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Settembre - Ottobre/2013 - Articoli e Inchieste
Sindacato
“Non siamo terra di mafia ma c’è da vigilare anche qua”
di Francesco Toniarini

Contraffazione, criminalità organizzata
e immigrazione. Viaggio in Toscana
raccontato da Marco Noero,
Segretario regionale Silp-Cgil


La lotta alla contraffazione, la criminalità organizzata che in Toscana c'è “ma che - assicura il Segretario regionale del Silp-Cgil - non può attecchire per via degli anticorpi insiti nel nostro tessuto sociale”. E ancora, la mancanza di risorse, e la paura dei poliziotti di non riuscire più a svolgere al meglio il proprio lavoro. Di tutto questo ce ne parla Marco Noero.
Ecco un'altra tappa del nostro viaggio all'interno delle realtà locali del Silp-Cgil. A darci il quadro della situazione stavolta è Marco Noero, segretario regionale della Toscana, che ci descrive una realtà ancora sostenibile per il Comparto Sicurezza, ma che senza le dovute risorse rischia di raggiungere il 'default' operativo. In un territorio dove la lotta alla contraffazione è la priorità, e la presenza delle Forze dell'ordine è un'esigenza fisiologica.

Segretario Noero, quali sono le criticità del settore?
I punti di debolezza del settore, a livello generale, sono quelli che si inquadrano nei tagli, che negli ultimi 5-6 anni hanno assunto una dimensione molto importante. Tagli miliardari che chiaramente hanno messo alla prova un po' tutto il sistema sicurezza del Paese, a partire dal blocco del turnover: praticamente oggi il poliziotto ha un'età media superiore ai 45 anni, e già questo ci mette sicuramente in condizione di lavorare in maniera disagiata. Se poi a questo sommiamo l'inadeguatezza dei mezzi che abbiamo a disposizione, capisce bene che la situazione è drammatica.

Il che ricade ovviamente sulla lotta alla criminalità...
La criminalità oggi assume aspetti sempre più impegnativi e complessi, e coinvolge tutte le sfere della società, sia in provincia, sia in città a carattere metropolitano come Firenze. In provincia poi, il degrado urbano delle zone più periferiche già di per sè concorre a dare ai cittadini un senso di insicurezza, che spesso però risulta essere ingiustificato rispetto al rischio che il reato effettivamente possa avvenire. Questa è quella che noi chiamiamo insicurezza percepita, e che in questi tempi di crisi profonda sta aumentando.

Il multiculturalismo, che in Toscana è molto forte, concorre ad alimentare queste paure?
Sul fronte immigrazione, la nostra regione si presenta con una mappatura decisamente a macchia di leopardo. Sia per quanto riguarda la presenza degli stranieri nelle città, sia per quanto concerne la convivenza e l'integrazione tra culture diverse, e l'interazione con la nostra. In situazioni dove la città è più grande, questo aspetto può anche essere meno significativo. Del resto, più grande ė la città e migliore risulta la percezione dello straniero.
Nell'area metropolitana di Firenze, ad esempio, si sono fatti enormi passi avanti dal punto di vista dell'integrazione. Diversa invece la situazione in provincia, dove l'alto numero di immigrati (in Toscana abbiamo superato i 400mila immigrati censiti, un numero importante) va a gravare sulle abitudini di vita dei piccoli centri, e ci si può trovare di fronte a momenti di rabbia e di tensione soprattutto in questi anni in cui la crisi imperversa da un punto di vista economico e sociale.

Come l'esempio della comunità cinese di Prato?
Quello di Prato è un esempio che la dice lunga, perché gli immigrati censiti superano i 45-50mila, ed è chiaro che condizionano in maniera rilevante la vita degli italiani soprattutto dal punto di vista economico, perché rispetto a qualche anno fa la crisi economica si è molto acuita, e non si arriva ancora a vedere la luce alla fine del tunnel. La comunità cinese, inoltre, produce merce a basso costo, e così facendo mette in ginocchio le piccole e medie imprese locali, che a Prato per altro sono un'eccellenza nel tessile. Le mancanze di prospettive immediate e la crisi profonda fanno sì quindi che anche quello dell'integrazione sia un problema di difficile soluzione.

Quanto incide la contraffazione sul fallimento delle imprese, e come intendete contrastare il fenomeno?
Garantire la legalità reprimendo la contraffazione e la concorrenza sleale è molto difficile, soprattutto in Toscana dove il Made in Italy nella moda e negli articoli di abbigliamento è un punto di forza.
La contraffazione dei marchi, e la loro vendita a basso costo, chiaramente mette in ginocchio la filiera produttiva legale. Fu siglato anni fa un protocollo di legalità tra ministero dell'Interno ed Enti locali volto a contrastare questo fenomeno.

Su quali altri fronti siete impegnati?
Le Forze dell'ordine, oggi come in passato, sono tutte impegnate nel contrasto alla criminalità diffusa. Ovvero, quella microcriminalità che racchiude in sè reati di tipo predatorio: rapine, furti in appartamento, truffe. Quest'ultimo in particolare costituisce un reato particolarmente odioso quando colpisce le fasce più deboli della società. Come Polizia noi siamo impegnati nella prevenzione e repressione di questi reati.

Le vostre priorità come sindacato, invece, quali sono?
Innanzitutto il sindacato ha come vocazione prioritaria quella di tutelare i diritti dei lavoratori della categoria che rappresenta. I poliziotti si sono trovati in questi anni a doversi confrontare con il blocco dei contratti fermi al 2010 come per tutta la pubblica amministrazione, e a dover fare i conti con la crisi. La questione, però, che secondo noi va oltre ogni buon senso, e che è ancora in atto se pur in fase di stralcio, è quella della previdenza. Legare il pensionamento di un poliziotto alla prospettiva di vita generale supera secondo me, e secondo il Silp in accordo e comunanza con tutte le altre sigle sindacali, la soglia del buon senso.
Noi non vogliamo godere di trattamenti di favore, ma rientrando il lavoratore delle Forze di Polizia in una categoria specificamente a rischio, se dopo i sessant'anni deve continuare a lavorare è giusto che lo faccia in una condizione tutelata. C'è poi il blocco del turnover che ha provocato un innalzamento dell'età media in Polizia oltre i 45 anni. Tra qualche anno saranno decine e decine di migliaia i colleghi operativi sessantenni. Tutto ciò creerà una grossa criticità all'interno delle Forze dell'ordine.

Anche lei, come molti suoi colleghi ricorda con nostalgia il reclutamento tramite concorso pubblico?
La legge 216 del 2004 ha messo la parola fine sulla selezione pubblica tramite concorso degli agenti di Polizia, cambiando completamente i criteri di reclutamento. Prima c'era il concorso pubblico, regolamentato dalla legge 121 di riforma, il cosiddetto "concorsone universale". È dal 1996 che il maxi concorso non si fa più, e negli ultimi dieci anni il numero di poliziotti che entrano nel Comparto ogni anno si è notevolmente ristretto.
Sulla formazione delle reclute, poi, abbiamo fatto una vera e propria corsa all'indietro. Lo spirito della Noi ormai si formano delle persone che nulla hanno a che vedere con lo spirito della riforma. Lo spirito della riforma 121, per la quale era stato istituito il concorso, era quello del poliziotto tra la gente e nella gente, e sulla base di questo spirito sono nate organizzazioni sindacali come il Silp-Cgil che fanno di questo concetto un principio fondativo. Essere il sindacato che tutela i diritti dei lavoratori e che promuove insieme alle Istituzioni, e ai soggetti deputati alla tutela e alla sicurezza, politiche che guardino ovviamente alle fasce più deboli della società.

Il background del poliziotto è migliorato o peggiorato in questi anni?
Oggi, rispetto a qualche anno fa, il poliziotto è più informato, e questo grazie ai progressi che la società ha fatto dal punto di vista informatico e tecnologico, che hanno fatto progredire pure un giovane che si appresta a fare questo mestiere. È anche vero però che sono aumentate le difficoltà: la società è più complessa, e ci sono da affrontare, spesso a mani nude, situazioni maggiori con molti meno mezzi a disposizione.
La criminalità organizzata, invece, in questi anni ha avuto la possibilità di fare grossi investimenti, mentre noi siamo alle prese con una classe politica che non investe in sicurezza e legalità, che sono a mio avviso i beni immateriali più importanti della società moderna. La mafia ha la possibilità di fare fatturato, e con il grande fatturato investe in strumenti, armi e mezzi che sono al top dell'innovazione tecnologica. Noi invece al progresso tecnologico ci avviciniamo con estrema difficoltà, per mancanza di mezzi e risorse.

Mi parla di mafia, quindi ha attecchito anche qui?
La mano della criminalità organizzata si sente in Toscana da diversi anni, e la sua presenza non è più un fatto trascurabile. Incide sul tessuto sociale ed economico di tutta la regione. La Toscana non è terra di mafia, ma è proprio qui che si trova la tenuta di Suvignano, a Monteroni d'Arbia in provincia di Siena, il bene confiscato alla mafia più esteso d'Italia; è enorme, e si può visitare. È stato confiscato a Vincenzo Piazza immobiliarista palermitano e capo cosca mafioso.
In Toscana ce ne sono molte di queste realtà, nonostante il territorio abbia i suoi anticorpi per evitare che la mafia attecchisca, ma è anche vero che questo è un territorio che è diventato ideale per le cosche per quanto riciclare i proventi delle attività illecite.

Difficile considerare la Toscana terra di mafia e di criminali...
Sento di poter dire che la sicurezza in Toscana sia ancora una dimensione sufficientemente tutelata, e non intendo fare dell'allarmismo. Va detto però che il sistema sicurezza di tutto il Paese comincia a soffrire, e da diversi anni. Manca ormai un adeguato presidio territoriale, che è una delle componenti fondamentali dal punto di vista della prevenzione e repressione del crimine, e che non può mancare.
Noi italiani purtroppo ci inventiamo i miitari in piazza, o soluzioni assolutamente estemporanee come le ronde, o le Polizie locali. Quello che ci serve, invece, è proprio il presidio territoriale, insieme a politiche di integrazione degne di questo nome, e alla partecipazione delle Istituzioni in sinergia con le Forze dell'ordine.

Dal punto di vista logistico invece, qual è la situazione attuale?
Alcuni commissariati sono stati chiusi perché inagibili, come ad esempio quelli di Volterra e Pontedera. La questura di Pistoia cade a pezzi. La nuova sede è già pronta, ma i colleghi non possono entrarci per via della spending review e del patto di stabilità che impedisce loro di trasferirsi.

Come procede il dialogo con il nuovo governo, ammesso che esista?
Il tentativo di dialogo da parte nostra è stato subito aperto, perché la dichiarazione di intenti del governo alle Camere ci aveva dato qualche speranza, specialmente quando il premier Letta aveva assicurato l'impegno nel potenziare il Comparto Sicurezza, ma francamente ad oggi non ne abbiamo ancora avuto riscontro.
Purtroppo questo è un governo che nelle presentazioni ha promesso di fare contenti tutti, ma sappiamo bene che le risorse per fare contenti tutti non ci stanno. Il che suona un po' da campagna elettorale. Con il ministro dell'Interno Alfano abbiamo cercato più volte un confronto che ancora non ci è stato, e tutto ciò non promette bene perché i tempi stringono e i lavoratori di Polizia non sono più in grado di garantire la sicurezza dei cittadini. Anche perché, onestamente, le circolari ministeriali che ci intimano di razionare la benzina, e di stare attenti alla velocità per evitare danni alle macchine, ci appaiono davvero una mancanza di rispetto per il nostro lavoro.

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