“Lo scenario politico è cambiato. Abbiamo
un Parlamento più attento a questo tipo
di problematiche. E’ ormai chiara l’importanza
di una norma capace di proteggere
l’orientamento sessuale dall’avversione
e dai pregiudizi”
Ormai si sa, il Parlamento italiano è fatto così. Soffre di una strana sindrome da ritardo cronico. Quando gli si chiede di rimboccarsi le maniche per mettere mano alle normative vigenti e cercare di ristabilire un equilibrio sociale, succede sempre qualche cosa che puntualmente fa saltare il banco. Ieri uno slittamento, oggi un ostruzionismo, domani un rinvio. Insomma, come una sorta di enorme gioco dell’oca dove a ogni passo in avanti della società civile ne corrispondono due indietro della classe politica.
Il risultato di questo modus operandi è sotto gli occhi di tutti: mentre il resto d’Europa marcia come un treno verso il pieno riconoscimento dei diritti fondamentali nei confronti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali), l’Italia continua a fermarsi in ogni stazione accumulando un ritardo senza precedenti.
Polizia e Democrazia ha chiesto a Paola Concia, esponente del Partito Democratico e per due volte relatrice, nella scorsa legislatura, del testo di legge contro l’omofobia e la transfobia, di indicare i motivi che finora non hanno permesso al nostro Paese di evolvere dal punto di vista legislativo insieme agli altri Stati europei.
Signora Concia, lei è considerata la paladina dei diritti civili. In questi ultimi anni, cosa le è mancato per riuscire a centrare l’obiettivo di una legge contro l’omofobia?
L’ostacolo più grande l’ho trovato nei numeri. Nella scorsa legislatura c’era una maggioranza marcatamente schierata contro i diritti civili. Un muro di gomma capace di respingere sia il testo di legge che prevedeva l’aggravante per i reati con movente omofobo, sia l’estensione della legge Mancino. Per fortuna oggi lo scenario politico è cambiato. In questo momento abbiamo un Parlamento sensibilmente più attento a questo tipo di tematiche. Evidentemente il dibattito politico portato avanti in questi ultimi cinque anni è servito a far capire a molti parlamentari, fino a questo momento fortemente contrari, l’importanza di una norma capace di proteggere l’orientamento sessuale dall’avversione e dai pregiudizi.
Una cosa, però, non mi stancherò mai di ripetere: una legge come quella contro l’omofobia, che vede coinvolti i diritti fondamentali delle persone, non è di nessun colore politico. Tutti i partiti dovrebbero partecipare attivamente e sentirsi parte integrante della stessa.
La Camera ha da poco approvato una norma contro l’omofobia che ha fatto indignare il mondo lgbt. Siamo di fronte a un passo indietro?
Nella scorsa legislatura ho presentato, insieme a tanti altri parlamentari, una norma che prevedeva la semplice estensione della legge Mancino ai reati di omofobia e transfobia. Oggi, purtroppo, siamo di fronte a una norma che peggiora la legge contro le discriminazioni razziali, etnici o religiosi. Questo perché nel provvedimento approvato alla Camera è stato introdotto un subemendamento che stravolge completamente la legge Mancino regalando, di fatto, un salvacondotto per associazioni cattoliche e partiti di estrema destra.
Adesso la battaglia si sposta in Senato dove, a mio avviso, bisogna assolutamente riparare agli errori commessi eliminando l’emendamento introdotto dall’On. Gitti.
L’Italia, rispetto al resto d’Europa, accusa un ritardo consistente sul piano del riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone lgbt. Di chi è la colpa?
Negli ultimi vent’anni, in Italia, ha governato una politica molto fragile su questi temi. Poco lungimirante. In molti pensano che la colpa di questo immobilismo legislativo sia da addossare interamente alle ingerenze del Vaticano, ma non è così. Non del tutto, almeno. In realtà le responsabilità maggiori sono della politica. In molte occasioni i partiti hanno accettato delle imposizioni, alcune volte non rispettando neanche i dettami sanciti dalla nostra Costituzione. Questo è il vero motivo per cui il nostro Paese è rimasto così indietro nel
campo dei diritti civili rispetto al resto d’Europa. La cura è semplice: rendere la politica completamente impermeabile e autonoma da qualsiasi condizionamento esterno.
Nel 2002 ha dichiarato pubblicamente il suo orientamento sessuale. Cosa è cambiato in questi ultimi undici anni?
L’Italia, come società, si è evoluta in positivo. Purtroppo quella rimasta al palo è proprio la politica. Questo perché mentre la destra italiana, al contrario di quella liberale europea, ha avuto un atteggiamento di chiusura sul fronte dei diritti delle persone lgbt, alla sinistra, che pure ha sempre sostenuto questa battaglia, è mancato un briciolo di coraggio in più rispetto a quello messo in campo dai colleghi europei.
Rimane dunque uno scollamento tra la popolazione e i propri rappresentanti parlamentari. In Italia l’accettazione dell’omosessualità si attesta intorno al sessanta per cento, mentre in Germania e in Olanda, tanto per fare un esempio, sono all’ottanta per cento. Naturalmente in questi paesi la legge contro l’omofobia ha reso la popolazione più consapevole.
È arrivato il momento per la politica italiana di dare quelle risposte che i cittadini aspettano da troppo tempo.
Cosa rappresenta per una persona omosessuale il “coming out”?
Per un eterosessuale dichiarare di amare un partner è un passaggio naturale. Purtroppo non avviene la stessa cosa nella vita di una persona omosessuale. Questo è il motivo per cui il “coming out” rappresenta un passo molto importante. Perché segna il momento in cui si accetta di vivere il proprio amore alla luce del sole sconfiggendo definitivamente sentimenti come paura e vergogna, cattivi compagni di viaggio di un rapporto “clandestino”.
Posso assicurare, però, che dal momento in cui si riescono a mostrare le proprie emozioni senza doversi nascondere, si acquisisce una forza particolare.
La società di oggi si approccia con maggiore disinvoltura all’omosessualità, ma a questo sentimento, purtroppo, non coincidono gli stessi diritti e gli stessi doveri. Ci sono ancora profonde tasche di discriminazione, per via dell’orientamento sessuale, come il mancato riconoscimento delle coppie. Se è vero che l’amore omosessuale è come l’amore eterosessuale, allora devono per forza coincidere gli stessi diritti. È proprio qui che iniziano le mancanze della politica.
L’unione contratta in Germania con la sua compagna Riccarda per colpa di un vuoto legislativo non è stata riconosciuta in Italia. Cosa ha provato?
All’inizio di quest’anno il tribunale di Roma ha rigettato il ricorso che io e Riccarda abbiamo presentato dopo il rifiuto, da parte del Comune di Roma, di registrare la nostra unione. Questa sentenza probabilmente non ha tenuto conto del fatto che mia moglie è tedesca e che ci siamo sposate nel suo paese.
In questo momento mi sento una famiglia a metà. In Germania noi due siamo considerate un nucleo familiare, come una coppia eterosessuale. Mentre in Italia, la nazione in cui sono nata, siamo due estranee senza alcun diritto, dovere o vincolo di parentela.
Ricordiamoci che allargare i diritti a chi non ce li ha non significa toglierli a chi già ne gode.
Il Pontefice ha recentemente dichiarato: “Chi sono io per giudicare gli omosessuali”. Secondo lei è un segnale di apertura?
Non credo che Papa Francesco cambierà idea sull’omosessualità. È un pensiero che ha radici profonde e ben ancorate alla dottrina cattolica. Non mi aspetto neanche che sia favorevole alle unioni o ai matrimoni tra due persone dello stesso sesso. Registro, però, rispetto al passato, un cambiamento nei toni. Siamo passati da un Papa che considerava gli omosessuali una minaccia per la pace nel mondo, a un altro che ci considera delle anime smarrite. Mi sembra, oggettivamente, un bel passo in avanti.
Adesso vorrei che arrivasse, da parte del Vaticano, più rispetto nei confronti della mia vita, della mia dignità e dei miei sentimenti. Comunque, mi sembra che sia stata imboccata la strada giusta.
L’omosessualità nelle istituzioni. Ci sono ancora casi di discriminazione?
Purtroppo sì, come ce ne sono nel resto della nostra società.
Nelle forze armate e di polizia, come in altri settori, la situazione però sta lentamente migliorando. Anche se perdura, tra gli appartenenti alle forze dell’ordine, una paura diffusa di rivelare la propria omosessualità.
Le viene in mente una storia in particolare?
Un caso eclatante è stato quello della poliziotta veneta pesantemente discriminata in ragione del suo orientamento sessuale. Dopo tanta sofferenza la vicenda, per fortuna, si è conclusa a favore dell’agente.
Combattere una battaglia per i propri diritti incide sempre pesantemente nella propria vita privata. Ogni nuovo problema che sopraggiunge risulta doppio se si è omosessuali.
Uno studio nazionale condotto dall’Arcigay, in collaborazione con il Ministero del lavoro, ha evidenziato come le lesbiche, gay, bisessuali e transessuali siano più discriminati rispetto agli eterosessuali sul posto di lavoro.
Tutte le forze dell’ordine, come il Parlamento, sono delle istituzioni e come tali dovrebbero dare l’esempio cominciando a eliminare qualsiasi discriminazione ai danni dei propri appartenenti.
In Europa ci sono corpi di polizia particolarmente efficienti nel contrasto dei reati a sfondo omofobo e transfobico?
Certo. E la Germania è uno di questi. La polizia tedesca ha un reparto dedicato a questo genere di crimini. Sarebbe molto bello riuscire ad avere anche qui una squadra della Polizia di Stato altamente specializzata per gli illeciti contro le persone lgbt. D’altra parte bisognerebbe agire in questa direzione anche per il femminicidio.
In molti paesi europei le istituzioni partecipano al Gay Pride con una propria rappresentanza omosessuale. Questo modello di integrazione è replicabile anche in Italia?
Assolutamente sì. Penso che l’Italia sia culturalmente pronta per aprire un processo di questo tipo. Quasi in tutta Europa, in modo particolare nei paesi del nord, si ha una collaborazione attiva tra forze dell’ordine e lavoratori omosessuali. Un rapporto basato sul rispetto reciproco che permette ogni giorno di contrastare in maniera efficace le discriminazioni e la violenza. Così facendo si riesce a instaurare un clima sociale aperto all’accettazione dell’omosessualità.
Io partecipo tutti gli anni al corteo del Gay Pride di Colonia, il più grande della Germania. Lì ogni anno si dà vita a una grande festa popolare dove partecipano anche tutte le autorità locali. In più, i corpi della polizia e dei vigili del fuoco mettono a disposizione della propria rappresentanza omosessuale i mezzi necessari per la partecipazione al corteo.
Ma per riuscire a comprendere fino in fondo quale sia il livello di collaborazione tra le istituzioni tedesche e il movimento, basta dare uno sguardo all’elenco degli sponsor finanziatori della manifestazione: nomi altisonanti tra cui spiccano l’istituto di credito di Colonia e le Ferrovie federali tedesche.
Questo è uno Stato dove le battaglie sui diritti civili e la lotta alla discriminazione sono state vinte da anni. Ora attendiamo l’Italia.
FOTO: Paola Concia con la compagna Ricarda Trautmann
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