Naturalmente il malcostume
di racomandare figli, amici, collaboratori
è normalmente condannabile, ma a volte
persino comprensibile
Affermato conduttore di uno dei programmi di approfondimento politico più seguiti della televisione italiana, acuto osservatore della società in cui viviamo, scrupoloso indagatore dei problemi dell’economia e della politica del nostro Paese. Non è solo il volto, giovane, ma di successo di Ballarò ma è anche l’autore, attento, di molti libri: Fatti chiari (con Filippo Nanni), Una cosa di (centro)sinistra, Monopoli, Risiko.
Da poche settimane Giovanni Floris è di nuovo in libreria con Mal di merito. L’epidemia di raccomandazioni che paralizza l’Italia (Rizzoli, pag. 231, 17,50 euro).
Questa volta al centro dell’indagine del giornalista di Raitre il mondo dei giovani, del lavoro e del precariato visti attraverso la lente di una usanza tutta italiana: la spintarella. Eh sì perché, spesso, per molti ragazzi, anche brillanti, anche bravi, anche laureati, l’unico modo per trovare un’occupazione, magari la prima, quella che dovrebbe aprire le porte di una vita programmata e pianificata perché solo con un futuro certo si può organizzare la propria esistenza, è quello della conoscenza, della segnalazione, della raccomandazione. Che ci sia al governo la sinistra o la destra la cattiva abitudine della spintarella non tramonta mai, è sempre il jolly che può sbloccarti una situazione, che può risolverti un problema, che può farti avanzare in una graduatoria. E questo avviene perché esiste un vero e proprio sistema della raccomandazione che Floris spiega molto bene in un paragrafo, Il perno del sistema: “…Il raccomandato si rivolge a un raccomandante, una persona di potere che, assicurando un privilegio al raccomandato, accresce ancora di più il proprio stesso potere: se riuscirà a piazzare l’interessato, avrà dato una prova di forza, avrà inserito un suo uomo nell’ingranaggio e potrà contare su una persona in più che gli deve un favore…” “…La raccomandazione nasce dovunque esiste un potere consolidato e, contestualmente, scarseggiano le capacità e le opportunità…”
Naturalmente il malcostume di servirsi della conoscenza giusta per piazzare l’uomo di fiducia, l’allievo, il figlio o il figlioccio è moralmente condannabile ma a volte è persino comprensibile: se uno che merita non trova il posto per il quale ha studiato perché dovrebbe rinunciare alla raccomandazione? Il problema vero è che il sistema delle raccomandazioni produce notevole immobilismo, se conosci il mestiere del figlio puoi facilmente risalire al mestiere del padre, un mestiere che spesso si tramanda di generazione in generazione. E’ difficile spezzare la catena che ti lega alla posizione sociale di partenza: vuoi fare il notaio ma non sei figlio di notaio, può essere un bel problema. Vuoi fare il medico, se tuo padre è medico tutto è più semplice. “Una passeggiata per i corridoi di uno dei policlinici romani può aiutare a capire con quali criteri si selezionano, in Italia, le élite che dovrebbero trainare il resto del Paese. L’intera struttura è nelle mani di poche famiglie… Iniziamo da Odontoiatria: due i professori associati, uno è il figlio del direttore generale dello stesso policlinico, l’altro è il figlio del docente di Clinica odontoiatrica, potente direttore del dipartimento in Scienze odontostomatologiche in un’altra università. Nello stesso corso di laurea troviamo come professore associato di Chirurgia il primario di un altro policlinico, nipote di un autorevole ordinario di Chirurgia. Ordinaria di medicina è la figlia di un potente palazzinaro romano, anche moglie dell’ordinario di Radiologia mentre la brillante prof che ha bruciato i colleghi ricercatori riuscendo a diventare ordinario di Odontoiatria in tre anni è la figlia del presidente dei Chirurghi italiani oltre che moglie del professore ordinario di Cardiochirurgia”.
Ecco allora che, spiega Floris, per uscire da questo sistema bloccato ognuno dovrebbe avere la sua possibilità, ognuno dovrebbe poter giocare le proprie carte, e poi chi è più bravo correrà di più, chi è più preparato occuperà un posto di maggior prestigio, chi ha studiato di più farà più carriera. “In Italia - scrive Giovanni Floris - i figli di operai che riescono a diventare liberi professionisti sono tre volte meno di quanto accadrebbe in una società meritocratica, mentre i figli destinati a ereditare il lavoro del padre sono circa sei volte di più di quello che sarebbe lecito attendersi se il destino di ognuno di noi dipendesse dalle proprie capacità”.
Il volume, scritto in modo molto chiaro, è arricchito da dati puntuali e statistiche precise, proprio come i cartelli di Ballarò ed è condito da una buona dose di ironia.
Mal di merito insomma è una denuncia necessaria in un paese come il nostro dove tra i figli di chi ha solo la terza media appena il 10 per cento arriva alla laurea, è un’inchiesta utile in un Paese come il nostro dove le intelligenze migliori spesso sono frustrate e se possono scappano all’estero, è un’ indagine indispensabile in un Paese come il nostro dove spesso regna la logica insana del familismo amorale e piagnone e quella eterna del tengo famiglia.
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