Dopo il flop di Rivoluzione Civile, non guiderà
più i Comunisti italiani, non si ricandiderà
in Parlamento e continuerà a fare
il docente: “In Italia, più che un panda
mi sento uno sfigato”
Non intende ricandidarsi alla segreteria del partito dei Comunisti Italiani, non vuol più fare il parlamentare ma ci tiene a dire che in Italia, e non solo, c’è bisogno di gente che contrasti il capitalismo.
Oliviero Diliberto a luglio si è presentato al congresso di Chianciano da dimissionario lasciando a Cesare Procaccini la gestione del partito, come ha fatto in Parlamento mandando al suo posto un operaio della Tissen Krupp.
Intanto, dei politici dice: “Sono aggrappati alla poltrona, questa è la ragione della disaffezione degli elettori”. E per il futuro assicura: “Farò il militante comunista e continuerò con ciò che ho sempre fatto, cioè il docente universitario”.
Si però Diliberto non sarà mai un ‘semplice’ militante…
Voglio dedicarmi alla ricostruzione potenziale di un partito comunista in Italia, un partito del quale c’è tanto bisogno.
Magari di nuovo con Ingroia.
Ne sarei felicissimo. Purtoppo l’esperienza di Rivoluzione Civile è stata un disastro ma poteva rappresentare una novità nel panorama della sinistra. Ingroia è obiettivamente il simbolo di chi mantiene la schiena dritta davanti ai poteri forti, è stato protagonista di una stagione antimafia irripetibile. Non potrò mai dimenticare quando nel 2011 partecipò al nostro congresso nazionale e pubblicamente si proclamò un partigiano della Costituzione, suscitando mille polemiche.
L’esperimento di Rivoluzione Civile però è andato malissimo. Il Pd neanche ha risposto alle offerte che avanzava Ingroia e intanto il Movimento 5 Stelle avanzava in modo irrefrenabile…
Quindi, basta con la politica?
No assolutamente, la politica si fa anche senza stare in Parlamento. I cittadini vedono che i politici sono aggrappati alla poltrona in maniera vergognosa, questa è la causa della disaffezione dalla politica.
Lei è in politica da quando aveva 13 anni, è stato capogruppo alla Camera, ha lasciato Rifondazione per il Pdci, è stato deputato e dal 1998 al 2000 è stato ministro di Grazia e Giustizia nel governo D’Alema, il governo che riportò in Italia Silvia Baraldini.
Sì. Pensare che gli americani abbiano consegnato la Baraldini a un Ministro comunista credo che sia un discreto successo. Era stata condannata per terrorismo, aveva fatto da palo in una rapina durante la quale fu ucciso un agente dell’Fbi. Le diedero più di 30 anni, ne scontò 19 negli Stati Uniti poi l’abbiamo riportata in Italia.
E come avete fatto?
In modo banale: accettammo le condizioni imposte dagli americani, ovvero far scontare alla Baraldini il resto della pena in carcere senza sconti come avviene spesso nel nostro Paese.
In quel periodo però ci fu anche un’aspra polemica legata al Gom (Gruppo Operativo Mobile), una sorta di task force con il compito di intervenire in caso di sommosse in carcere, scortavano i pentiti a rischio o sorvegliavano i mafiosi al 41bis.
Nel ’98, quando sono diventato Ministro, questo Reparto della Polizia Penitenziaria già esisteva. Era stato creato l’anno prima dal mio predecessore Giovanni Maria Flick. Io mi limitai a emanare il regolamento. Le polemiche in realtà arrivavano da quella parte della sinistra che non aveva gradito la partecipazione al governo del mio partito, lo avevano vissuto come un cedimento moderato, cosa che contesto radicalmente, basti pensare alla Baraldini.
A proposito di ex terroristi e carceri, spesso il tema della sicurezza si lega alla politica e viene usato in campagna elettorale.
Trovo odioso fare campagne elettorali che si basano su questo elemento perché sono sempre strumentali. Quando ero ministro della Giustizia, a Milano il centrodestra diceva che la colpa dell’insicurezza era del governo, a Roma invece la colpa era del sindaco, che all’epoca era Rutelli. Questo tema va affrontato in modo serio senza l’obiettivo di guadagnare voti perché si parla della pelle dei cittadini.
Senza ideologie?
Non deve esistere un problema ideologico su questo argomento, bisogna risolvere i problemi. In tutto il mondo questo è un tema molto sentito anche nei tranquilli Paesi del nord Europa. Ad esempio in Svezia ci sono più stupri che in Italia dove ci sono quartieri con scarsa illuminazione e poca prevenzione delle Forze dell’ordine.
Quindi più poliziotti e carabinieri in giro?
Non è una questione di numeri ma di come vengono impiegati gli uomini. Non serve rinforzare l’organico, serve dare delle motivazioni, come ad esempio, aumentare gli stipendi.
Con quali soldi?
Tagliare dalle spese militari, ad esempio sugli F35, questo permetterebbe addirittura di raddoppiare gli uomini ma attenzione, io sono contrario all’aumento dell’organico, credo che ci sia bisogno anche del turn over.
L’età media delle Forze dell’ordine e in particolare della Polizia è aumentata in maniera esagerata. Non si possono tenere per strada persone che hanno più di 50 anni. Inoltre vanno attrezzati meglio e motivati…
Si ma oggi gli uomini in divisa che stanno in strada non se la passano bene. C’è un crescente allarme legato alle tensioni sociali.
Nel nostro Paese è ancora marginale.
Però ci sono momenti nei quali il poliziotto subisce forti stress emotivi, soprattutto dai gruppi estremisti.
La prima cosa che mi spiegarono quando mi iscrissi al Partito Comunista nel 1974 fu la differenza tra i comunisti e i gruppi extraparlamentari. Chiarirono subito che i poliziotti sono dei lavoratori salariati che indossano una divisa ma innanzitutto sono dei lavoratori, con le stesse rivendicazioni, ambizioni e problemi degli altri.
Come Pasolini che a Valle Giulia nel ’68 stava con i poliziotti in quanto figli dei poveri.
E’ diverso. Quella di Pasolini era una contrapposizione tra gli studenti figli della borghesia e i poliziotti che erano quasi tutti arrivati dal sud. Oggi non è così, molti poliziotti studiano, sono laureati, grazie alle convenzioni con le università prendono le lauree, molti sono di sinistra; in fondo la Polizia riproduce la società italiana. Ne conosco molti e sono tutti delusi. In alcuni casi si sono illusi con le promesse fatte dalla destra che però appena è stata al governo sul tema della sicurezza non ha fatto nulla.
Quando ero Ministro avevo un Corpo di Polizia molto particolare all’interno del Ministero che era, ed è, la Polizia Penitenziaria che per certi versi è il livello di maggiore criticità. Un poliziotto che non lavora in carcere ha momenti di grande soddisfazione professionale quando ad esempio cattura un latitante, dopodiché il latitante viene consegnato alla Polizia Penitenziaria ed entra nel girone infernale delle carceri dove il detenuto che viene condannato, ad esempio a due anni, dice all’agente della Penitenziaria: ‘Io devo scontare due anni, tu hai l’ergastolo’.
Cos’è il carcere oggi?
Oggi rappresenta il luogo delle peggiori contraddizioni della società, ci sono extracomunitari, tossicodipendenti e marginalità sociale, e ad accudire queste persone ci sono ragazzi anche di 20 anni.
Dal problema carceri alla riforma della Giustizia il passo è breve.
Innanzitutto ci vorrebbe una drastica operazione di depenalizzazione. Viviamo in un Paese dove per sanzionare una persona ci vogliono tre gradi di giudizio penale e questo implica l’impiego di un giudice o di un collegio, una macchina organizzativa che è costretta a muoversi anche in presenza di atti illeciti che in molti casi non necessitano di un processo penale.
Un esempio?
Fino a un po’ di tempo fa se durante una manifestazione uno si metteva su un binario commetteva un reato penale. Depenalizzando, facendo una sanzione amministrativa, si evita di ingolfare il sistema giudiziario. Si tratta di milioni di procedimenti; idem per i procedimenti civili per i quali la necessità di cambiare è per certi versi più urgente della revisione del processo penale perché falliscono le aziende. Se un’impresa deve avere un credito e il processo dura dieci anni, nel frattempo, quell’azienda fallisce.
Cosa fare?
Togliere dalla giurisdizione ordinaria tre tipologie di cause civili: quelle pensionistiche, quelle assicurative e quelle condominiali. Quando ero Ministro c’erano un milione e mezzo di cause pendenti e di queste cause l’Inps ne perdeva il 92%. Mi chiedo dunque se servono tre gradi di giudizio per queste cause quando basterebbe una Camera di conciliazione. Sulle cause assicurative è la stessa cosa, quando c’è un incidente d’auto chi decide l’entità del danno non è un giudice ma un perito.
Si tratta di tre cose semplici che servono per svuotare lo scatolone delle cause pendenti. Alla fine degli anni ’90 erano quattro milioni, adesso sono forse di più.
Se è così semplice perché non si procede su questa strada?
Perché ci vuole la volontà politica di andare contro due categorie molto forti come gli avvocati e i magistrati. E in questo periodo la politica non mi sembra altrettanto forte.
Sentenza Cucchi, condannati i medici, assolti infermieri e agenti della Penitenziaria, la famiglia e l’opinione pubblica non l’hanno presa bene…
Non conosco gli atti processuali quindi mi astengo dal dare un giudizio che può sembrare forzato. I giudici dicono che non è stato malmenato. Mi limito a dire che mi sembra quantomeno strano.
Lei collabora con la Repubblica popolare cinese come consulente di diritto, la Cina, un luogo che il comunismo lo conosce bene. Come spiegherebbe il comunismo a un bambino?
E’ molto semplice: le donne e gli uomini sono tutti uguali e nell’atto pratico i poveri possono iscriversi all’Università e avere i libri gratis, curarsi senza pagare il ticket, ecc. ecc. Non si tratta di solidarietà, che è una concessione, ma di uguaglianza, che è nella natura delle cose.
Si però l’università e la sanità qualcuno la deve pagare.
Certo, ed è questo il punto. Le spese vanno distribuite in base al reddito, io Diliberto possiedo più di altri e devo pagare di più, semplice. Nel contempo però ci vuole la garanzia dell’accertamento fiscale.
Nel nostro Paese l’evasione è a uno stato avanzato.
Gli strumenti contro l’evasione fiscale ci sono, basta semplicemente togliere il contante e pagare con la carta di credito. Magari non subito ma con le generazioni nate con il computer e Internet.
Qualcuno scherzando dice che i comunisti sono come i panda in via d’estinzione. Lei si sente un panda?
Se guardo in Italia sì, in tutto il mondo invece i movimenti esplicitamente comunisti o di rivolta stanno vincendo dappertutto.
Da giovane ho vissuto un periodo in cui l’America latina era un gigantesco campo di concentramento nazista, pieno di dittatori. Oggi, a trent’anni di distanza, trovare un indio presidente dell’Uruguay è la dimostrazione che i poveri del mondo non vogliono più essere sfruttati.
Quindi in realtà più che un panda mi sento uno sfigato visti gli esiti elettorali italiani.
Libro preferito?
Cent’anni di solitudine.
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