Per combattere questo fenomeno occorre responsabilizzare i membri
del gruppo e lavorare sulle diversità. Servono legami stabili e relazioni
di solidarietà autentiche. Tutti devono mettersi in gioco, c’è ancora
tanto da fare: la repressione non basta. Bisogna puntare
sui “buoni difensori”, capaci di empatia, dotati di autostima.
Quei ragazzi che non si omologano e inducono i compagni a riflettere
Da vent’annisdi occupa di bullismo, Elena Buccoliero, sociologa e giudice onorario al Tribunale per i Minorenni di Bologna. Da vent’anni va nelle classi, parla con ragazzi, insegnanti ed educatori, per arginare questo virus che silenziosamente colpisce ogni anno centinaia di giovani, vittime di compagni di studi o di giochi che rendono la loro vita un inferno. Vigliaccamente. Prepotentemente. Della vita rubano gli anni migliori, quelli della spensieratezza e della fiducia nel futuro. I colpi inferti provocano ferite che non si rimarginano, restano dentro, sanguinanti.
I bulli colpiscono di solito durante l’adolescenza, mentre prende forma l’identità della persona, risucchiata in un vortice di solitudine, emarginazione, sensi di colpa, impotenza. Agiscono spesso nel disinteresse di docenti ed animatori, che sottovalutano, quando addirittura non sminuiscono, il fenomeno. “Non abbiamo strumenti, e poi sono solo scherzi” si giustificano. No, non sono “solo” scherzi. E come la goccia che scava la pietra, costantemente, senza sosta, gli insulti, le risatine, le aggressioni lasciano il solco in personalità fragili e indifese. La vittima è il “diverso” di turno, quello che rifiuta l’omologazione, che mette i pantaloni rosa, che studia troppo, che è scuro di pelle, che ha qualche chilo di troppo, che si distingue per gentilezza. Professori, operatori sociali, magistratura minorile e Forze dell’ordine devono fare fronte comune e imparare ad ascoltare le grida d’aiuto spesso soffocate dall’indifferenza. Polizia e Democrazia ha incontrato la dottoressa Buccoliero.
Scherzi tra adolescenti, aggressioni, bullismo: quali le differenze? Il confine tra scherzo “innocente” e atto di bullismo è ben definito?
Tra scherzo e aggressione la differenza dovrebbe essere abbastanza comprensibile dalla generalità delle persone, o perlomeno dagli adulti. Nonostante a volte lo scherzo possa essere pesante, nella maggior parte dei casi è invece qualcosa di divertente, di non lesivo della dignità della persona. Per capire la differenza tra aggressione e bullismo, dobbiamo prima cercare di definire i due fenomeni.
È bullismo una relazione di prevaricazione che si ripete nel tempo dove le parti sono definite: c’è un soggetto debole e uno più forte (che a volte può essere un gruppo), e le relazioni di prevaricazione sono molteplici e intenzionali. Quando si parla di bullismo non si parla di singola azione, evento o fatto, ma di relazione. E non è detto che vi sia una aggressione percepibile in quanto può sostanziarsi ad esempio in una esclusione sistematica di una persona da un gruppo (bullismo psicologico).
La “presa in giro” è qualificabile come bullismo?
Non sempre. Le prese in giro – e dunque insulti, nomignoli, ecc. – sono bullismo quando sono continuative nel tempo, unidirezionali, intenzionali e lesive sempre della stessa persona. Non lo sono, invece, quando esprimono affetto, reciproco riconoscimento, o sdrammatizzano una situazione. Ma allora vuol dire che si divertono tutti – anche chi le riceve! – e che questi può a sua volta ricambiarle.
Tornando alle aggressioni?
Sono la forma di bullismo più riconoscibile. Non solo aggressioni fisiche a una persona, ma danneggiamenti, furti, sempre ripetuti nel tempo e a danno dello stesso soggetto. Una nuova forma di bullismo, che talvolta si avvicina allo stalking, è infine quello “elettronico”, che usa i mezzi di comunicazione (Internet, cellulari) per ferire l’altro.
Quali fattori e contesti agevolano il verificarsi di episodi di bullismo?
È più probabile che il bullismo si verifichi in gruppi, composti da persone che non si sono scelte e non possono facilmente decidere se frequentarsi o no, ad esempio una classe scolastica o un pullman di studenti che ogni giorno viaggiano assieme per raggiungere la scuola. Inoltre, la probabilità aumenta in gruppi non ancora “collaudati” (le prime classi) e in quei contesti in cui nessuno si cura di costruire relazioni improntate alla collaborazione, alla conoscenza reciproca, alla capacità di gestire i conflitti e all’attenzione verso le emozioni dell’altro.
Dove c’è chiusura verso le diversità, qui attecchisce maggiormente. Soprattutto in adolescenza molto spesso le vittime di bullismo sono persone percepite come diverse per qualche motivo (troppo o troppo poco studiosi, stranieri, omosessuali, poco alla moda...), escluse anziché accettate come parte del gruppo.
Vi sono anche fattori personali?
Certamente. Sappiamo che tra i ragazzi che fanno bullismo è abbastanza probabile ritrovare coloro che hanno subito una esperienza violenta nel contesto familiare o, all’opposto, un eccessivo lassismo, quindi una situazione di “non cura” da parte dei genitori. Oppure ritroviamo quelli che vogliono stare al centro dell’attenzione del gruppo. O, infine, è probabile siano ragazzi o ragazze che in passato, magari in un’altra scuola, sono state vittime a loro volta delle prevaricazioni di altri. Non aiutati a superare la situazione, si sono impadroniti di quelle logiche e le hanno assunte come modalità di rapportarsi con gli altri, ma stavolta decidendo di stare dalla parte del più forte. È un meccanismo di ribaltamento dell’uso della violenza che conosciamo benissimo: noi non siamo fatti per la violenza, e quando ci colpisce senza trovare alcun aiuto per elaborarla, in qualche modo ce ne dobbiamo liberare. A volte, questo sgravarsi da una sofferenza patita avviene illusoriamente rivolgendo la violenza verso altre persone.
Il bullismo è legato a una classe sociale in particolare?
Dalle ricerche condotte possiamo tranquillamente affermare che il bullismo non è favorito dall’appartenenza a questa o a quella classe sociale: magari cambiano le forme (bullismo psicologico, fisico, ecc.), ma il bullismo si può verificare ovunque.
Esistono comportamenti “a rischio” o segnali “rivelatori” che debbono destare allarme?
Dove c’è un bullismo sotto forma di aggressioni fisiche, furti o danneggiamenti è molto probabile che vi sia anche un bullismo apparentemente più leggero, di esclusione, prese in giro, insulti. Gli educatori e gli insegnanti dovrebbero fare molta attenzione a percepire queste ultime forme di prepotenza. Ad esempio se un ragazzo a scuola passa l'intervallo da solo tutti i giorni per mesi, o se nessuno vuole sedersi in banco con lui, o ancora viene costantemente escluso dalla squadra o dai lavori di gruppo, tutto ciò è facilmente “visibile” dagli insegnanti. Serve una maggiore consapevolezza delle dinamiche di gruppo da parte dei docenti, ed è assolutamente necessario che non sottovalutino tali fenomeni, imparando ad osservare e soprattutto ad ascoltare.
Una esclusione o una derisione protratta nel tempo fa molto soffrire un ragazzo o una ragazza e accanto a ciò sappiamo che potrebbe esserci altro, di più nascosto ma ugualmente lesivo della persona.
I “ruoli”: i bulli, le vittime e gli “altri”.
Tra i bulli occorre distinguere il leader, i gregari, che lo aiutano ed affiancano, e i loro sostenitori, che sono corresponsabili delle prepotenze, più o meno attivamente, ridacchiando, incitando, divertendosi. Spesso assistono inconsapevolmente, oppure semplicemente per paura, ma bisogna ricordare che tali atteggiamenti rafforzano le violenze dei bulli. Uno degli interventi attuabili è rendere più coscienti gli “spettatori”.
Tra gli altri soggetti, oltre agli indifferenti, troviamo a volte i difensori del più debole, della vittima. E qui bisogna puntare. Sappiamo che i “buoni difensori” sono persone capaci di empatia, dotate di una buona autostima (e dunque pensano di poter avere la forza per intervenire), autoefficacia (perciò sentono che il loro intervento nel gruppo avrà un peso) e con una posizione, uno status, effettivamente considerato dagli altri. Sono quei ragazzi che non si omologano nel chiacchiericcio o nella risata e con il loro dissenso inducono anche i compagni a riflettere, a prendere parte.
Poi ci sono le vittime, incapaci di difendersi: perché?
Per moltissime ragioni. Ad esempio per inferiorità nella forza fisica, per timidezza, per solitudine. Alcune sono colpite per una loro caratteristica su cui è impossibile intervenire (colore della pelle) e che viene fatta vivere come una colpa. Le vittime solitamente hanno una bassissima autostima, sono persone molto chiuse, molto sole e si vergognano di quello che subiscono. Molti lo fanno in silenzio per anni, prima di confidarsi con qualcuno.
A volte l’incapacità di difendersi è originata dalla convinzione che, in fondo, ci si sta meritando quello che sta succedendo perché se si fosse veramente in gamba si riuscirebbe a tener testa al prepotente. Se non ci si riesce significa che si è persone di poco valore, quindi gli altri fanno bene a comportarsi in quel modo. Il senso di vergogna e di colpa scaturisce proprio dal trovarsi in una posizione debole, che è tale sia per le prevaricazioni subite sia per la – frequentissima – solitudine all’interno del gruppo.
Chi riceve prepotenze può reagire, e può farlo in modo non necessariamente violento, nella misura in cui non si sente rifiutato dalla comunità scolastica. Per questo ancora una volta è utile ribadire che è importante favorire relazioni di solidarietà forti, legami autentici tra gli appartenenti di un gruppo per combattere il bullismo.
Quali sono le conseguenze psicologiche per la vittima di atti di bullismo?
Le conseguenze psicologiche sono un intreccio imprevedibile e non sondabile a priori tra quello che succede (e cioè non solo ciò che si subisce ma anche il tipo di solidarietà che si trova nel gruppo), la durata della vittimizzazione, il modo in cui viene percepita e il tipo di caratteristiche e di personalità del soggetto.
Tra le conseguenze vi può essere la depressione, la chiusura relazionale, l’abbandono scolastico, fino ad arrivare a gesti estremi come il suicidio. Purtroppo ogni anno si verificano fatti gravissimi di giovani che si tolgono la vita in quanto vittime di bullismo: tutti ricordiamo, qualche mese fa, quel ragazzo preso di mira per il suo orientamento sessuale, identificato nel rosa dei suoi pantaloni. Infine, una conseguenza psicologica, e non solo, piuttosto rilevante, è anche quella che si diceva, di diventare a propria volta persone violente.
Il bullismo omofobico è una forma particolarmente odiosa di violenza a cui lei ha dedicato un lavoro.
Il bullismo omofobico è purtroppo più diffuso di quanto non si pensi e non riguarda soltanto le persone omosessuali, ma tutti coloro che non corrispondono ai modelli di genere più diffusi, e riconosciuti come standard in quel contesto. Conosco ragazzi gentili e non amanti del calcio che per questi semplici motivi sono stati tormentati dai compagni come omosessuali. L’insulto omofobico attacca la persona nel profondo, tanto più se accade in una fase, l’adolescenza, in cui si costruisce l’identità, che è un’identità sessuata, e nella mia esperienza questo tipo di bullismo porta più vicini a gesti estremi come il suicidio.
Intervenire è un fatto di civiltà. Riguarda tutti. Associazioni come Arcigay stanno realizzando progetti e materiali estremamente interessanti, che sono poi a disposizione di tutti, ma io credo dovremmo accorgerci che l’omofobia deve essere contrastata apertamente e con coraggio da tutti gli educatori indipendentemente dal loro orientamento sessuale.
Il bullo (non aiutato) che adulto sarà?
Studi statunitensi riportano alta la probabilità che il bullo diventi un deviante e abbia problemi con la giustizia. Io aggiungo che non necessariamente sarà un criminale nel senso comune del termine. Magari diventerà un feroce arrampicatore sociale. Se il bullismo, come abbiamo detto prima, è un modo di concepire le relazioni con gli altri basato sulla prevaricazione del debole e sul rifiuto del diverso, il bullo può diventare anche una persona importante nel suo campo, uno che cercherà di farsi strada calpestando gli altri, incurante delle emozioni e del benessere altrui.
Parliamo ora dei possibili rimedi: solo repressione?
A volte una risposta sanzionatoria è utile, soprattutto per far comprendere che ci sono dei limiti. Ma non basta, proprio per la complessità del fenomeno, che richiede risposte altrettanto complesse e coinvolgenti tutti gli attori coinvolti. Quando abbiamo la responsabilità della conduzione di un gruppo dobbiamo pensare prima di tutto ad un approccio preventivo che significa attivarsi per contribuire a costruire sane dinamiche di gruppo. Ascoltare, mettere in relazione i ragazzi tra di loro, aiutarli a conoscersi, a capirsi, ad affrontare assieme i problemi. In altre parole, responsabilizzare il gruppo su quello che accade. Assolutamente necessario, inoltre, lavorare sulle diversità e sul confronto col diverso. Da non trascurare, infine, l’educazione alla legalità e alla responsabilità per rendere consapevoli i giovani delle possibili conseguenze, anche penali, delle loro azioni. È un tipo di consapevolezza che io trovo estremamente carente.
Esiste nel nostro ordinamento il reato di bullismo o sono altre le fattispecie applicabili?
Il reato di bullismo non esiste. Ricordo che il bullismo è una relazione e non un fatto, dunque non può essere denunciato in quanto tale. Vero è, però, che un rapporto di prepotenza è fatto di molti eventi, la maggior parte dei quali possono integrare reati. Mi riferisco ad esempio all’ingiuria, alla minaccia, all’estorsione, alla violenza privata, alla molestia, alla lesione, al danneggiamento, al furto. Alcuni sono perseguibili d’ufficio e troppo spesso non solo i ragazzi, ma anche gli stessi insegnanti, non ne sono consapevoli: a 14 anni i ragazzi sono imputabili e dunque possono essere chiamati a rispondere di ciò che fanno, con tutte le conseguenze del caso.
Scuole e docenti dispongono, allo stato attuale, di adeguate competenze e strumenti di intervento efficaci per prevenire gli episodi di bullismo?
È troppo diffuso tra i docenti l’alibi del “non sappiamo come fare”. Ma le ricerche e i materiali sono ormai moltissimi e facilmente reperibili. Purtroppo la formazione degli insegnanti non è rivolta al lavoro sulle dinamiche di gruppo, ma principalmente a trasmettere le nozioni delle loro materie, e non si completa leggendo un buon manuale. Tutti devono mettersi in gioco nella formazione personale su questi temi. C’è ancora molto da fare.
Nel difficile percorso di studio, repressione e prevenzione del bullismo, qual è il ruolo delle Forze di polizia e della giustizia minorile?
Operatori di Polizia e giudici possono coinvolgersi, come già in molti casi fanno, in iniziative formative su legalità e responsabilità, per integrare percorsi che abbiano anche aspetti educativi. Questo fa conoscere non solo il rischio di conseguenze penali ma anche la possibilità, per le vittime, di chiedere aiuto. Le Forze dell’ordine e la giustizia minorile infatti non si occupano solo di repressione ma possono – e devono – anche offrire una tutela.
Ci sono poi i percorsi che si attuano nella giustizia minorile con i ragazzi querelati e qualche volta, con la messa alla prova e magari la mediazione penale, si riesce a provocare quel percorso di responsabilizzazione e comprensione profonda del danno causato che più di tutto, a mio parere, vale a trasformare la violenza del prepotente.
Concretamente un ragazzo vittima di atti di bullismo come deve procedere? A chi deve rivolgersi?
La prima cosa che può fare è parlare. Non è un compito qualsiasi, ci confidiamo se sentiamo di poter essere ascoltati, ma è possibile, augurabile, che intorno a quel ragazzo ci sia almeno un compagno, e almeno un adulto (genitore, insegnante…) con cui può aprirsi. Si comincia da lì. Le reazioni efficaci poi possono essere molte e non necessariamente violente. È spiazzante un ragazzo che, ancora insultato, reagisce diversamente, si sottrae allo schema della chiusura, sottomissione, vergogna.
Quando poi ci sono comportamenti che costituiscono reati, va presa in esame la possibilità di denunciare e anche questo un adolescente non dovrebbe farlo da solo. O, per cominciare, ci si può rivolgere per esempio all’Ufficio Minori della questura della propria città per spiegare quel che sta succedendo e chiedere informazioni su ciò cui si va incontro sporgendo formale querela.
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Chi è
Elena Buccoliero, sociologa e counsellor, è giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Bologna. Si occupa di bullismo da quasi vent’anni svolgendo attività di formazione per insegnanti e genitori, produzione di materiale didattico, ricerca sociale, interventi in classe.
Fa parte dello staff del portale www.bullismo.info.
Su questo argomento, oltre a numerosi articoli su rivista, ha pubblicato diversi testi, tra cui: Bullismo Bullismi. Le prepotenze in adolescenza dall’analisi dei casi agli strumenti d’intervento (con Marco Maggi, 2005, FrancoAngeli), Tutto normale. Bulli, vittime, spettatori (2006, La Meridiana) e Il bullismo omofobico. Manuale teorico-pratico per insegnanti e operatori (con Gabriele Prati, Luca Pietrantoni e Marco Maggi, 2010, FrancoAngeli).
Email: elena.buccoliero@fastwebnet.it
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