home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 15:18

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
Settembre - Ottobre/2013 - Interviste
Regioni a Statuto Speciale
di Francesco Toniarini

La soppressione dell'italiano nella toponomastica altoatesina è stata
lo spunto per chiedere ad un costituzionalista esperto come
il professor Casavola una spiegazione approfondita del fenomeno,
ed ottenere una confessione spassionata sulla validità
della riforma del Titolo V

Abbiamo chiesto al professor Francesco Paolo Casavola, giudice emerito della Corte Costituzionale, un'analisi del fenomeno che ha coinvolto in la regione autonoma del Trentino Alto Adige, dove l'amministrazione locale ha optato per l'abolizione del bilinguismo in favore del tedesco.

Professor Casavola, quali sono le ragioni storiche del bilinguismo in Trentino Alto Adige, e perché in quelle zone c'è un così scarso senso di appartenenza alla cultura italiana?
Tutto ebbe inizio con l'idea che si dovessero tutelare quelle minoranze linguistiche, lasciateci in eredità dall'ideologia dello stato nazionalista inteso come coincidente con l'identità di un popolo e di un luogo geografico. Era frequente, perciò, che il problema delle minoranze linguistiche si ponesse soprattutto nei luoghi di confine dove potevano risiedere ancora popolazioni di un'altra nazionalità, e che nel secolo precedente avevano vissuto una condizione di isolamento e discriminazione.

Una sorta di riconoscimento post-nazionalista, quindi?
Esattamente. La Repubblica nacque in un clima completamente diverso dal punto di vista della concezione dei rapporti tra le nazioni, e per questo si pensò immediatamente in Assemblea Costituente alla concessione di statuti speciali, per le zone cosiddette di confine. Ma le differenze linguistiche non furono l'unica spiegazione di questo processo storico, perché in Italia esistevano molte altre minoranze linguistiche: albanesi, catalane, greche, slave soprattutto nell'Italia meridionale ed insulare; franco-provenzali nelle province di Cuneo e di Torino, tedesche nei villaggi alpini del Piemonte e delle Venezie, rumene nella Venezia Giulia. Probabilmente se si fosse dovuto fare un censimento ancora più accurato, si sarebbe arrivati a contare qualche decina di minoranze linguistiche di natura diversa, con problematiche diverse, e che nel tempo sono state regolamentate in maniera diversa. In Sicilia, ad esempio, a seguito della guerriglia secessionista lo Statuto venne firmato dall'ultimo re d'Italia Umberto II, a riprova dei timori che il governo centrale riponeva nella perdita dell'Unità.

Quindi gli statuti speciali non sono altro che un dazio, pagato al tempo, al mantenimento dell'Unità nazionale?
Direi proprio di sì. Lo statuto del Trentino Alto Adige fu il risultato di un negoziato internazionale tra Italia e Austria a tutela delle minoranze. Oggi però quelle minoranze linguistiche beneficiano di regimi molto protettivi, e si trovano, dal punto di vista delle risorse economiche a disposizione degli Enti locali, in una posizione di forte vantaggio rispetto al resto del Paese, in barba ad uno dei principi fondamentali, qual è quello dell'uguaglianza tra cittadini, che prescinde da queste differenze.

Come si potrebbe ricalibrare, secondo lei, questo privilegio?
Dovremmo fare in modo che si realizzi una sorta di omogeneità di trattamento, di autoconsiderazione culturale da parte di chi vive in quelle zone sul significato del vivere nel bene comune al di fuori della differenza linguistica. E non solo per una questione culturale, ma anche e soprattutto perché questo è un principio che sta alla base delle normative europee, che pur riconoscendo le diversità dei vari Paesi, non dimenticano l'obiettivo di compatibilità totale e progressiva integrazione tra le lingue dei vari Stati. Questo principio va rilanciato anche tra le minoranze linguistiche presenti nel nostro Paese.

La recente vicenda che ha coinvolto gli Enti locali altoatesini, in merito alla soppressione del bilinguismo a svantaggio dell'italiano, come deve essere letta?
Sono dell'opinione che questo caso vada letto innanzitutto sulla base dell'illegittimità del provvedimento preso dall'autorità locale, perché ritengo che qui ci sia un comportamento da deplorare a livello politico. Negli statuti regionali la toponomastica è prevista, proprio a livello di legge, sia nella lingua della minoranza che in quella nazionalmente riconosciuta. Quindi la soppressione di una delle due è comunque da riconoscersi come discriminatoria. Mi auguro, se pur in scarsa convinzione, che sia stato un errore di distrazione degli amministratori locali.

Come si è arrivati a questo totale punto di degrado dell'ideologia nazionalista intesa come attaccamento alla nazione?
Mi faccia dire fino in fondo quello che penso: oggi il vero problema non è quello delle minoranze linguistiche, il vero problema è che il Titolo V della Costituzione, per come è stato riformato, ha completamente rovesciato la logica che aveva presieduto in Assemblea Costituente alla nascita delle autonomie. Quella cioè che prevedeva che alle regioni venisse tassativamente indicato quali fossero le competenze su cui amministrare e legiferare, mentre tutto il resto rimaneva competenza dello Stato. Con la riforma del Titolo V, invece, questa logica è cambiata radicalmente: allo Stato sono rimaste alcune materie, mentre tutto il resto è diventato di competenza regionale.

La deregulation agli Enti locali quindi cosa ha comportato?
Il potere regionale è cresciuto, addirittura sostituendosi allo Stato in maniera esclusiva. La crisi finanziaria attuale è dovuta anche allo spreco di risorse perpetrato dagli enti locali, e questo non è più giustificabile, senza contare il rischio che in questo modo si violi il principio di uguaglianza tra cittadini connazionali. Le grandi infrastrutture che collegano il Paese, non possono più sopravvivere se non in maniera uniforme ed omogenea tra territori. Non è più concepibile l'attuale frammentazione del Paese, che appartiene ormai ad epoche arcaiche. L'abolizione del bilinguismo non è il vero problema. Occorre rivedere l'impianto costituzionale che regola le autonomie locali, a favore di una maggiore centralità dello Stato.

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari