egli tenta ripetutamente di esprimere e di mettere a confronto col prossimo;
7. un vago richiamo al pessimismo Pascaliano, laddove si enuncia la inevitabile conclusione dello “squallore” della condizione umana;
8. la ennesima constatazione che la ricerca del senso della vita diventa non più perseguibile, come non è perseguibile l’interesse ad un rapporto etico ed estetico (quale processo di integrazione con l’arte) con le solenni sculture classiche poste all’attenzione dello spettatore (il “vivere” l’opera d’arte classica risulta oggi impossibile e resta solo la semplice, umana, distaccata osservazione), contrariamente alla cultura ellenistica di un tempo, laddove il rapporto stretto e concreto fra la persona fisica e la divinità “produceva” un’opera d’arte di assoluto realismo e, nel contempo, di assoluto idealismo;
9. la ennesima constatazione che la sofferenza umana, che sarebbe la vita, cessa solo con la morte, ma, a questo punto, la liberazione di una vita sofferente, cioè la idealizzazione di essa come “trascendenza”, può aver luogo solo col martirio come fenomeno di estrema fatica umana (a questo punto, vengono in rilievo due grandi figure storiche : Maria Teresa di Calcutta – nel filma, Suora Maria – e Francesco D’Assisi; Suora Maria realizza l’esigenza spirituale della trascendenza – ascensione assai sofferta della scala Santa, assimilabile alla sofferta musica ascensionale di Bach – dopo aver vissuto interamente ed integralmente la realtà della povertà materiale; “la povertà non si racconta, si vive”) mentre Francesco perseguiva il postulato della povertà, realizzando in primis, l’integrazione con la “nuda terra”.
Da ultimo, valga osservare che: non è dato intuire subito il senso delle numerose allegorie ricorrenti nella rappresentazione filmica (distese di acqua ed aree di colore intenso), ma per questo lato, forse risorge un certo linguaggio di Fellini espressione di surrealismo e/o evocazione misteriosa e fantastica della memoria quale caratteristica imperscrutabile dello excursus interiore.
Comunque, si ritiene che l’opera possa censurarsi quale “caricata” di troppi o troppo frequenti elementi simbolici (es.:volo degli stormi, la sequenza della bimba che imbratta di colori una tela alla maniera moderna, la visione di un pozzo e della grata di esso, forse quali luoghi di introspezione psicologica del protagonista; ed ancora, “caricata” di espressioni e di atteggiamenti decadenti: “la mia vita non è niente”, confesserà più tardi il protagonista in un momento di riflessione, anzi, egli arriverà a chiedere al “mago” esperto di sparizioni di “fare sparire anche lui”).
In definitiva, l’eccessivo simbolismo e/o allegorismo arriva ad inquinare, formalmente e sostanzialmente, la linea tematica dell’opera, in quanto arriva a prendere un senso dispersivo anzi caotico.
Nel complesso, per, si può affermare che discenda una valutazione positiva dello sforzo che l’autore dell’opera sostiene per continuare la sua tematica (“ricerca del senso della vita”, ricerca della fede, ricerca del significato di molti simboli della natura e dell’opera storica che l’uomo realizza) non appagante però le sue esigenze di radicata laicità.



FOTO: Toni Servillo e Paolo Sorrentino a Cannes

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