Ventisei episodi, quattordici anni di messa in onda
tra nuove puntate e repliche, share alle stelle e fans anche
all’estero. Il Commissario siciliano continua a piacere: merito
della penna di Camilleri e della rilettura televisiva
del regista Alberto Sironi
Passano gli anni, ma il suo fascino non sembra risentirne. Anzi, come succede per i buoni vini, con lo scorrere del tempo acquista corpo e forza regalando, ai suoi estimatori, nuove sfumature e sensazioni. Questo è il commissario Montalbano. Il poliziotto siciliano, nato dalla penna dello scrittore Andrea Camilleri e interpretato sul piccolo schermo dall’attore Luca Zingaretti, dopo quattordici anni, nove stagioni e ventisei film continua ad appassionare i suoi fan e inchioda davanti alla televisione nuovi spettatori.
Ma cosa rende Montalbano il commissario più amato d’Italia? Polizia e Democrazia lo ha chiesto al regista della serie televisiva, Alberto Sironi.
L’ultima stagione ha registrato una media di dieci milioni di telespettatori e uno share in costante crescita. Quali sono i segreti di un successo così longevo?
Spesso, quando le serie si prolungano per molti anni, c’è il rischio che gli ultimi episodi diminuiscano di qualità. Questo può portare gli attori a subire una maggiore routine e i produttori a diminuire i loro investimenti. Ecco, noi abbiamo fatto di tutto per cercare di evitare questi pericoli. E per fortuna, con Montalbano, ci siamo riusciti. Sinceramente ci aspettavamo un buon successo, ma non credevamo di arrivare a questi livelli.
Se poi ci aggiungiamo che, rispetto a quattordici anni fa, la televisione generalista ha perso molto pubblico per via del moltiplicarsi dei canali satellitari e del digitale terrestre, il risultato che abbiamo raggiunto acquista ancora più valore.
Un ottimo risultato è stato registrato anche all’estero. Possiamo promuovere il commissario al grado di ambasciatore della Sicilia?
Penso che Montalbano abbia fatto bene non solo alla Sicilia, ma a tutto il Paese. Per prima cosa ha restituito ai siciliani, massacrati fino a quel momento da una serie di protagonisti in chiave negativa, un personaggio positivo. E poi, sicuramente, ha contribuito a stimolare il turismo. La zona dove abbiamo girato le scene, situata all’estrema punta sud dell’isola, che va da Portopalo fino a Ragusa, prima dell’arrivo di Montalbano era un po’ fuori dai circuiti turistici internazionali. Posti meravigliosi che grazie a questa fiction, sono stati riscoperti dai viaggiatori di tutto il mondo. Questo riempie di orgoglio me, Camilleri e tutto il cast artistico e tecnico.
Un’altra bella soddisfazione è arrivata dall’Inghilterra: gli inventori del poliziesco hanno comprato la serie e i telespettatori inglesi l’hanno premiata facendole raggiungere degli share strepitosi.
Un introverso alle prese con ansie, pensieri e paure. Non porta la divisa, non gradisce le armi, ama le passeggiate e le trattorie. Lo si potrebbe definire un eroe comune. È questo il segreto di Montalbano?
Certo, perché Camilleri parte proprio dai difetti del suo personaggio e non ha paura di mostrarli in tutti i suoi chiaroscuri.
Possiamo definire Montalbano un anarchico individualista, che vuole sempre ragionare con la sua testa e si mette da solo alla ricerca della verità. Quando si fa aiutare dai suoi collaboratori è comunque lui che tira le fila di tutta l’indagine. La disinvoltura nell’usare i mezzi che gli sono concessi e non, sono piena espressione del carattere tipico italiano. Un personaggio variegato a cui Camilleri ha donato una particolare qualità, che pochissimi hanno, quasi da paladino: non deflette mai di fronte alla sua etica. Per questo rinuncia alla sua carriera e non ha paura di mettersi in contrapposizione con il potere, sia politico che interno al suo lavoro.
In questi ultimi quattro film c’è una nota di malinconia del protagonista, che si mette a osservare se stesso con una maggiore intransigenza.
Camilleri ha costruito su questo personaggio tutta la sua critica alla società ed è riuscito a riflettere come uno specchio, luci e ombre dell’epoca in cui viviamo. È proprio questo che rende Montalbano così vicino a noi.
Lo stesso consenso, ammirazione e rispetto di cui gode il commissario nella fiction, spesso non si ritrovano nella realtà nei confronti degli operatori delle Forze dell’ordine. Secondo lei perché?
Il nostro Paese ha accusato un ritardo, anche per ragioni storiche, nel considerare l’esponente delle Forze dell’ordine come figura positiva. In Italia, fino agli anni Ottanta, il commissario di Polizia veniva visto come un poliziotto scelbiano, sempre con il manganello in mano. Addirittura fino agli anni Quaranta, per questioni politiche, si dovevano ambientare le storie poliziesche fuori dal nostro Paese perché considerate poco educative.
Ricordo quando ho incominciato a girare, nel 1991, la serie televisiva Il Commissario Corso, con Diego Abatantuono. Poco prima di partire con le riprese ho incontrato, a Milano, un responsabile del Reparto Volanti. Quest’uomo, molto simpatico ed estroverso, mi ha spiegato lo sforzo che da sempre le Forze dell’ordine compiono nel cercare di essere meno invise al pubblico.
Per raccontare la fiction bisogna studiare bene la realtà. In questi anni ho avuto modo di osservare molto da vicino gli sforzi della Polizia di Stato, seguendo alcune operazioni.
Mi dispiace molto vedere che ci sia poca attenzione da parte della società al sacrificio, alla serietà e al lavoro che svolgono ogni giorno le Forze dell’ordine. Naturalmente, come in tutte le situazioni, c’è il buono e c’è il cattivo. Non possiamo pensare né che tutti i poliziotti sono dei santi o integerrimi come Montalbano, né che tutti i carabinieri sono pronti a farsi sparare in piazza semplicemente per fare il proprio dovere.
Adattare la storia di un romanzo alle esigenze televisive non è mai facile. Quali “tradimenti” ha dovuto commettere rispetto all’opera letteraria?
Una delle modifiche più importanti che ho dovuto apportare riguarda l’età di Montalbano. Nel film ha quindici anni in meno rispetto al commissario letterario raccontato da Camilleri. Di conseguenza è stato ringiovanito tutto il gruppo del commissariato. Questo cambiamento ci ha permesso di andare avanti senza rimanere schiavi di personaggi che invecchiavano troppo pesantemente sullo schermo cancellando, di fatto, la possibilità di proseguire la fiction per lungo tempo. Ma Zingaretti non è solo più giovane. Il personaggio letterario è stato pensato da Camilleri come un uomo panciuto e con tanti capelli neri. Mentre io ho scelto un interprete asciutto e calvo.
Ora, il regista deve sapere cosa può e cosa deve raccontare. Bisogna andare al profondo della storia e dei personaggi. Ovviamente, utilizzando come strumento le immagini, e non le parole, l’azione assume un ruolo fondamentale.
Un lavoro enorme è stato fatto anche nella scelta di tutti i personaggi.
Un capitolo a parte va riservato al paesaggio siciliano, che nel Montalbano televisivo, diventa il personaggio in più. Le location dei nostri film sono state in qualche modo reinventate sulla base di come sono stati rivisti i personaggi. C’era bisogno di un tipo d’immagine più assoluta, più pulita. In alcuni casi abbiamo dovuto cercare dei luoghi con qualche superlativo in più rispetto a quello che Camilleri aveva descritto. Non abbiamo avuto paura di andare oltre.
Nonostante tutto, però, mi sembra che l’operazione sia abbastanza aderente al romanzo, anche se per tutta una serie di ragioni tecniche, in alcune occasioni, siamo stati infedeli.
Quali difficoltà affronta un regista quando traduce le parole in immagini?
La regia è un punto di vista. Però una delle prime regole è quella di non essere calligrafici. Non bisogna semplicemente illustrare ciò che scrive l’autore del romanzo, ma bisogna capire quello che leggi per poi rielaborarlo. Prendiamo la casa di Montalbano: un poliziotto, con lo stipendio che percepisce, non può permettersi economicamente una casa sulla riva del mare. In questo caso abbiamo interpretato.
Quando ho manifestato il desiderio di usare i veri attori siciliani del teatro naturalista catanese, cioè tutti quelli che hanno interpretato i ruoli secondari nel film, c’è stato da parte di qualche funzionario una forte preoccupazione sul grado di comprensione di questo tipo di linguaggio. Invece non è stato così. Se non avessimo, sotto il personaggio del commissario, lo zoccolo duro dei siciliani autentici, anche lo stesso Montalbano non starebbe in piedi.
Il rapporto tra il regista e lo scrittore non sempre è idilliaco. Cosa ne pensa Camilleri delle modifiche apportate?
Camilleri è una persona estremamente intelligente. Nella sua vita è stato anche funzionario della Rai, quindi conosce bene il mestiere del regista e sa cosa vuol dire reinventare. La prima cosa che ha fatto è stata quella di lasciarci liberi.
Quando ha visto il primo film Ladri di merendine, mi disse: “Mi sono piaciute anche le comparse”. Meraviglioso.
Dopo quattordici anni di lavoro avrà un album dei ricordi strabordante. Cosa le è rimasto particolarmente nel cuore?
Sicuramente l’incontro con Francesco Rosi, uno dei giganti del nostro cinema. Ricevere i suoi complimenti è stato veramente emozionante.
Ma, una delle cose più belle che ci sono capitate ultimamente è successa una domenica mattina a Marina di Ragusa. Io e Luca Zingaretti stavamo uscendo di casa per una passeggiata in bicicletta, quando ci sono venuti incontro una quindicina di turisti australiani, arrivati dal nuovo Continente, appositamente per incontrare Montalbano e per visitare i suoi luoghi.
Rimaniamo in attesa della decima stagione?
Sappiamo che ci sono due romanzi in via di pubblicazione. Io penso che l’anno prossimo ci ritroveremo all’inizio della primavera a Marina di Ragusa per girare i prossimi quattro film.
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