La legge Merlin compie cinquantasei anni.
Attraverso l’analisi delle regolamentazioni che hanno
accompagnato l’industria del sesso nelle varie epoche
storiche, delle statistiche e dei nuovi fenomeni
di mercificazione del corpo, Polizia e Democrazia fa il punto
della situazione sulla professione dei sex workers in Italia
Mettere bene a fuoco cosa sia oggi il fenomeno della prostituzione non è cosa semplice. Compito ancora più arduo è cercare di non cadere in luoghi comuni e facili slogan nel tentativo di raccontare uno spaccato di società senza il supporto di dati certi. Ed è per questo motivo che per affrontare l’argomento con il giusto piglio bisogna prima capire cosa sappiamo esattamente della prostituzione, da quali informazioni, attendibili o meno, prendono forma le nostre opinioni in merito. E come spesso accade, la risposta è meno scontata di quanto sembra. Questo perché se da un lato il tema del mercato del sesso è ampiamente trattato dal mondo dell’informazione, dall’altro il rischio di incappare in statistiche inesatte o report viziati da tabù e pregiudizi non è poi così remoto. Dunque, per fare un po’ di chiarezza sui meccanismi che regolano oggi il mestiere più antico del mondo, è necessario fare un passo indietro e ripercorrere alcune tappe storiche della prostituzione in Italia.
Nei secoli l’approccio al lavoro sessuale da parte della società e dei poteri che la governavano, ha subìto continui mutamenti. Nel Medioevo, per esempio, la prostituzione veniva tollerata ma non troppo. Infatti, insieme alla comparsa dei primi quartieri a luci rosse e dei bordelli pubblici gestiti direttamente dal potere politico, non mancavano svariate forme di repressione e controllo nei confronti delle lavoratrici del sesso.
Con l’avvento del Rinascimento e con l’avvio della riforma protestante, i governanti di molte parti dell’Europa, anche per tentare di arginare un’epidemia di sifilide, decidono di chiudere i bordelli pubblici e ridurre drasticamente le zone cittadine riservate alla vendita di servizi sessuali. Un approccio, quello proibizionistico, che rende, al contempo, colpevoli le prostitute e innocenti i clienti. Il passaggio dalla “tolleranza” medievale al proibizionismo rinascimentale porta, di fatto, a un incremento delle vessazioni ai danni delle lavoratrici del sesso: dalle torture alle umiliazioni pubbliche per le prostitute comuni alla reclusione nei monasteri per quelle ritenute “borghesi”.
Dagli svariati divieti che impedivano di ottenere dal sesso a pagamento qualsiasi tipo guadagno economico, si è passati al cosiddetto regolamentarismo classico. Siamo tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento. Dopo una lunga serie di dibattiti internazionali, nel 1860 l’Italia decide l’apertura, su tutto il territorio nazionale, di numerose case chiuse. Questo nuovo modello di gestione della prostituzione, introdotto in Francia da Napoleone Bonaparte sessant’anni prima, si differenzia dal comune bordello in quanto controllato direttamente dallo Stato. Per questo motivo sia la Madama, cioè colei che gestiva la casa di tolleranza, che le prostitute erano sottoposte a numerosi controlli medici e di Polizia. Il modello regolamentarista oltre a vietare la vendita dei servizi sessuali al di fuori delle case chiuse, prevedeva l’obbligo di registrazione per le prostitute, numerosi controlli sanitari e ospedalizzazione forzata in caso di malattia. Ma proprio durante il periodo di maggior consenso del regolamentarismo, ecco spuntare all’orizzonte l’idea di un nuovo modello di gestione del mercato del sesso: l’abolizionismo. Questa teoria, nata in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento, si concretizza in Italia alla fine degli anni ‘50 con l’approvazione, da parte del Parlamento, della legge 75 del 1958 chiamata anche legge Merlin. La norma, che prende il nome dalla sua prima firmataria, la senatrice del Psi Lina Merlin, abolisce la prostituzione legalizzata, condanna penalmente la prostituzione minorile e introduce i reati di sfruttamento, induzione, favoreggiamento. Di conseguenza vengono chiuse le case di tolleranza ed eliminato ogni controllo diretto sulle prostitute da parte dello Stato. Dunque, se da una parte la legge Merlin, tutt’ora in vigore, introduce una serie di divieti, dall’altra non criminalizza la prostituzione in sé per sé. Un vuoto normativo che lascia il mercato del sesso ristagnare in un limbo di incertezza giuridica.
Come abbiamo già detto, manca un dato aggregato su base nazionale, capace di fare un identikit attendibile dell’industria del sesso nel nostro Paese. Per farsi un’idea dell’ordine di grandezza del fenomeno della prostituzione in Italia, basta leggere le stime pubblicate negli ultimi anni dalle unità di strada delle associazioni che si occupano di fornire assistenza alle vittime dello sfruttamento sessuale. Quante sono le prostitute in Italia? Dove viene esercitata maggiormente la prostituzione? Quante persone cadono vittima dello sfruttamento? Quanti sono i minori coinvolti? Queste sono solo alcune delle domande a cui non è semplice dare una risposta certa. In Italia si contano tra i cinquanta e i settantamila sex workers. Dall’incrocio dei risultati ottenuti da tre ricerche, quella del progetto Roxanne per il Comune di Roma, quella di On the Road per la provincia di Pisa e quella del progetto West della Regione Emilia Romagna, è stato stimato che il 68 per cento si prostituisce in strada mentre il 32 per cento in luoghi al chiuso come appartamenti, hotel e locali. Tra donne (80 per cento), trans (15 per cento) e uomini (5 per cento) sono circa venticinque mila gli Street workers che vendono sesso nelle strade italiane. Il tutto per un giro di due milioni e mezzo di clienti e nove milioni di prestazioni sessuali all’anno.
I numeri che destano maggiore preoccupazione sono quelli legati allo sfruttamento e alla prostituzione minorile: per il Gruppo Abele di Don Ciotti, le richieste di rapporti sessuali con minori hanno avuto un incremento dal 5 al 12 per cento. Mentre, secondo un rapporto del 2012 della Caritas, ogni anno trentamila persone cadono nella rete della tratta. Le vittime, per lo più donne (circa l’ottantacinque per cento) provengono da Paesi come Nigeria, Romania, Moldavia, Albania e Ucraina. Negli ultimi anni anche la Cina figura nella classifica degli Stati con i maggior numero di sex workers sfruttate. Dietro all’incessante proliferare di saloni del benessere e centri massaggi, tutti a conduzione cinese, molte volte si celano vere e proprie case d’appuntamento. Luoghi, rispettabili solo in apparenza, dove decine di ragazze provenienti dalle regioni povere del Paese più popoloso del mondo, sono costrette a prostituirsi. Delle vere e proprie miniere d’oro, per i tenutari, che possono arrivare a toccare in un anno cifre a cinque zeri. Argomenti delicati come quelli del traffico di esseri umani e della prostituzione minorile meritano un ulteriore approfondimento. Bisogna tener presente che le statistiche ufficiali sulle vittime della tratta includono solo le persone che hanno beneficiato di progetti di protezione sociale. Sono tantissime le donne straniere che ogni anno vengo portate in Italia con la promessa di un lavoro e poi obbligate a prostituirsi sotto la minaccia di ritorsioni fisiche e psicologiche. Dal 2000 al 2008 in cinquantamila hanno ricevuto assistenza e protezione, tra cui 986 minori, grazie ai 280 Enti dislocati su tutto il territorio nazionale, impegnati quotidianamente al contrasto dei reati connessi alla tratta, alla schiavitù e allo sfruttamento sessuale usufruendo degli strumenti messi a disposizione dall’ artt. 13 della Legge 228 del 2003 e dell’art. 18 del decreto legislativo 286/98.
Per quanto riguarda i minori, un rapporto di Save the Children del 2011 parla chiaro: in Italia sono tra i 1600 e i 2000 all’anno, circa il dieci per cento del totale, i casi di prostituzione minorile. La maggior parte, probabilmente, vittime della tratta. Stima da considerare in difetto visto che al suo interno non sono conteggiati i casi di sfruttamento al chiuso. Infatti, per molti operatori, l’indoor viene considerato ancora oggi molto difficile da rilevare a causa dell’alta percentuale di sommerso. Dato ancora più allarmante è la progressiva diminuzione dell’età media dei ragazzi che si prostituiscono. Poco tempo fa a Genova, venti adulti tra i quaranta e sessant’anni, sono stati indagati per favoreggiamento della prostituzione minorile perché scoperti a tentare approcci su un sito d’appuntamenti con giovani prostituti di età compresa tra i tredici e i diciassette anni. Un caso analogo è stato registrato qualche mese prima nella Capitale, dove alcune ragazzine, tra i tredici e i quattordici anni, sono state avviate alla prostituzione in un appartamento di viale Parioli. Un’ inchiesta, quella condotta dalla Procura di Roma, che non solo ha portato all’iscrizione di venti persone nel libro degli indagati, ma ha scoperchiato il famoso vaso di Pandora che ogni giorno fornisce nuovi dettagli sulla vicenda facendo tremare i professionisti della Roma bene. Parallelamente al caso delle baby prostitute, si sta sviluppando, questa volta nelle scuole, un nuovo fenomeno di prostituzione: quello delle ragazze-doccia. Le adolescenti, tutte tra i 14 e 16 anni, si prostituiscono con i propri compagni di scuola nei bagni degli istituti, in cambio di regali o denaro. Il fenomeno scolastico, portato alla luce l’anno scorso dal Corriere della Sera, è stato scoperto da un’equipe di professori guidata da Luca Bernardo, direttore del reparto di pediatria del Fatebenefratelli di Milano.
Una nuova moda, che negli ultimi anni sta prendendo piede tra i giovanissimi, è il sexting. Questo termine, che deriva dalla crasi delle parole inglesi sex (sesso) e texting (pubblicare testo), indica la pratica di creazione e condivisione di messaggi, dal contenuto sessuale, con il cellulare. Nella maggioranza dei casi le immagini e i video vengono realizzati con gli smartphone. Questo tipo di piattaforma consente di condividere, in tempo reale, il file a luci rosse per mezzo di messaggi multimediali (mms), e-mail, siti internet o tramite bluetooth.
Una recente indagine di Telefono Azzurro ha mostrato come questo tipo di messaggi vengono spesso ricevuti, oltre che da sconosciuti, anche dalla cerchia più stretta di parenti e amici. Nel dettaglio, gli sms e mms osé vengono inviati ad amici (38,6 per cento), al proprio partner (27.1 per cento), a estranei (22,7 per cento) e a conoscenti (9,9 per cento). Facile immaginare quali problemi, legali e personali, rechi alla persona ritratta la diffusione incontrollata di questi materiali. Infatti, anche se inviati a un ristretto gruppo di persone, il rischio di una “fuga di notizie” è quasi certo. La stessa diffusione, protratta nel tempo, può danneggiare sia in termini psicologici che sociali il soggetto del documento che coloro che lo hanno diffuso. È importante anche ricordare che divulgare foto o video che ritraggono individui minorenni in pose sessualmente esplicite, configura il reato di distribuzione di materiale pedopornografico.
Infine, un paragrafo va dedicato all’eterno dibattito se prostituirsi sia una libera scelta o una costrizione. L’industria del sesso non è composta solo dal lavoro forzato di giovani donne costrette a prostituirsi senza nessun guadagno. Parte del diagramma statistico del sesso a pagamento viene occupato anche da chi sceglie di vendere il proprio corpo. Pagine di giornali e siti internet sono diventati la vetrina preferita da un numero sempre più alto di persone per pubblicizzare la propria attività di sex workers. C’è chi si prostituisce per mantenersi agli studi, chi la considera una professione onesta o semplicemente perché gli piace. Secondo numerose testimonianze, rilasciate da chi ha deciso di intraprendere questo percorso lavorativo, le motivazioni che spingono un uomo o una donna a prostituirsi per scelta sono prevalentemente di natura economica. E la crisi del mercato del lavoro sembra aver fatto da volano a questa attività. Anche qui le informazioni a disposizione sono molto poche, ma leggendo le varie interviste rilasciate ai media da escort e gigolò, emerge un dato eclatante: gli stipendi dichiarati dai sex workers si aggirano, mediamente, tra i dieci e i venti mila euro al mese. Ovviamente tutto esentasse. Sì, perché in Italia il nodo della tassazione per chi vende il proprio corpo per mestiere è ancora da sciogliere. Una recente sentenza della Cassazione, per cui il reddito da lavoro autonomo può derivare anche da attività illecite, ha consentito all’Agenzia delle Entrate di elevare, ad alcune escort, multe che in alcuni casi arrivano a toccare i cinquecentomila euro tra Irpef evasa e Iva non pagata. Un paradosso creato dalla legge Merlin, che non riconosce il meretricio come una professione, ma come un affare privato tra due individui e non regolato da contratto.
Con le storie riguardanti tutto ciò che gira intorno al mercato del sesso sono stati scritti interi libri. Prove di degrado, disperazione, inganno e solitudine. Cronache di violenze, abusi, costrizioni e sfruttamento. Racconti di una speranza di una vita migliore trasformata in angoscia di non riuscire più a rifarsi una vita. Testimonianze di scelte, necessità e lavoro. Storie di esseri umani che attendono, da sessant’anni, gli strumenti necessari per uscire da quel vuoto normativo creato da una legge abolizionista non più adatta ai tempi che corrono.
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Legge Merlin
Il 20 febbraio 1958 la Camera dei deputati approva, con 385 sì e 115 no, la legge numero 75 nota come “Legge Merlin”. La norma, che prende il nome della sua promotrice e prima firmataria, la senatrice socialista Lina Merlin, abolisce la regolamentazione statale della prostituzione (art. 190 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto numero 773 del 18 giugno 1931) imponendone il divieto all’esercizio in tutti i luoghi al chiuso e all’aperto ed eliminando ogni controllo diretto sulle prostitute da parte dello Stato. Per dare tempo alle tenutarie e alle prostitute di riciclarsi in altre attività, la norma è entrata in vigore sette mesi più tardi rispetto al giorno dell’approvazione. Con la legge Merlin il trattamento legale della prostituzione da parte dello Stato è passato dal modello regolamentarista a quello abolizionista. Ma l’iter legislativo che ha portato all’approvazione di questo provvedimento è stato tutt’altro che semplice. Infatti, il primo disegno di legge risale al 1948. Dopo una serie interminabile di dibattiti in Parlamento, la legge Merlin viene approvata nel 1958 con il parere contrario di monarchici e missini.
Insieme all’eliminazione delle case di tolleranza e dei quartieri a luci rosse, vengono introdotti anche i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento, con pene che prevedono da due a sei anni di reclusione e multe da 258 a 10.329 euro. La norma prevede un’aggravante se i reati vengono perpetrati ai danni di un minore. In questo caso le pene vengono raddoppiate nel minimo.
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