Intervista a Vincenzo Colla, segretario generale
CGIL Emilia Romagna. "Quello della nostra
regione è tessuto eticamente sano, le mafie
non hanno il 'controllo del territorio' e questo
rappresenta ancora oggi un punto estremamente
rilevante da salvaguardare"
Fin dalle origini, diritti e legalità sono andati di pari passo negli impegni della Confederazione Generale del Lavoro. Cosa ne è oggi? E quali le prospettive per il futuro? Polizia e Democrazia ha raggiunto il segretario generale CGIL dell'Emilia Romagna per parlarne. Ecco cosa ha detto.
Che valore ha il tema della legalità per una Organizzazione come la Cgil?
Il tema della “legalità” ha sempre avuto un peso centrale nell'iniziativa della Cgil. Storicamente la legalità nel lavoro, e nella economia, si coniugano con il riconoscimento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Fin dalle origini del movimento dei lavoratori questo connubio ha avuto un rilievo, in particolare nel nostro Paese.
Oggi, complice anche la crisi economica che stiamo attraversando, le problematiche hanno teso ad accentuarsi. La penetrazione delle organizzazioni criminali nel tessuto economico è cresciuta esponenzialmente in questi anni, ed ha investito in modo particolare le aree più ricche e industrializzate del Paese. Le “mafie” entrano nell'edilizia, nel settore agroindustriale, nel commercio, nel settore dei trasporti e del facchinaggio, ma l'elenco rischia di esaurire l'insieme dei settori economici; riciclano denaro proveniente dalle più disparate attività criminali; partecipano agli appalti pubblici e si infiltrano attraverso i subappalti; organizzano le peggiori forme di sfruttamento del lavoro irregolare e, a volte, di quello clandestino; penetrano all'interno delle aziende in crisi alla ricerca di liquidità, per appropriarsene.
Se a questo aggiungiamo altre due grandi questioni, la corruzione e l'evasione fiscale e contributiva - ambiti nei quali il nostro Paese detiene un triste primato -, capiamo le ragioni per le quali un grande sindacato confederale non può che considerare una priorità assoluta il tema della legalità.
Un esempio per tutti: come è possibile immaginare una strategia di rafforzamento del welfare e delle politiche di protezione sociale, oppure proporsi il necessario obiettivo di migliorare qualità e condizioni di lavoro, se ciò avviene in un quadro di illegalità crescente, di incapacità dello Stato di imporre le proprie regole, i propri principi costitutivi, nelle dinamiche reali dell'economia e del lavoro? E' evidente che questa progressiva divaricazione va ricomposta, rimettendo al centro una battaglia che è anche etica, morale e civile.
Quali sono le sfide principali, su questo tema, nella sua regione?
Anche una regione economicamente e socialmente evoluta come l'Emilia Romagna ha subito negli ultimi anni una forte penetrazione della criminalità organizzata. E' in atto una vera e propria spartizione del territorio ed una sorta di suddivisione dei ruoli tra le varie organizzazioni: la 'ndrangheta e la camorra concentrano la propria attività nelle province emiliane - per intenderci, nell'area compresa tra Parma e Bologna, lungo l'asse della via Emilia -; la mafia controlla pezzi dell'attività turistica sulla costa adriatica. A loro volta, le diverse mafie “nostrane” si suddividono con le mafie “straniere” ambiti tradizionali di sviluppo delle attività criminali, dalla prostituzione alla droga, passando per l'usura, l'estorsione o il controllo del gioco d'azzardo.
Intendiamoci, non intendo dipingere il quadro di una regione dove questi fattori risultano dominanti. Per fortuna il tessuto sociale e quello politico-istituzionale, sin qui, hanno avuto la forza di reagire. E' un tessuto eticamente sano, le mafie in Emilia Romagna non hanno il “controllo del territorio” e questo rappresenta ancora oggi un punto estremamente rilevante da salvaguardare.
Tuttavia alcuni dati testimoniano una tendenza non certo positiva. Per fare un esempio, nella recente relazione depositata al Senato, riguardante i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, l'Emilia Romagna risulta all'8° posto nazionale, dopo le cinque regioni del Sud, Lombardia e Piemonte; nell'ultimo anno, il Distretto Giudiziario di Bologna ha aperto lo stesso numero di procedimenti di Catanzaro; in Emilia Romagna, nel biennio 2009-2010, sono stati eseguiti 10 sequestri, mentre nel successivo 2011-2012 (e fino a primavera 2013) ne sono stati realizzati ben 698. Potrei produrre altri esempi, prendendo a riferimento gli studi recenti della Fondazione Caponnetto, o quelli dello stesso ente Regione, coordinati da uno studioso della materia come Enzo Ciconte.
Recentemente poi la nostra attenzione si è rivolta a presidiare il tema della legalità e della sicurezza nell'area coinvolta dal sisma del 2012. La questione della legalità nell'attività di ricostruzione è stata fin da subito collocata tra le priorità, sia da parte delle istituzioni, che da parte delle forze economiche e sociali. Lo testimonia il “Patto per la legalità nella ricostruzione”, sottoscritto già un mese dopo gli eventi sismici del maggio 2012.
Quanto ha inciso la politica degli ultimi governi e del Parlamento nel rafforzare o meno le politiche sulla legalità e sulla sicurezza?
Direi che il quadro dei “decisori” politici ha inciso in modo negativo, da diversi punti di vista. Innanzitutto, è bene riflettere sul paradosso di un Paese che è stato per anni costretto a misurarsi con i problemi giudiziari di una sola persona, producendo una mole corposa di provvedimenti - quasi tutti ad personam -, senza mai affrontare davvero i nodi più rilevanti inerenti il funzionamento e l'efficientamento della macchina giudiziaria.
In secondo luogo, non possono essere sottaciuti sia i provvedimenti, sia i messaggi di tipo politico e culturale che hanno teso a ridurre il livello di legalità. Penso alla materia fiscale (condoni, ecc...), o alla continua azione di delegittimazione della Magistratura, che hanno prodotto una sorta di regressione del profilo etico e morale del nostro Paese, legittimando comportamenti che progressivamente si sono allontanati dal concetto di legalità, oltre a contribuire a ridurre il livello di sicurezza e rispetto della legge.
In terzo luogo, l'attacco a tutto ciò che è “pubblico” e al lavoro nella pubblica amministrazione. La riduzione del perimetro e della spesa pubblica ha direttamente coinvolto il comparto sicurezza, con conseguenze pesanti anche per le forze dell'ordine. Ogni settore di questo comparto ha subito tagli, riduzione delle risorse investite, limitazioni dei diritti contrattuali, che hanno contribuito, oltre che a peggiorare la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici direttamente coinvolti, a deteriorare la condizione di legalità e sicurezza nel nostro Paese.
Qual è il rapporto tra la Cgil e le problematiche specifiche dei lavoratori del comparto sicurezza?
Il nostro sindacato di riferimento nel settore della Polizia di Stato, come noto, è il Silp. Abbiamo dato vita a questa organizzazione oltre dieci anni fa, ritenendo superata e, per certi versi, non più praticabile l'esperienza del Siulp. Da allora la Cgil, insieme al Silp, ha teso ad intensificare la propria iniziativa in questo importante comparto, con l'obiettivo di rafforzare i valori del sindacalismo confederale in un ambito che riteniamo strategico, anche con riferimento alle problematiche specifiche dei lavoratori direttamente coinvolti.
Non v'è dubbio che la condizione di chi lavora nella Polizia di Stato, piuttosto che negli altri ambiti del comparto sicurezza, rasenta oggi livelli di inaccettabilità. Tanti i temi (dagli organici, alla dotazione dei mezzi, alla formazione, ecc..) sui quali è necessario intervenire, superando vincoli di spesa pubblica che rischiano di compromettere un ambito di assoluta e primaria valenza per il Paese.
Questo non ha significato, per la Cgil, delegare il tema legalità e sicurezza, che anzi riveste oggi e avrà in futuro un peso assai rilevante nella iniziativa della Confederazione, intesa nel suo complesso.
La Cgil va a Congresso: che peso avrà il tema legalità e sicurezza all'interno di quel dibattito?
Il prossimo Congresso vedrà al centro la proposta lanciata dalla Confederazione del “Piano del Lavoro”. Si tratta di traghettare il Paese fuori dalla crisi, facendo ripartire l'economia e dando una risposta alla priorità “lavoro”.
Questi obiettivi debbono potersi collocare dentro un ridisegno complessivo del modello sociale ed economico. Anche per questo la Cgil ritiene che i temi che si riferiscono alla legalità e sicurezza debbano rappresentare un asse prioritario del proprio “progetto paese”.
FOTO: Vincenzo Colla
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