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Luglio - Agosto/2013 - Articoli e Inchieste
Fiction
Da Vigata a Bologna quando la divisa in tv piace più che nella realtà
di Lorenzo Baldarelli

Dalla Rai a Mediaset, passando per i canali satellitari, spopolano le serie
i cui protagonisti sono in uniforme. Un fenomeno destinato a durare?
La risposta, nel nostro viaggio attraverso il piccolo schermo

C’è stato un tempo in cui i telefilm polizieschi e gialli erano così amati da far nascere delle vere e proprie faide. Agli inizi degli anni '70 la fama di Francis Durbridge, scrittore e autore di 'detective', da ormai qualche anno aveva travalicato i confini dell'Inghilterra. Lo scrittore Luca Masali ricorda cosa successe ad esempio in Germania. «La tv tedesca propose sei puntate per sei giorni di seguito di uno sceneggiato tratto da un suo romanzo, così tanta gente rimase chiusa in casa a seguire il telefilm che gli incassi dei cinema subirono un tracollo impressionante, al punto che direttori di sale cinematografiche comprarono pagine sui quotidiani locali per pubblicare il nome dell’assassino, sperando così di tagliare le gambe al pericoloso concorrente». La strategia dei direttori di sale, però, si ritorse contro di loro e i cinema furono presi d’assalto da telespettatori inferociti.
Dieci anni prima, nel 1963, la Rai aveva già iniziato a trasmettere i primi sceneggiati tratti da un romanzo di Durbridge: La sciarpa. La regia era di Guglielmo Morandi e tra gli interpreti troviamo Roldano Lupi. Erano gli anni in cui anche i telegiornali tenevano informati i telespettatori sulle vicende del piccolo schermo, erano gli anni del successo e del prestigio.
Oggi quel successo sembra essere rimasto, il prestigio un po' meno. Nel panorama italiano la fiction legata ai polizieschi è sempre più tacciata e identificata come 'soap', ovviamente con i dovuti distinguo. La lista dei titoli è veramente lunga, «dall'ispettore Rock del Carosello al vice questore Claudia Mares di Squadra antimafia, dall’indimenticato commissario Cattani de La Piovra fino ai falchi della Nuova Squadra, senza dimenticare personaggi cari al pubblico come Montalbano e il Commissario Rex. Sintesi di un amore, quello tra Polizia di Stato e televisione che tra alti e bassi – dalla crisi degli anni ’70 al recente successo popolare – porta sullo schermo storie di piccoli eroi sempre più umani che incarnano un modello apprezzato dagli italiani, trasformatosi negli anni da emulazione del detective americano a creazione di un personaggio tutto tricolore. Atletici, sensibili, arguti, eleganti, goffi e divertenti, con qualche tic e molto cuore, quelli visti in tv sono uomini e donne poliziotto che raccontano storie d’Italia romanzate o ispirate alla cronaca vera, commedie più leggere o indagini complesse e a volte dolorose».
L’analisi di Benedetta Perilli, giornalista de La Repubblica, prevede che ad essere raccontata sia l’eterna lotta tra il bene e il male, dove il poliziotto non è solo un ‘operatore’ eroe ma è anche una persona che si confronta con l’amore, il dolore e con le sue passioni.
Durante l'incontro Polizia nel piccolo e grande schermo, tenutosi a Roma in occasione dei festeggiamenti per i 159 anni della fondazione del Corpo, Maurizio Masciopinto, direttore delle Relazioni esterne del Dipartimento di Pubblica Sicurezza, ha sottolineato come il rapporto con cinema e fiction sia diventato anche uno «strumento di informazione su ciò che fa sul campo la Polizia, e un mezzo per veicolare un messaggio. C’è una voglia di storie belle - ha rimarcato Masciopinto - che vanno raccontate. Non a caso è stato creato un ufficio apposito, Cinetv, diretto dalla dottoressa Annalisa Maiuolo, che cura questi rapporti e produce risultati enormi. Nel rapporto che si è stabilito con produttori, registi e attori, c'è fiducia ma notiamo anche senso di responsabilità. Si lavora in sinergia e questi messaggi positivi hanno una ricaduta anche nella crescita di sensibilità di tanti ragazzi per il Corpo».
Ormai meno di sei anni fa è andato in onda su Rai Tre l’episodio conclusivo de La Squadra, «una serie riconducibile al genere del poliziesco corale prodotta in Italia e ispirata all’anglosassone The Bill. Le vicende de La Squadra - scrive la ricercatrice Marta Valenti - erano incentrate sull’ambiente professionale di un commissariato alla periferia di Napoli, il Sant’Andrea, e sulla struttura delle relazioni funzionali e personali tra i membri del gruppo di poliziotti.
Nonostante la serie fosse arrivata alla sua ottava stagione con una rispettabile e costante media di share di circa il dieci per cento, i suoi contenuti sono stati definiti troppo ideologici e poco condivisi». La Squadra è tra le serie che hanno avuto un rilievo crescente come fenomeno mediatico e sociale, e in quanto tale ha acquisito una concreta rilevanza a livello sociosemiotico. Per molti aspetti le fiction sembrano ricoprire oggi il ruolo delle “fiabe”, sia per la sostanza audiovisiva, sia perché tendono a ibridare i generi lanciando comunque messaggi chiari e facilmente leggibili da tutte le fasce culturali del nostro Paese.
Oltre lo schermo l’immagine delle Forze dell’ordine non è sempre così netta; tra i social network, le scritte sui muri delle nostre città, i cori allo stadio e il semplice atteggiamento di reticenza dei cittadini, l’immagine della Polizia non ne esce granché bene.
«Seguendo - scrive Enrico Marro sul Corriere della Sera - l’input che l’Osce ha dato a tutti i Paesi avanzati di individuare un set di indicatori che aiutino i governi e le Istituzioni internazionali a valutare il benessere complessivo e misurare l’impatto che su di esso hanno le leggi», l’Istat e il Cnel hanno redatto il primo rapporto sul ‘Benessere equo e sostenibile’ (Bes).
Nel testo, di 272 pagine, si individuano 12 ambiti che danno forma al Bes: salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e Istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; ricerca e innovazione e qualità dei servizi.
Il rapporto parla chiaro: «Sfiducia nei partiti, nel Parlamento, nei Consigli regionali, provinciali e comunali, nel sistema giudiziario. Una sfiducia trasversale che attraversa tutti i segmenti della popolazione, tutte le zone del Paese, le diverse classi sociali». In una scala che va da 1 a 10, la Polizia raggiunge a malapena la sufficienza mentre i Vigili del Fuoco hanno 8,1.
Ma oltre i dati, le statistiche e i sondaggi ci sono i commenti ai fatti realmente accaduti. Non si può negare che dal G8 di Genova 2001 l’immagine della Polizia non ne sia uscita molto bene, senza contare poi l'omicidio di Federico Aldrovandi e la recente manifestazione del sindacato Coisp sotto l’ufficio della madre. Ma i casi sono molti, forse troppi; sono così tanti che è pure complicato stilare una lista, sono così tanti da far scaturire a Patrizio Gonnella, su Micro Mega, una domanda: poliziotti o giustizieri?
«La Polizia - puntualizza Gonnella - deve prevenire l’esito violento delle manifestazioni di piazza. Non deve punire per strada nessuno. Quello del poliziotto è un mestiere importante. Non deve trasformarsi in giustiziere. L’eventuale sanzione, che non può mai essere fisica, non spetta certo a chi fa ordine pubblico. Le sanzioni in uno Stato di diritto le comminano i giudici dopo regolari processi.
Solo il linguaggio della non violenza può rompere il circolo vizioso e belligeno della violenza. Solo Istituzioni pubbliche che si comportano in modo fraterno tolgono terreno alla violenza. Quando invece chi ha compiti di ufficiale dello Stato agisce con violenza costui mette in moto un meccanismo di moltiplicazione della violenza difficilmente bloccabile».
Insomma la Polizia dovrebbe prendere spunto dalla fiction. Ma cosa ne pensano gli operatori della sicurezza dei telefilm che li descrivono e li raccontano? Per farsi un’idea basta leggere i commenti nei forum frequentati da poliziotti e carabinieri.
Postman78 ad esempio chiede ai colleghi: «Secondo voi qual è la migliore rappresentazione della Polizia e affini che la televisione ha rappresentato negli ultimi anni e perché? Maresciallo Rocca, Distretto di Polizia, La squadra, Carabinieri ma anche più celebri Piovra e Palermo Milano sola andata sono alcuni esempi di “grandi” fiction su di noi... voi ne ricordate altre? E sopratutto perché ne ricordate una in particolare?».
Bluewall risponde in modo impietoso: «Palermo-Milano sola andata è una c****a pazzesca. Sulle altre stenderei un velo pietoso. Un po’ meno pietoso solo su La Squadra. Ma proprio poco, eh! Senza dimenticare Ris, delitti imperfetti (nel senso che non ne azzeccano quasi una)».
Il telefilm ispirato ai romanzi di Camilleri, invece, è molto apprezzato. «La serie del Commissario Montalbano - scrive Webcop - mi è piaciuta moltissimo, Zingaretti è un grande e ha reso bene il personaggio. Bellissima anche l'ambientazione della fiction, aveva un certo fascino tutto “mediterraneo”».
Oltre ai commenti sulla rete, spesso le fiction scatenano anche polemiche “ufficiali”. È il caso della serie Un caso di coscienza, nella puntata in cui si fa riferimento all’omicidio Cucchi e più in generale agli omicidi in carcere. L’attore Sebastiano Somma, che veste i panni dell’avvocato Rocco Tasca, ha detto al Corriere della Sera che «i riferimenti forti ci sono perché c’è la morte di un ragazzo in carcere che sembra sia stato ucciso a bastonate. È un’ispirazione, ma non un “parente” di primissimo grado per cui non si possono dare riferimenti né tirare conclusioni ben precise».
Sta di fatto che tra Rai e sindacato di Polizia Penitenziaria scattò la polemica. Donato Capece, Segretario generale del Sappe, scrisse una nota di fuoco: «Dalle indiscrezioni lette sui quotidiani si punta a fare demagogia su un tema tanto delicato quanto la vita in carcere, forzando volutamente la realtà». Un’altra nota, dell’ottobre del 2012, chiarì come il sindacato giudicasse alcuni lavori televisivi. «Ogni giorno registriamo nuove fiction dove tra una scena e l’altra si riportano comportamenti anomali del personale e, sempre più spesso, i baschi azzurri sembrano protagonisti di abusi messi in atto in danno dei detenuti».
La Segreteria nazionale pose l’accento anche su alcune scene specifiche. «In un episodio di una precedente fiction, ove per l’ennesima volta viene raccontata un’evasione di una detenuta che era sorvegliata a vista (udite, udite) da due unità maschili! Ovviamente nessuno ha rilevato l’inesatta rappresentazione, protestando anche solo citando l’art. 42 bis O.P. e l’art 86 Dpr 230/00. Anche in questo caso ci sono scappati i morti in divisa, tanto da chiedersi ma perché dobbiamo sempre morire nelle fiction, siamo forse agnelli sacrificali dello share di gradimento?».
A volte, però la finzione aiuta la realtà: è il caso del Commissario Montalbano che con una serata di solidarietà ha voluto supportare la figlia di Giuseppe Giangrande, il brigadiere colpito da un colpo di pistola al collo davanti a Palazzo Chigi. Il cinque maggio scorso, infatti, è stata trasmessa all’Auditorium Parco della Musica di Roma l’anteprima dell’ultima puntata della serie, Una lama di luce (in onda su Rai Uno). Il biglietto di 7 euro - che la Rai ha raddoppiato - è stato interamente devoluto alla famiglia del carabiniere Giangrande; un modo ideale e concreto per stringersi alla figlia Martina, al suo fianco in ospedale.
«L'iniziativa - racconta il produttore Carlo Degli Esposti, produttore della serie - è nata da un’idea dal direttore generale della Rai Luigi Gubitosi che in un incontro con Zingaretti e col direttore di RaiFiction Tinni Andreatta, dopo il successo della terza puntata, ha proposto di organizzare una serata di solidarietà per Giangrande e la figlia Martina. Naturalmente hanno aderito tutti».

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