Negli Stati Uniti un italiano di successo è
rinchiuso tra efferati criminali. Chico Forti
condannato all’ergastolo per una “sensazione”.
Era un campione di surf, tredici anni fa
la sentenza di concorso in omicidio senza
condizionale, ma soprattutto senza un movente.
Per la Corte è un assassino. Ma c’è chi
combatte con lui per far luce sulla verità. Lo zio
ricostruisce la vicenda, per la criminologa
Roberta Bruzzone: «È innocente»
Il giudice entra in aula per leggere la sentenza. L’imputato osserva la Corte. E’ accusato di omicidio. Il giudice respira e inizia a scandire le parole. L’imputato ascolta intimorito. «La Corte non ha le prove che lei abbia premuto materialmente il grilletto, - dice il giudice - ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale».
Il giudice è Victoria Platzer. Il condannato è Enrico Forti, detto Chico. La vittima è Dale Pike.
A Miami sono le quattro del pomeriggio, è il 15 giugno del 2000. Un uomo è stato condannato all’ergastolo a causa di una sensazione.
«Il giorno prima, – racconta Gianni, zio di Chico Forti che da Trento, la loro città natale, assieme alla moglie e agli amici segue la vicenda, – gli avvocati ci avevano detto di stappare lo champagne perché non c’erano prove contro di lui e nessuna giuria al mondo avrebbe potuto emettere una sentenza di condanna. Domani, ci assicuravano i legali, Chico torna a casa. Rassicurato da quelle parole, dato che il mio volo era prenotato per il giovedì, tornai a Trento. Il giorno dopo, il venerdì, ci fu la sentenza e appresi dell’ergastolo al telefono. Non parlando inglese seguivo il processo grazie alle traduzioni dell’allora moglie di Chico e del console Pasquale Centracchio…»
Facciamo un passo indietro.
Mattina del 15 luglio 1997. Lo stilista Gianni Versace sale gli scalini della sua villa di Ocean Drive a Miami Beach. Infila le chiavi nella serratura della porta, sente qualcuno che lo chiama, si gira e viene centrato da due colpi di pistola in testa. Muore. L’assassino scappa, arriva la Polizia ed è caccia all’uomo. Per gli investigatori il killer è Andrew Cunanan, 28 anni, un criminale tossicodipendente gay che aveva ucciso alcuni suoi amanti. Dopo dieci giorni viene individuato e trovato morto su una casa galleggiante a due isolati dal luogo dell’omicidio. Si è sparato con la stessa arma usata nell’esecuzione di Versace. C’è però qualcosa che non quadra. Per zio Gianni infatti «secondo la versione della Procura, Cunanan al momento del blitz si era sparato ma ci sarebbero prove evidenti che fosse morto almeno ventiquattro ore prima. Quella messinscena era stata creata ad arte per chiudere le indagini sull’omicidio di Versace: trovato il colpevole, il caso si sarebbe chiuso».
Torniamo all’ergastolano Enrico Forti detto Chico. Entra nel penitenziario Dade Correctional Institution di Florida City. In quel momento si rende conto della realtà: non potrà più giocare con Savannah, Jenna e Francesco, i figli che nel 2000 avevano 6, 4 e 2 anni. Non potrà più addormentarsi vicino alla moglie Heather e volare sulla superficie del mare con il surf. Ha 41 anni.
«Chico era uno sportivo, un campione di windsurf» - ricorda zio Gianni. Negli anni Ottanta aveva raggiunto livelli altissimi e gli sponsor lo avevano notato. Nel 1985 vinse la coppa America di slalom e due anni dopo il Gran Prix australiano di velocità. Finita l’attività agonistica si era trasferito negli Stati Uniti dove promuoveva grandi eventi a tutti i livelli, dallo sport alla moda. Inoltre girava il mondo per un’importante emittente televisiva per la quale aveva realizzato oltre cento puntate di una rubrica sugli sport estremi che aveva avuto molto successo e che a Chico aveva fruttato molti soldi».
Ma cosa lo legava all’omicidio di Gianni Versace? Due storie diverse e separate tra loro che però arrivarono ad intrecciarsi drammaticamente. I suoi guai infatti iniziano proprio con l’omicidio dello stilista, quando Chico Forti realizza un documentario per la Rai dal titolo ‘Il sorriso della medusa’. Si tratta di una vera e propria inchiesta che mette in dubbio la versione ufficiale della Polizia di Miami. Per girare il film Chico acquista i diritti della house boat da un tedesco, Matthias Ruehl, tramite un altro tedesco, Thomas Knott in quel periodo ospite di un altro connazionale, Siegfried Axtmann.
«Chico non conosceva il passato di Knott, un noto malavitoso con decine di condanne; - chiarisce zio Gianni - durante un periodo di libertà vigilata in Germania era scappato negli Stati Uniti con documenti falsi. E il destino lo fece piombare proprio sotto l’appartamento della famiglia di Chico dove Knott era ospite di un suo connazionale, titolare di una compagnia aerea di Norimberga. Axtmann conosceva il proprietario della casa galleggiante dove era stato trovato il corpo di Cunanan. E questo è l’anello di congiunzione tra la vicenda di Chico e la vicenda Versace». Non solo. In questa fase Chico riesce anche ad ottenere alcuni documenti riservati sul caso Cunanan; un detective, Gary Schiaffo, decide infatti di aiutarlo dietro una ricompensa.
«Questa è la parte più strana di tutta la faccenda – si acciglia zio Gianni -. Quando Chico va alla house boat per il dissequestro, incontra questo poliziotto, Gary Schiaffo che gli dice di essere in possesso di documenti e foto che provano che Cunanan non c’entra nulla con l’omicidio dello stilista ma è stato usato come capro espiatorio per chiudere la vicenda. Gary Schiaffo, che poi sarà arrestato, ed è tuttora in galera per corruzione e abuso di ufficio, aveva proposto a Chico, per soldi, di consegnargli il materiale che dimostrava come Cunanan non si fosse suicidato, ma fosse stato portato sull’house boat quando era già cadavere…».
Roberta Bruzzone, criminologa, volto noto della televisione italiana, indaga sul caso per conto della famiglia Forti: «L'ipotesi del finto suicidio di Cunanan è avvalorata anche dal fatto che sulla scena del crimine ci sono pochissime tracce di sangue mentre la Taurus calibro .40 gli avrebbe dovuto distruggere il cranio facendo schizzare materia cerebrale in tutta la stanza. Ma la testa di Cunanan era integra.»
Dunque Chico sta entrando in un circuito pericoloso a lui sconosciuto: mette in dubbio l’operato della Polizia di Miami. Rai Tre e la tv francesce trasmettono l’inchiesta. La vita prosegue e mesi dopo deve trattare un affare con un anziano australiano che vive a Ibiza in Spagna, tal Anthony Pike.
«Pike viene presentato a Chico da Thomas Knott – spiega la Bruzzone - e iniziano a parlare della vendita dell’albergo di Ibiza». Dietro a questa trattativa però si nascondono delle insidie. «Da tempo, Knott e Pike – prosegue la criminologa - avevano creato una sorta di associazione a delinquere per commettere truffe ai gestori di carte di credito. I due si conoscevano dagli anni Ottanta, i tempi d’oro del Pike’s hotel, quando ospitava il jet set di tutto il mondo. La proprietà dell’albergo era di Anthony. Ricostruire la situazione finanziaria relativa all’effettiva proprietà del Pike’s hotel non è affatto facile. Nel 1997 la struttura societaria dell’albergo venne modificata a causa delle precarie condizioni di salute di Pike, che anni prima aveva contratto l’Aids».
Anthony Pike aveva una società, la Laurabada, che deteneva il 95% del Pike’s hotel fino a quando le sue condizioni di salute peggiorarono e fu ricoverato in Australia, «a causa della demenza riconducibile alla sindrome da immunodeficienza acquisita meglio nota come Aids», precisa la criminologa. A quel punto la Laurabada passò sotto il controllo della Laffan Trust. Quindi il 95% dell’albergo era di quest’ultima società.
Da tale scenario – fa notare la Bruzzone – si capisce chiaramente che Anthony Pike non poteva trattare nulla in quanto non aveva il controllo sull’albergo. E anche il figlio Dale, che aveva ricevuto la procura dal padre, non poteva di conseguenza portare avanti alcuna trattativa«. Per zio Gianni «l’australiano e Knott erano d’accordo per compiere il raggiro contro Chico. Si scoprirà infatti che l’affare dell’hotel era una bufala, una delle tante truffe portate avanti dalla coppia Knott-Pike».
Intanto Anthony Pike reagisce bene alle cure e si riprende completamente, ma non viene ritirata l’interdizione.
A metà febbraio del 1998, Anthony chiama Chico per informarlo che raggiungerà Miami assieme al figlio quarantenne Dale, un altro uomo dal passato burrascoso, fino a poco tempo prima in rotta con il padre. Dale è appena tornato dalla Malesia senza soldi. Vista la sua precaria situazione economica, Chico si offre di pagargli il volo e di ospitarlo. Dale raggiunge gli Stati Uniti. «Il giorno prima di partire – rivela la Bruzzone – Dale aveva scritto alla fidanzata che stava andando a incontrare Forti per proporgli un film nel quale lei sarebbe stata la protagonista. Dunque non fa alcun riferimento alla trattativa per la vendita dell’hotel». Così Dale arriva a Miami ma senza il padre, il quale avrebbe avuto un contrattempo all’ultimo momento rinviando il viaggio di qualche giorno.
Chico si reca all’aeroporto e con qualche difficoltà riesce a incontralo. Dale lo informa che attenderà l’arrivo del padre da amici e si fa accompagnare al Rusty Pellican, un ristorante nella penisola di Kay Biscayne, poco distante. Si salutano e mentre Chico se ne va, Dale Pike entra in un’altra macchina, una Lexus bianca parcheggiata davanti al ristorante. Chico ha fretta, alle 19 arriva il suocero all’aeroporto di Fort Lauderdale.
Stop. Riavvolgiamo il nastro. Zio Gianni ricostruisce la giornata di Chico del 15 gennaio, giorno dell’omicidio di Dale Pike.
«Verso le 11 del mattino Chico sente bussare alla porta di casa. E’ Thomas Knott che si offre di andare all’aeroporto a prendere Dale in arrivo da Madrid. Chico da tempo era venuto a conoscenza del passato di Knott e sorpreso da quella offerta chiede come sapesse dell’arrivo di Dale; Knott glissa, dicendo vagamente di avere le sue fonti… In realtà aveva già parlato con Dale. Chico gli intima di non entrare nei rapporti tra lui e i Pike. Verso le 15,30 – prosegue zio Gianni - Chico va all’aeroporto di Miami, ma il volo è in ritardo, atterrerà intorno alle 16,45/17,00». Trascorre un’ora e mezza e i due non riescono a vedersi, tanto che riusciranno finalmente a incontrarsi grazie agli altoparlanti posti all’interno dell’area doganale.
Osserva la Bruzzone: «Dall’analisi dei tabulati è emerso che la carta telefonica prepagata trovata vicino al cadavere di Dale Pike, ha registrato tre tentativi di chiamata verso l’utenza di Chico; tra le 17,13 e le 17,18, periodo in cui Dale era nella zona doganale dove però non è possibile acquistare quel tipo di card». L’ultima chiamata all’altoparlante è delle 18,09.
«Alle 18,15 i due si avviano alla macchina, - prosegue zio Gianni - Dale dice a Chico che i piani sono cambiati e che alloggerà da alcuni amici di Thomas Knott ma chiede a Chico di accompagnarlo a Key Biscayne». Chico acconsente ma ha fretta: alle 19 infatti arriva il suocero in un altro aeroporto. Durante il tragitto Dale deve comprare le sigarette e chiede a Chico delle monete per fare una telefonata. «Ma perché quella richiesta? - si domanda la Bruzzone - vicino al cadavere è stata trovata una carta prepagata non aveva bisogno delle monete. Ma il motivo è semplice: Dale Pike non era in possesso di alcuna carta prepagata, qualcuno l’ha posizionata strategicamente vicino al corpo per indirizzare le indagini…»
Arriviamo alle 18,55. I due sono davanti al Rusty Pelican di Kay Biscayne. «Chico saluta dando appuntamento al 18 giugno quando arriverà il padre di Dale. Alle 19.09, e questo è provato – sottolinea zio Gianni – Chico è già uscito dal parcheggio e alle 19,16 è diretto a Fort Lauderdale. Quindi la frequentazione con Dale, che Chico non aveva mai visto e conosciuto prima, è durata non più di 25 minuti. L’accusa invece sostiene che c’era tutto il tempo per compiere e pianificare l’omicidio, ma in realtà non è così».
Il giorno dopo un surfista scopre il corpo nudo di Dale Pike in una boscaglia a poca distanza dal ristorante di Kay Biscayne, nei pressi della spiaggia Sewer Beach. E’ stato ucciso con due colpi di pistola calibro .22, presumibilmente sparati a distanza ravvicinata. Attorno a Dale ci sono alcuni effetti personali, tra i quali la carta telefonica ma anche il biglietto dell’aereo, un pendaglio metallico del Pike’s hotel e delle banconote spagnole. Sarebbe stato ucciso sulla spiaggia poi trascinato nella boscaglia.
La Polizia di Miami apre le indagini. Trascorrono tre giorni e arriviamo a mercoledì 18 febbraio.
«Ad informare Chico della morte di Dale – sostiene la criminologa Roberta Bruzzone - è un’amica di Anthony Pike che risiede a New York, Jane Friedricks»; dunque Chico era all’oscuro della morte di Dale Pike. Va all’aeroporto a prendere il padre di Dale ma non riesce a trovarlo. «Chico non lo sa ma Anthony Pike è stato messo sotto protezione dalla Polizia di Miami beach. Il giorno dopo si reca al Dipartimento dove gli investigatori lo ascoltano in qualità di persona informata dei fatti. Già in quel momento però è un sospettato perché dalla scheda telefonica trovata vicino al corpo di Dale sono partite alcune chiamate senza risposta proprio verso il telefono di Chico, chiamate effettuate all’aeroporto di Miami».
I poliziotti lo informano che anche Anthony Pike è stato assassinato con le stesse modalità del figlio, in un albergo di New York. Una menzogna. Chico perde la testa, ha paura, non conosce quelle situazioni; lui è un uomo di successo, uno sportivo, che ne sa lui di morti ammazzati? E’ terrorizzato e dice agli agenti che non ha mai visto Dale Pike. Un grave errore, dichiara il falso. La paura in quel momento si trasforma in una reazione imprevedibile e quando comprende di averla combinata grossa, decide di ritrattare.
«Torna al Dipartimento con i documenti della trattativa del Pike’s hotel – prosegue la criminologa – non si fa accompagnare da un avvocato su suggerimento di Gary Schiaffo (il poliziotto corrotto del caso Cunanan/Versace) perché, secondo Schiaffo, si tratta di un semplice accertamento. In realtà sarà interrogato per 14 ore, indagato e arrestato. Le accuse: frode, circonvenzione di incapace nei confronti di Anthony Pike e concorso in omicidio nei confronti di Dale. Chico, secondo Reid Rubin, la pubblica accusa, voleva raggirare Anthony Pike approfittando della sua interdizione per mettere le mani sul Pike’s hotel ma il figlio aveva interferito; per questo Chico lo aveva attirato in trappola. Una tesi talmente piena di buchi che le prime due accuse crollarono immediatamente mentre restò in piedi quella di concorso in omicidio. Anche qui manca la logica perché nonostante fosse venuto meno il movente, l’accusa di concorso in omicidio era rimasta in piedi».
A inchiodare Chico però c’è l’arma del delitto, una calibro .22, un’arma simile a quella che Chico aveva acquistato alcuni mesi prima.
«Attenzione – chiarisce la Bruzzone – quella pistola era nella disponibilità di Thomas Knott e registrata a suo nome ma acquistata con la carta di credito di Chico. Infatti Chico aveva incontrato all’interno del negozio di articoli sportivi Thomas Knott che non avendo soldi li aveva chiesti a lui». Ancora Thomas Knott, il tedesco che nel processo patteggiò la condanna per truffa.
Su questi e altri elementi la Corte presieduta dal giudice Victoria Platzer, il magistrato che insieme a Gary Schiaffo aveva lavorato all’indagine sull’omicidio di Versace, ha costruito la sentenza di condanna che inevitabilmente non poteva trovare giustificazione se non in una… “sensazione”.
Ma non è una sensazione l’analisi investigativa di Roberta Bruzzone: «Chico Forti è innocente. L’ho incontrato per la prima volta nel dicembre del 2009 nel carcere Everglades nei pressi di Miami». In qualità di consulente tecnico della famiglia, ha potuto ascoltare direttamente da lui la sua versione dei fatti. «La mia sensazione è stata da subito quella di avere di fronte un pesce fuor d’acqua in un ambiente degradato e violento. Sei mesi dopo sono tornata a trovarlo in un altro carcere dove era stato trasferito; da questi incontri e dall’analisi degli altri elementi investigativi ho elaborato un report che lo scagiona definitivamente». E della sua innocenza ne sono certe tantissime persone che organizzano eventi e curano una pagina su Facebook che conta decine di migliaia di iscritti.
«E’ una grande dimostrazione di solidarietà da parte di tanti italiani e – sorride zio Gianni quando parla – di un gruppo di ragazze che si definiscono ‘le leonesse di Chico’ che da tre anni organizzano eventi arrivando a coinvolgere personaggi del mondo dello spettacolo come Red Ronnie, Fiorello, Jovanotti e altri. La loro opera ci ha portato ad avere l’attenzione del ministero degli Esteri che ha diramato una nota ufficiale dichiarando la priorità sul caso dopo tanti anni di ombre; credo – conclude zio Gianni - che sia arrivato il momento di fare luce».
Una luce lontana sostenuta da amici, conoscenti e da chi Chico non lo ha mai conosciuto. Ma lui, tramite una registrazione in una conferenza stampa al Senato nel 2009, ha fatto capire quanto sono importanti queste persone: «…non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Nella politica a volte, come niente, ci si rifugia nel buio, in silenzio e far passare la burrasca. Nel mio caso, cari amici, state proiettando tanta luce e generando tanto clamore che non potete passare inosservati».
FOTO: Enrico Forti
|