Ci sono almeno tre immagini, di questa estate, che finiremo col conservare. Nostro malgrado. Una perché getta nello sconforto, provoca sdegno; l’altra, perché, al solito, ci ha resi zimbello dell’Unione Europea e una terza che lascia interdetti. Mentre in tanti, e giustamente, si godevano le ferie ove possibile: chi al mare, chi al lago, chi in montagna, chi nel cortile di casa propria, i telegiornali continuavano a intrattenerci con notizie in bilico tra il serio e il faceto, col tema, onnipresente, del futuro di un governo destinato a cadere già dall’istante stesso in cui si è insediato. Comunque, fuori dal bailamme politico e dalle cronache agostane, molto accade, e da lì gli ‘scatti’. Tutti riconducibili all’estero, all’estraneo, all’altro da noi. Istantanee su momenti che, invece, ci riguardano. Eccome.
La prima, l’unica vista davvero, arriva da Ghouta, una regione della Siria, dove centinaia di persone, tra cui donne e bambini, sarebbero state uccise con gas nervino, in una delle cosiddette roccaforti ribelli. La responsabilità, pare, sia delle forze del presidente Bashar al-Assad che immediatamente, però, si è premurato di smentire ogni possibile attribuzione. Poco conta. La missione di esperti dell’Onu di stanza a Damasco avrà il compito di appurare se davvero siano state usate armi chimiche nel conflitto tra lealisti e ribelli. Quel che è certo è che i morti ci sono. Erano lì, sotto i nostri occhi, ritratti per sempre nella loro immobile fissità. Di bambini. A decine, a terra, accostati a un muro, in quella posizione supina, tipica dei piccoli quando dormono, solo con le mani ricomposte sul petto. Chissà in quanti l’avranno memorizzata, chissà a quanti, anche solo per un istante, avrà tolto la parola. In un Paese che sta vivendo una guerra tra le più cruente degli ultimi anni, forse, accade ogni giorno. Qui, dove, fortunatamente, l’ultimo conflitto risale al 1945, non può che toccare. Di sicuro succede anche lì: la guerra annichilisce ma non al punto di ignorare che nel tritacarne di un attacco ci finiscono dei bambini. E allora, che fare?
Prima di parteggiare per assalti aerei e forme muscolari di intervento, è forse opportuno guardare al nostro orticello. No, non per farci gli affari nostri, ma per considerare che il flusso di esuli in fuga da guerre ci riguarda: è affar nostro. Ed ecco il secondo scatto. Un ministro della Repubblica, la festa del Pd a Cervia, le dichiarazione su una revisione della legge Bossi-Fini e il lancio di banane. Sì, banane. Perché, nella logica distorta del suo ‘detrattore’, il Ministro in questione, oltre ad avere l’ardire di occuparsi di migranti, è pure nera. Negra, come dice chi l’ha presa di mira per un’estate intera. Il primo rappresentante di colore del governo italiano: un medico, oculista, nato nella Repubblica Democratica del Congo, laureata alla Cattolica di Roma e specializzata a Modena, dove ha lavorato e vissuto con la sua famiglia – marito e due figlie – prima d’entrare a far parte dell’esecutivo. Beh, che c’è di strano? Gli studi, la professione, l’attività politica e quindi l’ingresso in Parlamento. C’è di strano che Cécile Kyenge, il Ministro in questione, è donna, appunto, e nera. E finché il colore connota una Miss, poco conta – la bellezza è vezzo, roba da donne – ma quando si parla di politica no: lì il campo è per lo più ad appannaggio maschile e se poi ti lanci in prolusioni su cittadinanza e dignità per le persone che sbarcano su carrette del mare, finisci alla berlina. E nessuno che ti tiri giù, trasformando così l’occasione – quella di un Ministro che s’intende di migrazioni e diritti umani – in un misero parafulmine. Un catalizzatore di frustrazioni. E’ successo quindi che, nei soli tre mesi estivi, abbia totalizzato più insulti e minacce lei che chiunque altro. Il più triste, forse perché viene da una donna, quello affidato a un post da Dolores Valandro, consigliera leghista padovana che su Facebook, ha scritto: “Ma mai nessuno che la stupri, così tanto per capire cosa può provare la vittima di questo efferato reato?”. Consigliera poi espulsa dal partito e condannata a 13 mesi per direttissima. Sorte diversa per il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, arrivato a dire: “La Kyenge? Sembra un orango”. Il che, oltre al risentimento bipartisan e alla riprovazione unanime, ha provocato ben poco. Calderoli è ancora là. Al suo posto. E non è tutto, perché sul finire d’agosto, l’ennesima offesa; stavolta, targata Pdl, con un consigliere di Diano Marina, Cristiano Za Garibaldi - (Garibaldi!) – che scrive, ancora su Fb: “Se becco la Kyenge… il fatto è che non frequento di notte il rettilineo di Ceriale”, dandole, quindi, della prostituta.
Ma al campionario delle immagini agostane non poteva mancare una terza. Questa sì, tragicomica, che vede decine di italiani sul piede di guerra, pronti a una class action contro la Farnesina per aver diramato in ritardo l’allerta sui viaggi in Egitto. Non è curioso? Là è in corso da tempo una guerra, vera, e qualcuno si sogna di chiedere rimborsi perché il nostro ministero degli Affari Esteri non ha segnalato in tempo gli eventuali rischi per turisti. Anche in villaggi e resort. Eppure, ci sarebbe voluto giusto un po’ di buonsenso per capire, senza avvertimenti, quale rischio si corresse. Sarebbe bastato accendere il televisore per ascoltare decine di inviati raccontare l’aria che tira da quelle parti. E invece no. Giù azioni collettive. Confidiamo nell’arrivo dell’autunno, anche se si prospetta tutto fuorché placido. Per lo scenario siriano, per il ministro Kyenge il cui ministero i leghisti vogliono cancellato con un referendum, e per i turisti che si lagnano. Avranno tutto l’inverno per pensare a una nuova meta, optando magari per il lago di Bracciano. Là, senza dubbio, di conflitti nemmeno l’ombra.
|