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Luglio - Agosto/2013 - Articoli e Inchieste
Legalità
Corruzione in Italia. Come fermarla
di Valeria Bordi

Il punto su un fenomeno che sottrae risorse
alla collettività in termini di economia,
di sicurezza e di qualità della vita

La diffusione e la dannosità della corruzione ha oramai dati certi a livello planetario tanto da indurre organismi internazionali, Onu e Unione Europea in primis, Istituzioni nazionali e locali, ad intraprendere iniziative di vario genere per dare risposte efficaci a un mostro dai mille volti che presenta connotati differenti ad ogni latitudine.
Il fenomeno della “cleptocrazia”, così definito per meglio evidenziare la spoliazione sistematica di risorse da parte del potere politico-amministrativo a danno della collettività amministrata, è di grande attualità per il nostro Paese, collocato nella graduatoria mondiale del Cpi (Indice di corruzione percepita) 2011, al 69° posto tra i 182 valutati, affiancato a Ghana, Macedonia e Samoa, appena sopra Tunisia e Romania, addirittura peggiorativo rispetto agli anni precedenti. L’Italia, quindi, relegata all’ultimo posto dei Paesi industrializzati e lontana decine e decine di posizioni dalle nazioni virtuose come Nuova Zelanda, Danimarca e Paesi scandinavi.
Il Corruption Perceptions Index, realizzato dall’organizzazione mondiale non governativa Trasparency International, con sede a Berlino, copre nella sua analisi di confronto, quasi tutto il mondo e costituisce l’insieme dei comportamenti di pubblici ufficiali o di impiegati pubblici finalizzati all’arricchimento personale o di persone vicine, che si realizzano attraverso l’abuso dei propri ruoli istituzionali; i punteggi attribuiti da tale organismo internazionale si basano su una griglia di indicatori ritenuti dagli studiosi tecnicamente validi per individuare lo stato di salute di un Paese.
I fattori che contribuiscono all’insorgenza ed alla diffusione di questo pactum sceleris sono ben conosciuti: la cattiva governance, che lascia ampi spazi di discrezionalità ad amministratori e funzionari pubblici, spesso non accompagnata da un sistema di controlli efficaci; la presenza di troppe leggi che si mostrano di difficile comprensione e lasciano margini di manovra agli incursori della corruzione; i sistemi sanzionatori ingolfati da un proliferare di inasprimenti di pene che spesso si rivelano privi di risultati tangibili; come pure una scarsa qualità delle burocrazie, non formate dal punto di vista etico professionale a fronteggiare le sirene ammaliatrici del facile profitto; l'anomia, ossia l'assenza di una legislazione mirata che favorisce comportamenti e strategie illegali; la presenza di oneri amministrativi e burocratici eccessivi ed infine, il moltiplicarsi di fazioni inclini a lasciar prevalere le proprie istanze particolaristiche sulle finalità pubbliche.
Nel variegato mosaico degli effetti della corruzione emergono aspetti di chiaro segno economico come la distorsione dei mercati, l’inibizione della libera concorrenza, i costi vivi del fenomeno, il cedimento delle aziende sane, le conseguenze negative per i consumatori, la bassa qualità delle opere realizzate, l’iniquità della pressione fiscale ed altre ancora, ma anche esiti meno tangibili ma forse ancora più devastasti. Ci si riferisce alla diffidenza diffusa verso gli apparati istituzionali, alla sconfitta del valore del merito, alla “incrinazione” dei rapporti tra amministrati ed amministratori, tra elettori ed eletti, a danno della democrazia, alla sperequazione sociale perpetrata dal fenomeno corruttivo che finisce per incidere pesantemente sulla qualità della vita dell’intera collettività.
In Italia fino al 28 novembre 2012, data di entrata in vigore della Legge anticorruzione n. 190 del 6.11.2012 recante “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, pur in presenza di scandali di indole corruttiva emersi a cadenza ravvicinata, non si è riscontrata quella giusta attenzione per tale polimorfa degenerazione dell’attività pubblica, come attestato dalla mancata attuazione della direttiva europea in materia, dalle mancate risposte operative alle raccomandazioni del Greco (The Council of Europe’s Group of States against Corruption), dalla infima posizione dell’Italia nella classifica dei Paesi a più marcato indice di corruzione, dal sistematico coinvolgimento di uomini della politica, delle Istituzioni e della imprenditoria in eclatanti vicende corruttive.
Questa colpevole disattenzione, attenuata da episodici interventi del legislatore, sempre finalizzati ad un inasprimento di pena per i reati connessi ed alla istituzione di organismi anticorruzione privi di poteri incisivi su persone e procedure, ha prodotto e produce danni ingenti all’economia, stimati in 60 miliardi di euro l’anno, in un tangibile degrado dell’etica istituzionale, in una sfiducia generalizzata della collettività nei confronti di tutti gli apparati pubblici e delle procedure, di appalti e di assunzioni in particolar modo, connessi alla loro attività.
La fotografia aggiornata della cronaca istituzionale mostra chiaramente come non ci siano arretramenti nella spirale corruttiva, anzi la tendenza sia di segno opposto, come attestato dal commissariamento per infiltrazione mafiosa del comune di Reggio Calabria, primo capoluogo a far parte di questo triste elenco, oppure dalle vicende inquietanti delle regioni Lazio e Lombardia.
Da più parti si è sostenuto che la corruzione sarebbe diffusa principalmente nei Paesi meno sviluppati mentre le moderne democrazie occidentali avrebbero circoscritto il fenomeno. Gli avvenimenti hanno smentito tale teoria perché, nonostante gli ostacoli che i sistemi democratici oppongono ad essa, questa deriva non è affatto debellata, anzi ha tratto nuovo vigore dall’apertura mondiale dei mercati e soprattutto dalla circolazione dei capitali in tempo reale, resa possibile dai mezzi informatici. Insomma la canonica “mazzetta” è stata rimpiazzata da strategie più sofisticate e più difficilmente contrastabili dalla magistratura e dalle Forze dell’ordine.
Dallo studio di quanti si sono dedicati alla ricostruzione della "storia della corruzione italiana", dallo scandalo della Banca Romana del 1893, fino alla Tangentopoli del 1990 passando per lo scandalo Lockheed del 1978 che coinvolse quattro grandi Paesi e spinse alle dimissioni il presidente della Repubblica Giovanni Leone, emerge un calendario di eventi piuttosto fitto e variegato, che si rapporta ai settori più disparati: dal finanziamento dei partiti alla sanità, dalla gestione dei rifiuti agli appalti, dalle assunzioni pubbliche alle grandi opere infrastrutturali fino alle calamità naturali, come emerso in occasione del devastante sisma che ha colpito nel 2009 la città di L’Aquila.
Benedetto Croce nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915, commentando lo scandalo della Banca romana, che alla fine del secolo coinvolse i maggiori esponenti della vita politica italiana, scrisse: “Affaristi, uomini politici, poco scrupolosi e poco dignitosi, amministratori fraudolenti, impiegati infedeli e venali e piccole e grosse rapine, sono cose di tutti i tempi e di tutti i Paesi; vi sono però periodi nei quali, per effetto di talune circostanze, in determinati Paesi il fenomeno della corruzione si addensa e scoppia in modo grave”, aggiungendo che l’effetto più deleterio si ha quando essa “si addensa e non scoppia” ossia non dà luogo alla “correzione”, in altre parole alla predisposizione dei rimedi per impedire il ripetersi di quei determinati comportamenti illeciti.
A ben vedere il problema non è assolutamente nuovo; è il caso di ricordare che nel 1860, a Napoli, Giuseppe Garibaldi, per far fronte alla delicata situazione incontrata nell’Amministrazione pubblica, principale causa del declino e del disfacimento del Regno delle due Sicilie, intervenne sulla materia delle “reti di potere”, oggi interlocking director-ship, e dei conflitti d’interesse: con un decreto dell’8 settembre di quell’anno, fu disposto che “la cumulazione degli impieghi e degli stipendi fosse interdetta”.
La storia della corruzione italiana può quindi dirsi intensa e senza pause, meno che mai nel ventennio fascista, e con tali prerogative si è trascinata fino ai nostri giorni. La legge 190 in materia può costituire un primo passo, un risveglio di fronte ad una patologia radicata ed alimentata anche dalla criminalità organizzata, ma non può rappresentare una risposta esaustiva al fenomeno; per un cambio di rotta efficace, per l’avvio di una profonda catarsi anche culturale è necessario l’impegno integrato di magistratura, Forze dell’ordine, apparati istituzionali e società civile, che insieme potranno fermare quella “mano invisibile” che sottrae colpevolmente risorse alla collettività in termini di economia, di sicurezza e di qualità della vita.

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