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Marzo-Aprile/2014 - Articoli e Inchieste
Società
Vittime di tratta
di Francesco Toniarini

In molti casi sono straniere: prima attirate
in Italia col miraggio di una vita migliore,
con un permesso di soggiorno turistico
e poi ridotte in schiavitù, con l’ulteriore
handicap di non conoscere la lingua,
i diritti, la legge

Hanno perso la casa, le proprie cose, gli affetti. E cercano di ricominciare con quello che hanno: sé stesse.
A parlare di schiavitù nel 2014 sembra quasi di parlare di preistoria. E invece la realtà ci dimostra che non è così. Che ci sono ancora Paesi come la Mauritania, la Malesia, la Cambogia in cui il fenomeno è comune, ed è legato soprattutto alla schiavitù sessuale.
Adesso Loch è libera, e lavora per aiutare altre giovani come lei ad uscire fuori dai bordelli, parlando del suo passato anche in una radio di Phnom Pehn, la capitale della Cambogia, dove le donne possono raccontare le loro esperienze, in una terra in cui il predominio degli uomini solitamente non dà loro la possibilità di parlare.
Quando tutto è cominciato aveva 10 anni. “Se rifiutavo di avere rapporti sessuali - spiega - venivo picchiata e colpita con un cavo elettrico e privata di cibo e acqua".
Nell'affrontare queste situazioni di violenza familiare ad alto rischio, che riguardano spesso donne con figli minori, sono necessarie risposte diversificate: dall'ascolto e sostegno, legale e psicologico, all'assistenza concreta per affrontare le difficoltà pratiche, spesso relative alla custodia dei figli, dalle forme di protezione per le vittime, alla possibilità di trovare un rifugio protetto per le situazioni di emergenza.
L'esperienza evidenzia la necessità urgente di fornire alle donne, che vivono situazioni di violenza e grave conflitto familiare, la possibilità concreta di allontanarsi fisicamente dal luogo dove la violenza viene perpetrata, nei casi in cui non è possibile chiedere l'allontanamento del coniuge, o in attesa che venga disposto il provvedimento.
Perché per ogni donna che trova il coraggio di chiedere aiuto ce ne sono molte altre che – per tanti motivi – non riescono a farlo: l’87% di loro ha subito violenza dal partner o dall’ex partner (italiano nel 70% dei casi), il 10% da un parente e il 3% da un conoscente.
Le vittime in molti casi sono straniere: prima attirate in Italia col miraggio di una vita migliore con un permesso di soggiorno turistico e poi ridotte in schiavitù, con l’ulteriore handicap di non conoscere la lingua, i diritti, la legge.
Sono le donne di cui ci parla Flavia Orrù, che a Roma, in Viale Manzoni 16, dirige la casa Kinbè per le vittime di schiavitù. Un rifugio per donne in fuga dalla violenza quotidiana. Una casa in grado di diventare il punto di riferimento in un momento drammatico, con persone che garantiscono sostegno e aiutano il reinserimento nella società.
La struttura è aperta a tutte coloro che cercano una via di fuga. Avranno una casa e tutto il sostegno psicologico e legale necessario in una fase così delicata: sarà un supporto fondamentale per dare la possibilità alle vittime della violenza di uscire definitivamente, e gratuitamente, dall’incubo.
“Sono donne che scappano dalle loro famiglie - ci spiega la direttrice Orrù - che le hanno vendute come schiave. Queste donne hanno poco più di quindici anni e quando arrivano in Italia non hanno nessuno che le sostenga. Da noi arrivano soprattutto donne e bambini, hanno spesso intossicazioni alimentari, infezioni, dermatiti. Diamo loro un sostegno, una casa e un luogo dove costruire una prima rete di relazioni per poi cercare di inserirle positivamente nella società. Molte di loro hanno subito violenze e traumi. Perciò cerchiamo di offrire loro anche il sostegno psicologico necessario".
L’incubo di Loch, ad esempio, è cominciato quando, da bambina, a soli 7 anni, fu violentata dal suo patrigno. Costretta a mantenere il silenzio a causa delle minacce di morte da parte dell’uomo, Loch fu violentata nuovamente anche da uno sconosciuto. Un giorno trovò il coraggio di raccontare a sua madre quel che le era accaduto, ma lei non le credette. Così decise di scappare di casa finendo nell'incubo della schiavitù sessuale in un bordello.
La sua storia non è isolata: secondo le stime del Dipartimento di Stato Americano, sono 27 milioni le persone vittime di schiavitù nel mondo. E l’acquisto e la vendita di esseri umani è un vero e proprio business internazionale che coinvolge i Paesi più poveri come fornitori di schiavi, e spesso quelli più ricchi come sfruttatori.
Molte ragazze come lei sono state salvate e hanno raccontato la loro terribile esperienza. Ma molte altre si trovano ancora in schiavitù. Lei è riuscita a fuggire dopo alcuni anni, e a raggiungere il centro di recupero per donne vittime di tratta. Ma è una delle poche fortunate.
"Nei loro Paesi d'origine - prosegue Orrù - per lo più africani, quella del sesso a pagamento è stata una condizione che ne ha caratterizzato l'adolescenza e spesso anche l'infanzia. Le donne sono sotto pressione costante: il marito, i figli, la casa. La maggior parte di loro non esce se non per andare a fare la spesa. Arrivano dalle periferie delle città o dai villaggi di campagna, in tanti casi hanno un passato difficile. Il nostro obiettivo non è isolarle dalla famiglia o convincerle a divorziare a tutti i costi. Vogliamo renderle indipendenti e consapevoli, capaci di dire no alla violenza. Molte donne, spesso giovanissime, vengono adescate con la promessa di un posto di lavoro, - prosegue Flavia - ma una volta uscite dal loro Paese vengono violentate, schiavizzate e costrette a un'esistenza da incubo. Molte di esse accettano di entrare in un giro di prostituzione in rete, così che il cliente ne possa 'valutare la qualità' e 'acquistarla'. Questi fenomeni criminali non vengono seriamente contrastati dai governi, che si limitano di tanto in tanto a fare qualche indagine, ma non mettono in pratica efficaci strategie per impedire che le immigrate vengano costrette a prostituirsi".
Le donne vengono inserite nel giro di prostituzione di molti Paesi europei. Ad esempio, in Belgio, almeno il 15% delle prostitute sono state ridotte in schiavitù dopo aver lasciato il loro Paese. La maggior parte di esse proviene dall’Europa orientale, dalla Colombia, dal Perù e dalla Nigeria. Anche in Svizzera, ogni anno, vengono introdotte 1500/3000 donne schiavizzate.
"Purtroppo - prosegue Flavia Orrù - la prostituzione in strada è una realtà a sé stante. Probabilmente la riapertura delle case chiuse metterebbe un freno al dilagare della prostituzione minorile, che si svolge soprattutto 'in casa'. Le donne schiavizzate sono tenute sotto minaccia, e talvolta torturate con sigarette spente sulla pelle o violenze fisiche e psicologiche di vario genere.
La situazione di schiavitù delle donne straniere costrette a prostituirsi, è ormai nota a tutti, eppure una grande quantità di uomini europei vanno con queste donne, rendendosi complici di crimini gravissimi. La responsabilità di questi uomini è assai grave, perché se non ci fosse la domanda non ci sarebbe nemmeno l'offerta. L'Italia, fra i Paesi europei, detiene, infatti, il triste primato del turismo sessuale. Ogni anno circa 80.000 uomini italiani vanno all'estero per avere rapporti sessuali con ragazzine più giovani delle loro figlie.
Questi uomini, non avendo integrato gli aspetti femminili della loro personalità, che la nostra cultura svaluta e reprime, esprimono tutto il loro disprezzo verso la donna facendo sesso con bambine che ricevono in cambio pochi spiccioli per comprare l'acqua e una scodella di riso".
E sulla prostituzione volontaria dice: "Al di là di ogni giudizio, so che è una realtà che esiste, ma a me personalmente non è mai capitato di lavorare con casi simili. Va detto che molto spesso il sesso diventa per alcune donne un modo sbagliato per riuscire a relazionarsi con gli uomini. In Italia ben tre milioni di persone soffrono di anoressia o bulimia, e nel 95% dei casi si tratta di donne. Queste patologie emergono soprattutto nella fascia d'età che va dai 12 ai 25 anni. La bambina, fin da piccola, apprende che l'avvenenza sessuale è la cosa più importante richiesta alla donna, e che i modelli estetici proposti dai media sono praticamente irraggiungibili.
Una ricerca della Società Italiana di Pediatria ha fatto emergere che già le ragazzine delle scuole medie, per il 60,4%, sono preoccupate per il loro peso, e vorrebbero diventare più magre. Molte di esse, per adeguarsi al modello estetico proposto dai media, intraprenderanno diete che potranno dare inizio a problemi nell'alimentazione". E sono molti anche i casi di prostituzione maschile "Molti miei colleghi lavorano anche con uomini che si prostituiscono ed è una realtà davvero molto complicata.
Dai vari controlli effettuati dalla Polizia emerge che i prostituti a Roma sono per lo più italiani, mentre la clientela è costituita anche da stranieri. Le tariffe applicate vanno dai 10 ai 20 euro, a seconda della prestazione richiesta. Ma come avviene l’adescamento? Ci sono siti web per gay dove queste persone si danno appuntamento. Il target del prostituto va dai 30 ai 50 anni.
La mancanza di una delibera contro la prostituzione fa sì che, all’atto dei controlli su clienti e adescatori, la Polizia possa fare multe per la sosta della loro auto in zona vietata oltre che ovviamente procedere con l’identificazione dei fermati. Potrebbe scattare la denuncia per atti osceni in luoghi pubblici, ma, è davvero difficile riuscire a cogliere il reato in flagranza. Gran parte dei clienti sono dichiaratamente eterosessuali, hanno famiglia e figli, mentre i prostituti sono invece tendenzialmente omosessuali".
C'è poi il problema della gestione dei singoli casi con la Polizia di Stato: "Con le Forze dell'ordine abbiamo portato avanti molti progetti e grazie anche ai finanziamenti ricevuti abbiamo potuto aiutare moltissime donne. Quello che vorremmo è che venisse alleggerita la regolamentazione degli ingressi: molte donne che aiutiamo appena arrivano in Italia vengono detenute all'interno del Cie di Ponte Galeria, e farle uscire da lì diventa complicatissimo.
Il Cie di Ponte Galeria fino a pochi mesi fa ospitava 80 migranti, 17 donne e 63 uomini, delle più disparate nazionalità, dalla Cina al Gambia, dalle Filippine alla Tunisia, allo Sri Lanka. La comunità più grande al momento è composta da 23 marocchini, quasi tutti giovanissimi, portati qua direttamente da Lampedusa. Sono proprio loro che hanno attuato la protesta radicale degli ultimi mesi rifiutando il cibo e cucendosi la bocca. Una prima volta era successo il 21 dicembre 2013, qualche giorno di clamore mediatico tante promesse e poi nulla è cambiato. Poi sono tornati a protestare il 26 gennaio scorso, e il primo febbraio la scelta d’interrompere la protesta. Vogliamo andare avanti tutti insieme, dicevano, ma alcuni di noi stanno male, chi con il cuore, chi con i reni. E ad un paio di loro cominciavano ad infettarsi le labbra. Ma quello che ci preoccupa maggiormente è il livello di abbandono nel quale versano gli immigrati che transitano in queste strutture, un abbandono che può anche uccidere.
La carenza di assistenza medica e legale nei centri di trattenimento italiani, risale a molti anni fa ed è stata anche rilevata dalla Commissione Libertà civili e giustizia del Parlamento Europeo nel dicembre del 2007. Eppure, malgrado queste denunce, la situazione dei Cie è sempre più militarizzata. Poco importa se la sorveglianza sia affidata alla Polizia di Stato, o alla Croce Rossa militare. Di centri di detenzione si continua a morire".
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