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Marzo-Aprile/2013 - Interviste
Sicurezza Stradale
Incidenti. Quale vita dopo
di a cura di Eleonora Fedeli

Ventimila disabili gravi, più di trecentomila feriti, cinquemila
morti, in maggioranza giovani. Una strage continua
e inaccettabile, che però non muove voti e non fa spettacolo.
Ne parla di Joe Denti, responsabile dell’ufficio stampa
dell’Associazione Aivis (Associazione Italiana Vittime
e Infortuni della Strada)


Secondo un rapporto Aci-Istat, Maggio è il mese nero degli incidenti stradali. Per Maximiliano è stato un ottobre di qualche anno fa, dopo una serata con gli amici. Sono le quattro del mattino, piove e all'improvviso il motore dell'auto che li sta portando a casa si ferma, proprio in mezzo alla strada. Sono sulla Milano Meda, una superstrada molto frequentata: Maximiliano e il suo amico Mirko scendono dalla macchina e iniziano a spingerla verso la corsia di emergenza. Dal buio, come una scheggia impazzita, arriva un'auto che li spazza via. Mirko muore sul colpo, Maximiliano è ancora vivo.
Quando suo padre Joe arriva all'ospedale, la prima cosa che gli dicono i medici è che hanno dovuto amputargli la gamba sinistra. E' sconvolto, perché suo figlio ha solo 18 anni. Quello, però, sembra essere il male minore: il devastante intervento chirurgico che ha subito al cervello non gli lascia scampo, i danni sono irreparabili.
Joe Denti, il papà di Maximiliano, è un personaggio conosciuto nel Nord Italia. E' un critico cinematografico ed è spesso ospite delle tv locali in qualità di commentatore. Quando la dott.ssa Barbarossa, presidente dell'associazione Aivis, ha saputo dell'incidente di cui è stato vittima il figlio, si è messa in contatto con lui e gli ha proposto di collaborare con la sua associazione. All'inizio Joe non ha dato molto peso a questa richiesta: le sue energie erano tutte per quel figlio improvvisamente disabile, di cui doveva prendersi cura insieme alla moglie.
Col passare del tempo, però, Joe ha pensato che attraverso quella collaborazione avrebbe potuto aiutare altre persone che stavano affrontando il suo stesso dramma e che avrebbe potuto sfruttare la sua notorietà per sensibilizzare le persone sul problema della sicurezza stradale. Così è iniziata la sua avventura con l'Aivis, un progetto di solidarietà, che si propone di dare assistenza sotto diversi punti di vista ai familiari e alle vittime di incidenti stradali.

Signor Denti, quali sono gli scopi dell'Aivis e cosa l'ha convinta ad accettare il loro invito?
Mi ha convinto l'idea di poter contribuire a una maggiore sensibilizzazione e educazione alla sicurezza stradale. Queste, a mio avviso, sono due armi fondamentali per combattere quello che ha tutti i connotati di uno sterminio, causato nella maggior parte dei casi da persone che si mettono alla guida pur essendo ubriache o sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, come nel caso del ragazzo che ha travolto mio figlio.
Quando perdi una persona cara, si ha la sensazione che il mondo ti crolli addosso. Nel caso di un figlio disabile, c’è un bisogno costante di assistenza e di cure mediche. La nostra casa si è trasformata in un vero e proprio ospedale, ma non tutti hanno i mezzi per farlo. L'Aivis cerca di dare sostegno morale ed economico alle persone che si trovano in questa situazione, di non lasciarle sole. A questo, affianca incontri nelle scuole e una stretta collaborazione con la polizia municipale e scientifica di varie regioni.
Quello che cerchiamo di fare, inoltre, è convincere le persone colpite da queste tragedie a non accettare il patteggiamento, soluzione a cui le assicurazioni vogliono arrivare per non risarcire completamente le vittime. In questi casi, infatti, il denaro diventa un fatto etico. Quando non ci saremo più mia moglie ed io, come farà mio figlio ad andare avanti senza una solida base economica? Quel denaro serve per dargli una vita garantita, almeno dal punto di vista assistenziale. Il problema è che quando si è travolti da un fatto così drammatico al denaro non si pensa.

Più della metà degli incidenti stradali sono causati dall’uso di droga e di alcol. Secondo lei è possibile scindere questa fatale combinazione?
Io non sono contro la trasgressione. Sono un ex figlio dei fiori, cresciuto ascoltando i Beatles e i Rolling Stones. Ho vissuto la stagione delle lotte politiche, ho manifestato per i diritti delle donne, per la libertà sessuale. Anch’io ho trasgredito. Oggi, però, il modo di drogarsi è cambiato. Una volta c’era lo spinello, un modo per trovarsi insieme, magari con una chitarra su una spiaggia. Oggi ci sono le droghe sintetiche, sostanze che scatenano un senso d’invulnerabilità.
Quando andiamo nelle scuole, porto sempre una bottiglia di vodka e uno spinello. Abbiamo anche un paio di occhiali speciali che simulano quello che vede una persona alla guida sotto l'effetto della droga. Ai ragazzi, poi, mostro sempre dei filmati cinematografici: Gioventù bruciata, Il Sorpasso, The Blues Brothers, perché attraverso queste immagini voglio che si rendano conto della vulnerabilità di una persona alla guida. Spero di coinvolgerli, di fargli capire l'importanza di amare il prossimo come si ama se stessi.

Lei insiste molto sul concetto di educazione stradale. Da questo punto di vista, in cosa consistono le attività dell’Aivis?
Si tratta principalmente di iniziative di tipo educativo e culturale. Tutti i nostri incontri sono supportati dalla collaborazione con la polizia municipale e con i carabinieri. Io li considero dei veri e propri messaggeri, fanno un lavoro straordinario con pochissimi mezzi economici. Quando c'è un incidente, sono loro che chiamano le famiglie. E’ un momento drammatico anche per loro, perché devono comunicare a delle persone che la loro vita è cambiata per sempre.
Quello che cerchiamo di fare nelle scuole è spiegare ai ragazzi quanto possa essere pericoloso l'uso della droga e dell'alcol, soprattutto quando ci si mette alla guida. Fargli capire che le vittime non sono solo quelle che rimangono per terra, ma anche le famiglie e persino loro stessi, perché dovranno fare i conti con la propria coscienza per tutta la vita.
A volte ci avvaliamo anche delle testimonianze di persone che hanno subito incidenti. Non cerchiamo di strumentalizzare le tragedie né di strappare una lacrima, vogliamo solo che i ragazzi si rendano conto di cosa significa vivere con una disabilità o perdere qualcuno. Io sono convinto che la sicurezza stradale parta della scuola. Naturalmente parlare di queste cose ad un ragazzo che durante l'intervallo si fuma uno spinello non è facile. Ci troviamo di fronte ad una grande barriera, che si può in parte abbattere cercando di ragionare con la loro testa, provando a rappresentare il mondo con i loro occhi.

Si parla abbastanza di sicurezza stradale?
Francamente no. Quella che stiamo portando avanti è una vera battaglia ed è molto dura da combattere, soprattutto perché non fa spettacolo. Quando proponiamo approfondimenti e interventi, soprattutto alle emittenti televisive, mi sento spesso dire che il tema non fa audience. Sui telespettatori fa più presa l'omicidio di una ragazzina, un fatto certamente drammatico, ma non più grave della strage quotidiana che si consuma sulle nostre strade. Solo in Lombardia nel 2012 ci sono stati 130 morti e 1100 feriti, e quando si parla di questi ultimi bisogna valutare l'entità dei danni che hanno subito.
Una cosa è una gamba slogata, un'altra è restare tutta la vita su una sedia a rotelle con il cervello irreversibilmente danneggiato. Si parla poco anche delle problematiche che devono affrontare i familiari di un disabile. C'è un vero e proprio tabù, ad esempio, che è la loro sessualità. Salvo poi andare al cinema, vedere un film come Quasi Amici e pensare che questa sia una storia meravigliosa.

Ha mai incontrato il ragazzo che ha travolto suo figlio?
No. Conosco il suo nome, so che è un ragazzo albanese e che guidava sotto l'effetto di stupefacenti. E' una persona che non ci ha chiesto mai scusa, a me sarebbe bastata una lettera.
In molti pensano che in questi casi il primo istinto delle persone sia farsi giustizia da soli. Capita di sentire la notizia di un incidente mortale al telegiornale e di pensare: «se fosse capitato a mio figlio, avrei ucciso il conducente dell'auto». Io penso che la giustizia privata non possa mai essere una soluzione. Può essere un pensiero che nasce dal senso di devastazione e dalla rabbia che si provano. Ma quando tuo figlio è nel letto di un ospedale devi concentrare le tue energie su di lui.
Uccidere un'altra persona non è mai un atto giustificabile. Non nego che quel pensiero mi abbia sfiorato. Vivo in un mondo, quello del cinema, che è fatto più di fantasia che di realtà, e confesso di aver immaginato più volte la vendetta. Poi, però, si ragiona e tutta la rabbia crolla di fronte all'unica priorità della propria vita: tuo figlio.
E' dura, perché ci si ritrova in un attimo con la vita completamente stravolta, bisogna andare avanti con tanto coraggio e determinazione. Però è qualcosa di talmente forte che può addirittura riunire una famiglia: la madre di Maximiliano ed io siamo separati sentimentalmente, ma siamo vicini a nostro figlio come non mai.

Che cosa succede sotto il profilo giuridico dopo un incidente?
Non succede nulla. Pensi che chi ha investito mio figlio il sabato dopo era nuovamente a ballare. Non c'è nessun tipo di sanzione che intimorisce chi compie un atto del genere. Non vogliamo metterli in galera? Almeno, però, facciamogli svolgere un servizio sociale. Facciamogli pulire i pavimenti degli ospedali in cui sono ricoverate le persone che hanno avuto un incidente stradale, dei reparti di fisioterapia e di terapia intensiva. Così, almeno, quando alzeranno gli occhi da terra si troveranno di fronte una persona che un loro "collega" ha investito.
A chi causa un incidente viene ritirata la patente, ma a livello penale non succede assolutamente niente. Dopo quattro o cinque mesi la patente viene restituita e tutto torna come prima. Le assicurazioni fanno passare anni prima di restituire il dovuto alla famiglia, cercando di arrivare al patteggiamento o al concorso di colpa. Quando mio figlio stava spostando la macchina, non indossava il giubbetto catarifrangente: per l'assicurazione quello è stato un concorso di colpa, anche se avrebbe dovuto fornirglielo il proprietario della macchina.
Quello che ripeto sempre è che non bisogna mai accettare compromessi: si deve andare in tribunale e avere tutto quello a cui si ha diritto.

Lei pensa che pene più severe possano essere un deterrente?
Sono convinto che ci voglia più severità nella punizione: salire in macchina ubriachi o dopo aver assunto della droga è paragonabile ad un omicidio premeditato.
Certo, bisogna sempre fare delle verifiche, perché gli incidenti capitano a tutti e possono anche essere delle tragiche fatalità. Il comandante dei vigili urbani di Monza e quello di Milano raccontano di avere spesso le mani legate. I pirati della strada non sono assolutamente puniti e hanno dalla loro parte il codice civile e penale: se una vittima non denuncia entro certi tempi il fatto o non ha le prove, le assicurazioni non retribuiscono nulla.
Purtroppo manca anche una politica urbana, ma è chiaro che con tutti i problemi che ha il nostro Paese non può essere in cima all’agenda.

Oltre alle attività di tipo educativo, quali sono le altre iniziative e gli scopi dell'Aivis?
L'Aivis è un'associazione che dal 2005 a oggi ha risolto più di 800 casi. Dico "risolto" perché siamo riusciti a far avere alle famiglie o alla vittima infortunata la somma totale che gli avvocati avevano chiesto. L'associazione ha una holding di avvocati su tutto il territorio nazionale, guidati dal dottor Giuseppe Bellanca, che si occupa esclusivamente di questo.
L'associazione svolge anche un’assistenza morale, fornisce contatti di cliniche, medici, psicoanalisti, cerca di dare sostegno alle famiglie anche dopo il fatto. L’Aivis collabora con l’Associazione dei paraplegici della regione Lombardia e con il preparatore atletico della nazionale paratletica. Insomma, cerca di accompagnare le persone colpite da un incidente nella difficile strada che dovranno percorrere.

FOTO: Joe Denti

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