Sino al 1980, nel nostro Paese, il cosiddetto“arruolamento” nelle Forze dell’ordine costituiva una possibilità ulteriore per i giovani di entrare nel mondo del lavoro, in particolare, per quei tanti giovani del sud che conseguita la licenza media volevano iniziare a guadagnarsi uno stipendio.
Erano gli anni di una economia in espansione, in cui era molto facile trovare occupazione in particolar modo nelle grosse fabbriche siderurgiche e metalmeccaniche del triangolo industriale (Torino-Milano-Genova) di cui oggi buona parte ha dismesso le attività o per una questione di riconversione ovvero per l’espatrio verso Paesi sottosviluppati dove materia prima e servizi vengono offerti a basso prezzo consentendo agli industriali maggiori profitti.
La dismissione di attività industriali che è stata causa di una repentina crescita della disoccupazione, in alcune aree del nord e, il miglioramento di vita dei tutori dell’ordine, ha provocato un cambio di rotta nelle Forze di polizia tanto che già i primi anni ’80 tantissimi giovani, buona parte anche muniti di diploma o laurea, cominciavano a strariempire i luoghi di selezioni. Fare il tutore dell’ordine non sempre quindi è passione molto spesso è bisogno di lavorare, produrre, assicurarsi il salario, potersi formare la famiglia per vivere decentemente.
La legge 121/81 cosiddetta “Riforma di Polizia” ha contribuito notevolmente a modificare l’approccio fra le nuove generazioni e le Forze di polizia, sia perché nei singoli Corpi è mutato il rapporto fra le diverse gerarchie, sia perché le battaglie sindacali hanno fatto lievitare lo stipendio che si assesta fra le categorie medie del mondo del lavoro. In un contesto simile le Amministrazioni delle singole “Polizie” si sono ritrovate a compiere scelte molto indicative tenuto conto che alle selezioni per mille posti di agente di Polizia - dove tuttora è richiesta la licenza media inferiore - presentano domanda circa 400.000 giovani di cui l’80% munito di laurea o diploma di scuola media superiore.
Insisto sul titolo di studio in quanto ritengo che esso possa significativamente incidere sulla mentalità, in quanto costituisce il presupposto necessario per una “nuova” cultura e su un modo diverso di concepire il rapporto fra cittadini e tutori dell’ordine. La vecchia concezione che l’uomo in divisa doveva distinguersi, in quanto, secondo alcuni, esercitava un potere erroneamente ritenuto insindacabile, fuori dai limiti della legalità, non ha diritto di cittadinanza neanche in una spaurita percentuale di tutori dell’ordine.
La legge di Riforma che era la perfetta sintesi delle proposte del Movimento per la Riforma è stata letteralmente stravolta dal cosiddetto riordino entrato in vigore – per tutti i Corpi di Polizia – il 1° settembre 1995. Il ruolo degli Ispettori con una dotazione organica di 6.000 unità che avrebbe dovuto costituire la “novità” nel mondo delle investigazioni e, che per l’accesso, era necessario il diploma di scuola media superiore, è stato portato a 30.000 unità molte delle quali, allo stato, senza alcun titolo se non piccole esperienze professionali.
Nelle Forze di polizia continua a residuare una forma di relegato bellico delle cosiddette “funzioni” in luogo dei profili professionale come invece avviene nel pubblico impiego e nel mondo del lavoro in genere, tale attribuzione rimodellate dall’art. 26 d.lgs 195/97 non sempre trovare puntuale applicazione, anzi spesso costituisce il modo per umiliare e discriminare. Attribuzione delle funzioni, così come delineato dal legislatore del riordino del 95, è molto lacunosa, in quanto indefinita, vaga, generica - a differenza dei profili professionale dove è specificata ogni competenza dell’impiegato. Tutto ciò ovviamente ingenera ovvero favorisce la confusione precludendo di fatto all’operatore di Polizia di rivendicare il diritto ad esercitare quei “poteri” che la legge gli attribuisce. Le funzioni così “ingergate” favoriscono: abusi, soprusi, cattiverie ma soprattutto umiliazioni che tolgono la dignità dell’operatore di Polizia.
L’essere umano che nel mondo del lavoro dovrebbe realizzare le proprie aspettative in un contesto del genere dove è data facoltà al dirigente o al comandante di reparto di impiegare l’uno al posto dell’altro è meramente difficile mettere in evidenza o rappresentare l’assurdità e un disaggio che spesso produce un duplice effetto negativo: frustare le aspettative del tutore dell’ordine ma non produrre il risultato che la società si attende tenuto conto ad esempio che il vice ispettore non potrebbe giammai operare alla stregua dell’ispettore capo con 15 anni di servizio e le varie esperienze.
L’art. 26 D. lgs 197/95 purtroppo ha prodotto una mera e propria aberrazione giuridica che si riflette sul buon andamento del servizio tenuto conto che al vice ispettore – ispettore e ispettore capo sono conferite le medesime funzioni senza alcuna distinzione se non quella della anzianità nel ruolo. La pratica quotidiana all’interno della Polizia di Stato non sembra attuativa di quei valori e di quei principi codificati dal legislatore nella legge di “Rriforma” nel 1981 invero sembra essersi venutosi a determinare un clima nel quale assume un peso preponderante la logica dell’impero dove un vertice domina sul popolo senza che possibilità alcuna che le nuove generazioni possano esprimersi da soggetti protagonisti.
E’ tangibile l’assenza di una cultura della gestione di uomini e qualifiche. A volte sembra stenti ad essere recepito il valore della norma giuridica che riconosce al vincitore di concorso posizione costitutiva del potere che deve esercitare secondo la legge. Pare che vi sia il bisogno immediato di ricostituire una mentalità in grado di debellare una certa situazione nell’interesse della gente e del personale della Polizia di Stato.
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