Incontro con Manuela Valli, Comandante
della Polizia Municipale di Castiglion Fiorentino (Ar)
“L’educazione stradale va vista non solo e non tanto come conoscenza tecnica o addestramento, quanto come attività educativa rivolta al raggiungimento di livelli di formazione generale, sulla base delle modalità del rapporto con se stessi e con gli altri, nell’ambito di un sistema di vita organizzata, fino a coinvolgere i significati profondi della vita affettiva, etica, sociale e civile della persona. In effetti la sicurezza stradale chiama in causa l’intera dimensione della convivenza civile e democratica; essa pertanto rientra specificatamente nel più vasto compito formativo generale a cui la scuola è chiamata a rispondere”. Sembra non dar adito a dubbi quanto riportato nel decreto interministeriale del 5 agosto 1994: l’educazione stradale non è pura trasmissione di nozioni e nemmeno mero addestramento tecnico, ma, prima di tutto è “educazione”, necessaria per la formazione globale di una persona, nel suo rapporto con gli altri. Polizia e Democrazia ha incontrato Manuela Valli, Comandante della Polizia municipale di Castiglion Fiorentino (Ar), fermamente convinta dell’indispensabilità dell’educazione stradale per la formazione di una coscienza civile e democratica nei ragazzi. Dopo un’insolita laurea in lingue e letterature straniere, indossa la divisa ormai da vent’anni, prima da agente e poi da ufficiale nel Corpo P.M. di Arezzo, dove tuttora vive, col marito e due figlie. Da sette anni guida la Polizia municipale di Castiglion Fiorentino. Docente alla Scuola Interregionale di Polizia locale, ha conseguito un master in politiche per la sicurezza urbana.
Come è approdata alla Polizia municipale dopo la laurea in lingue?
Come molti, credo: per lavorare. Pensando che sarebbe stata una fase transitoria, ma facendone poi un obiettivo duraturo: prima da precario, poi da agente di ruolo, da ufficiale ed infine da Comandante. Dopo pochi mesi già sapevo che non sarebbe stato facile lasciare alle spalle questo lavoro, a dispetto degli agenti più vecchi che diffidavano dei titoli di studio universitari, temendo una permanenza risicata in polizia municipale per migrare poi verso altri sbocchi professionali.
Quando e perché ha iniziato ad occuparsi di educazione stradale?
Nel 1998, quando l’allora mio Comandante mi affidò il compito di ridare vigore al progetto di educazione stradale comunale, con l’obiettivo di farlo diventare un progetto provinciale. Ancor prima, però, devo dire che ricordo bene i “vecchi vigili” che mi hanno trasmesso la loro esperienza, i quali vivevano con sofferenza la fine della scuola ed ogni anno ripetevano: ecco, adesso si comincia, ad ogni chiamata per incidente può esserci di mezzo un ragazzo in moto. Questo perché, all’epoca, il caso era obbligatorio solo per i minorenni e si faceva fatica a fare rispettare tale obbligo solo a colpi di sanzioni e sequestri. Così nacque nel 1999 il “Progetto Caschiamoci”, con l’impegno di tutti gli enti della provincia aretina, finalizzato a costruire una diversa coscienza delle insidie stradali e con il sogno di ridurre drasticamente l’incidentalità giovanile. Devo dire che analisi statistiche risalenti all’anno 2011 hanno dimostrato che, in provincia di Arezzo, il tasso di incidentalità con conducenti tra i 15 ed i 19 anni era pari ad un terzo rispetto alla media toscana.
E’ possibile parlare di prevenzione di comportamenti a rischio prescindendo dall’educazione stradale?
Io direi piuttosto che non è possibile parlare di prevenzione senza tenere in conto l’educazione! Quello di educare è un compito onorevole e di enorme responsabilità, il cui onere spetta ad ogni adulto verso ogni giovane. Educa la famiglia, educa la scuola, educa la società, educano i gruppi informali. La nostra educazione si arricchisce di ogni apporto: proprio per questo è importante che ognuno di noi senta forte la responsabilità e la meraviglia di questo e contribuisca a non perdere neppure un’occasione per educare. Da ciò consegue che la prevenzione delle condotte a rischio deve partire dall’educazione, in particolare per i comportamenti alla guida di mezzi: gli adulti tutti hanno l’obbligo di dare esempi positivi, perché è maggiore il tempo che i bambini trascorrono con i genitori in auto che non a tavola, pertanto in quel tempo assorbono i loro comportamenti e ne fanno bagaglio. Quando si interviene poi con gli insegnamenti formali dobbiamo correggere tutto ciò che loro già conoscono e vivono, correndo il rischio di apparire desueti, o peggio di ingenerare l’idea che una cosa è ciò che ci viene detto di fare, altro è ciò che si può fare! Questa mancanza di coerenza in termini educativi è un suicidio.
Attualmente le attività di educazione stradale sono imposte dalla normativa vigente o sono lasciate alla libera iniziativa e alla buona volontà dei singoli docenti?
Il Codice della Strada, dal 1992, prevede come obbligatori i corsi nelle scuole, destinando anche parte dei proventi sanzionatori proprio per attivare tali corsi. Peraltro l’obbligo nei programmi ministeriali c’è almeno dal 1974. Questo per dire che sulla carta non stiamo messi male, ma ci frega un po’ la realtà: le scuole sono oberate di progetti e di programmi di vario genere, gli organi di polizia sono sempre di meno ed hanno competenze e procedure sempre più gravose, gli esempi nella vita quotidiana sono sempre meno coerenti ed i pericoli sempre più insidiosi. Diciamo però che sul versante “conoscenza delle regole” abbiamo fatto passi da gigante: fino a pochissimi anni fa si poteva condurre un ciclomotore senza la benché minima nozione sulle regole vigenti e, per così dire, la legge consentiva che si imparassero sulla pelle, mentre oggi i ragazzi devono sostenere un esame e conseguono una vera patente, soggetta a restrizioni e limitazioni dovute ai loro comportamenti. Questo di certo aiuta molto. La prevenzione però non è mera conoscenza, ma anche coscienza e coerenza: proprio su questi due ultimi concetti c’è molto da lavorare.
Quali sono gli obiettivi di una seria progettazione di attività di educazione stradale?
Mi sento di mettere al primo posto la sostenibilità: ho imparato sulla pelle che attivare progetti di grande portata, che passato lo slancio vengono lasciati morire, non serve a nessuno. In campo educativo nulla è più dannoso delle meteore: è proprio quello l’ambito in cui ci vogliono piccoli passi sempre nella stessa direzione. Pertanto la pianificazione di un progetto di educazione stradale non può prescindere dalla possibilità reale e sostenibile di poter portare avanti il progetto per anni e anni, generazioni e generazioni. Obiettivi minimi, piccoli step, semplici iniziative che ogni anno possono essere riproposte, che ogni agente è in grado di seguire e che ogni insegnante può ospitare. In termini molto pratici: pochissimi interventi per classe, concetti basilari da ripetere più volte nelle varie annualità, schemi modulari delle lezioni in modo da non ripetere mai gli interventi e garantire così un percorso comune e costante. Ad esempio: due interventi a classe, molto brevi alla materna (40 minuti), crescendo gradualmente al crescere delle classi; moduli fissi, in modo tale che l’agente che si trova a far la prima lezione in una terza elementare affronti a suo modo un argomento prestabilito ed “incastrato” nel percorso educativo. Oltre a questo fondamentale concetto della sostenibilità, il progetto deve sempre prevedere una parte di osservazione della realtà: uscite dei bambini con l’agente nel perimetro intorno alla scuola consentiranno di soffermarsi su cose che il bambino vedrà tutti i giorni e potrà riscontrare. Non dimentichiamo mai che quello che per noi è un cartello stradale per un bambino è un palo (data l’altezza) e quella che per noi è segnaletica orizzontale per il bambino sono scritte a terra! Siamo noi che possiamo insegnare loro a decodificare correttamente il linguaggio della strada.
Quali gli attori da coinvolgere?
Tutte quelle che sono agenzie formative. Gli enti preposti alla sicurezza stradale, le forze di polizia, le aziende sanitarie, di trasporto pubblico, senza dimenticare quelli che comunque hanno interessi anche economici locali: le autoscuole, i concessionari, le assicurazioni, i rivenditori di accessori. E’ anche possibile sensibilizzare i contesti non scolastici: le parrocchie, gli scout, i gruppi sportivi. Il problema va affrontato in tanti, perché è molto serio e più ambienti vengono “contagiati” più messaggi vengono portati. Oserei dire che in tal modo si possono contagiare gli adulti, sperando che prendano sul serio il problema. Non possono non essere coinvolti attivamente insegnanti e genitori con incontri di formazione e sensibilizzazione. I genitori dei bimbi molto piccoli (fino a 7-8 anni) rispondono bene, possono essere organizzati incontri al pomeriggio nelle scuole in cui si spiega ad esempio la sequenza dei seggiolini da utilizzare dopo i tre anni. Il messaggio della sicurezza stradale deve essere rivolto sì ai futuri utenti della strada, ma anche una riflessione agli attuali utenti non fa male, oltre al fatto che conoscendo cosa i bimbi affrontano a scuola, i genitori possono contribuire con uno sforzo di coerenza: del resto i bambini in classe ci raccontano ogni singola cosa sbagliata che i genitori fanno, quindi…
C’è una metodologia didattica più efficace di altre?
La metodologia deve essere parametrata all’età dei bambini. Bimbi in età di scuola materna hanno bisogno di manipolare, colorare, ritagliare (la paletta segnaletica è un oggetto molto facile da creare con carta, una cannuccia e dei pennarelli), crescendo prevale la lezione frontale, poi con i grandicelli (medie e superiori) devono essere utilizzati materiali video o giochi di società, altrimenti il messaggio è perso nel vuoto.
E’ sufficiente essere “buoni vigili” per essere “buoni formatori”?
La questione è completamente diversa: dobbiamo riuscire a far entrare nelle classi il personale che abbiamo, difficilmente si può scegliere! E’ pertanto fondamentale attivare moduli formativi facili che non facciano sentire il personale inadeguato. Chi ha una buona carica comunicativa sarà certo facilitato nel contatto con i ragazzi, ma è importante che ogni agente entri in classe con la serenità di portare la propria esperienza: la comunicatività, poi, la stimolano i bambini ed i docenti. Del resto sarebbe bello poter destinare all’educazione stradale solo il personale adatto, motivato e magari anche con doti di animatore, ma lo scopo è portare il messaggio a più ragazzi possibile, quindi ogni divisa che entra in classe è benvenuta e saprà regalare un po’ di sé, ricevendo in cambio la speranza che se anche uno solo dei ragazzi che incontrerà adotterà un comportamento idoneo ricordandosi ciò che ha sentito, allora tutto prenderà un senso, anche essersi sentiti a disagio come un… Gulliver tra i lillipuziani!
Parliamo dei progetti organizzati in Provincia di Arezzo, iniziando da “Caschiamoci”…
L’esperienza è stata magistrale, anche se gradualmente le istituzioni sono state in grado di far fronte agli impegni in modo sempre meno importante: nel 1999 alcuni soggetti istituzionali nella realtà aretina iniziarono ad affrontare in modo organico il tema dell’educazione stradale. Riuniti attorno ad un unico tavolo decisero, da un lato, di spogliarsi dei loghi istituzionali che ognuno di essi rappresentava, dall’altro, di cercare di raggiungere, per la propria realtà, in modo sinergico e con determinazione, il traguardo europeo di abbattere entro il 2010 la mortalità da incidente stradale di almeno il 40%.
A seguito di queste intese, nel dicembre 1999 la Provincia, il Comune, l’Automobil Club, il Provveditorato agli Studi (di Arezzo, ndc), e l’Azienda Trasporti Municipalizzata locale firmarono il primo protocollo del Progetto “Caschiamoci”. Questi soggetti istituzionali, nella coscienza che è dalla scuola e dalla formazione dei bambini che inizia il processo che costruisce la sicurezza delle strade, e nella certezza che questa sicurezza non può essere riassunta esclusivamente nelle azioni di controllo o nell’informazione sulle regole, dettero luogo ad un’intesa territoriale di respiro provinciale per offrire a tutti i bambini e ragazzi dai 3 ai 18 anni un organico approccio all’educazione stradale, con un programma didattico che coinvolgeva insegnanti, genitori ed alunni e che era articolato su percorsi multimediali, simulati e reali, volti alla stimolazione delle capacità di ambientamento e di elaborazione delle proprie conoscenze.
Venivano quindi rafforzati, come agenzia extra‐scuola, i cliché delle lezioni di educazione stradale con docenti e discenti per arrivare ad incontri con i bambini ed i ragazzi: incontri che potevano fornire ‘guizzi’ di vita quotidiana, e che potevano fare breccia nell’abitudine e nella routine della scuola, della strada e della consueta condotta ai margini delle norme, così come nel ‘guscio’ di apatia verso le istituzioni che gli adolescenti indossano in quella particolare fase di crescita che vede l’unica affermazione del soggetto nel gruppo che irride le regole, e che si fa grande nel violarle.
Uno degli obiettivi che il gruppo si poneva era il coinvolgimento del corpo docente, che spesso tendeva a delegare all’agente che effettuava l’educazione stradale quell’ora di lezione, senza partecipare o addirittura uscendo dall’aula. Nella ferma convinzione che l’educazione stradale dovesse essere vista come attività educativa rivolta al raggiungimento di livelli di formazione generale, si articolava quindi una rigida programmazione didattica, iniziando corsi di formazione “a tappeto” per docenti di educazione stradale su tutto il territorio provinciale, grazie anche alla collaborazione del Provveditorato agli Studi (oggi Ufficio Scolastico Provinciale), che articolava tali momenti formativi in modo da costituire credito per chi vi avesse partecipato.
Una volta gettato il seme tra i docenti venne curato l’aspetto formativo nella “controparte”, gli agenti delle polizie municipali della provincia, in modo che fossero “addestrati” e coinvolti nel progetto e potessero sentirsi a proprio agio sia con gli strumenti didattici che poi sarebbero stati forniti, ma anche solamente per il semplice inserimento nel ruolo in classi di ogni ordine e grado.
… per arrivare a “Strasicura”.
Dopo “Caschiamoci”, l’obiettivo era quello di creare una struttura di riferimento così da porre le basi per la creazione di un Centro Permanente di Educazione Stradale, con l’intenzione di farlo diventare referente di alto valore sociale per l’intera provincia. In quest’ottica, anche per fornire una strutturazione definitiva a tutto il progetto, che tenesse conto dell’aspetto aggregante sull’intera società e di motivazione non solo per gli addetti, ma anche per i bambini ed i genitori, è nata l’idea di “Strasicura”.
Le stesse persone di dieci anni prima, intorno ad un altro tavolo, chi negli stessi ruoli chi in altri, ma tutti con la stessa motivazione e con una certezza statistica: nella provincia di Arezzo, dopo dieci anni di Progetto Caschiamoci, la media dei minorenni coinvolti con ruolo attivo in sinistri stradali è pari alla metà esatta della media toscana. Le politiche di sicurezza non sono facili da misurare nella loro efficacia, richiedono tempi lunghi e nei tempi lunghi troppi parametri variano e, inoltre, la ricerca e la misurazione hanno costi altissimi. Questo semplice e aggregato dato statistico è abbastanza per muovere ancora gli animi verso la ricerca di uno step nuovo, che dia al Progetto Caschiamoci un nuovo stimolo, una nuova vita.
Al gruppo originario si affianca la Onlus “Fondazione Monnalisa” che, ricca di una motivazione molto forte sul piano personale propone uno stile che diventerà poi un marchio: il modello di welfare mix di comunità, lo sforzo di tutti gli attori del territorio (istituzioni, imprese for profit, associazioni ed enti no profit, privati cittadini) in risposta ad una emergenza sociale, quella degli incidenti stradali. E’ grazie a questo grande sforzo collettivo economico, fisico ed organizzativo che il 24 Settembre 2009 dopo solo 3 mesi dall’accensione delle ruspe la Comunità Socialmente Responsabile ha partorito Strasicura.
Di che si tratta?
“Strasicura” è un parco tematico dedicato a 360 gradi alla cultura della sicurezza stradale, parco che, una volta conclusi definitivamente i lavori, si svilupperà su un’area di 35 mila metri quadrati concessi in comodato gratuito dal Comune di Castiglion Fiorentino alla Provincia di Arezzo ed alla Fondazione Monnalisa Onlus per 25 anni. La progettazione, la realizzazione e la gestione di Strasicura vede protagonisti da una parte gli Enti firmatari del Protocollo “Caschiamoci” e dall’altra il Comune di Castiglion Fiorentino e la Fondazione Monnalisa Onlus.
Il primo stralcio di Strasicura, inaugurato il 24 settembre 2009, consta di un circuito integrato (di circa 5000 mq) appositamente recintato e con segnaletica orizzontale e verticale progettata a misura di bambino e nel rispetto dell’ambiente, destinato a bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni ed utilizzato per le prove pratiche di educazione stradale con quad e scooter elettrici; una sede per gli uffici e per le aule didattiche e un garage/officina realizzati in bio-architettura.
Il secondo stralcio dell’opera è stato inaugurato il 26 giugno 2010 e prevede: uno spazio polivalente per i locali mensa e ulteriori aule; un circuito adulti (9.000 mq) per neo‐patentati, adulti, over 65, diversamente abili, professionisti del volante (guidatori di ambulanza, camion, ecc.).
Un’esperienza unica in Italia.
Esattamente. Strasicura è gestita senza fini di lucro, applica tariffe etiche, che comprendono anche il trasporto, l’assicurazione e l’alimentazione. E’ in gran parte finanziata dalla raccolta fondi dei collaboratori della Fondazione Monnalisa Onlus presso imprese e cittadini tramite eventi in piazza, mercatini, partecipazione a manifestazioni pubbliche e contatto diretto con imprenditori, commercianti e artigiani. Applica un metodo educativo multidisciplinare che fonde la pratica e la teoria e che si adatta a seconda delle diverse fasce di età presenti. Come tutti i progetti della Fondazione Monnalisa Onlus unisce i criteri di solidarietà alla sostenibilità, infatti tutto è costruito nel massimo rispetto dell’ambiente.
Quali attività organizza?
I programmi didattici elaborati e poi adottati da Strasicura nella sua azione educativa iniziata il 15 Febbraio 2010 sono il frutto dell’adozione di una metodologia orientata alla massima integrazione delle competenze e degli attori delle comunità su cui incide il progetto, ma anche all'utilizzo di metodi di insegnamento innovativi che prevedono l'impiego di nuove tecnologie (laboratori di guida virtuale) oltre che all'affiancamento ai momenti di teoria di moduli pratici di guida sicura che diano idonei strumenti per affrontare situazioni difficili e impreviste alla guida. Strasicura ha ospitato circa 22.000 ragazzi ogni anno scolastico, ma in particolare ha visto l’effettuarsi di tutti i corsi pratici per la guida del ciclomotore, corsi scolastici per neopatentati, oltre ad attività ludiche sempre orientate alla sicurezza stradale. Il rischio attuale è che con il venir meno, da un lato della presenza istituzionale degli Enti e dall’altro dell’obbligo per le scuole di organizzare i corsi per il conseguimento del patentino, Strasicura rimanga un po’ abbandonata a se stessa ad appannaggio di pochi illuminati, mentre la generalità della popolazione che guida non potrà avvicinarvisi perché “non costretta” dalla legge.
Cosa risponde ai suoi colleghi che non organizzano attività di educazione stradale, trincerandosi dietro al classico “non ci sono soldi”?
Non so. Nella mia opinione l’educazione stradale deve essere effettuata come parte integrante del servizio: come si controlla la piazza del Municipio, così si va nelle scuole. E’ evidente che la fattibilità di scelte del genere dipende molto dalla sensibilità del responsabile del servizio e dell’amministrazione comunale da cui il Corpo dipende.
Foto: Il comandante Manuela Valli
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