A Bolzano una donna afferma di averla
sentita al telefono. Un’altra l’avrebbe vista
in macchina con un funzionario del Sismi.
Il fratello: “La cerco perché è viva”
È uno dei simboli dei segreti d’Italia, come Ustica, la bomba di piazza Fontana o la strage di Bologna. Tutti casi legati al sacrificio di persone comuni, come i passeggeri dell’Itavia, la gente agli sportelli nella banca dell’Agricoltura a Milano o gli sventurati che si trovavano alla stazione di Bologna il due agosto di 33 anni fa. Il periodo è quello degli anni di piombo e delle trame atlantiche. Complotti, depistaggi e coinvolgimenti di oscuri apparati parastatali. Vicende ancora irrisolte. E sono tanti, troppi, i casi che ancora oggi risultano aridi di verità ma fecondi di ipotesi impalpabili. Ma c’è n’è uno, più degli altri, che ha sete di giustizia. Una giustizia che potrebbe rivelare verità scomode. A differenza degli altri casi però potrebbe ancora salvare una vita. E già, perché la vittima di questo mistero d’Italia potrebbe essere viva.
E’ il 1983 e una ragazzina sparisce dal centro di Roma. Nella storia oscura del nostro Paese è ricordato come il ‘caso della scomparsa di Emanuela Orlandi’.
L’icona di questa vicenda è un manifesto appeso sui muri di Roma; il volto di una solare adolescente con una fascetta sulla fronte, un numero di telefono, 69.84.982, alcuni dati, il nome e la scritta grande: SCOMPARSA.
I giornali se ne occuparono in modo particolare perché Emanuela Orlandi è una cittadina vaticana (scriviamo al presente perché le prove della morte, come dicevamo, non ci sono) ma soprattutto perché Papa Giovanni Paolo II ne parlò durante un Angelus in piazza san Pietro e tornò sull’argomento più volte pubblicamente e privatamente.
Mentre la famiglia impazziva cercando di capirci qualcosa, in città si avanzavano tante ipotesi, alcune molto fantasiose: dalla tratta delle bianche, alle botole nei camerini dei negozi, fino ai coinvolgimenti del Vaticano, della malavita romana o a trame che portavano oltrecortina o oltreoceano.
“La prima pista fu quella dei Lupi Grigi" – chiarisce subito Pietro, il fratello di Emanuela, un uomo di 54 anni che da quel maledetto 22 giugno del 1983, ogni giorno, forse ogni ora, non fa altro che pensare alla sorella e tentare di far luce su questa drammatica vicenda.
“Il primo contatto con i presunti rapitori – inizia a raccontare – riguardava lo scambio tra Emanuela e l’attentatore del Papa ed è la pista portata avanti per tantissimo tempo. Un’altra pista, quella della banda della Magliana riguarda l’ultimo periodo, da quando Sabrina Minardi, amante del boss della ‘bandaccia’ Enrico De Pedis, ha iniziato a parlare del caso”.
Un’ipotesi sulla quale la procura sta ancora indagando.
“Sì, ma fare il discorso delle ipotesi oggi non è semplice. Diciamo che ce ne sono state molte, queste due però sono state quelle più seguite nel corso degli anni”.
La cosiddetta pista Turca e quella della banda della Magliana?
“Sì e più vado avanti nel tentativo di arrivare a una soluzione e più questa linea delle ipotesi invece di assottigliarsi si espande. Credo che siamo incappati in un tassello all’interno di un sistema di ricatti che parte ancor prima di quel giorno, ma anche prima della morte di papa Luciani, dell’attentato a Wojtyla, della morte di Calvi, un sistema che lega i pezzi deviati dello Stato Vaticano, della Chiesa, dello Stato italiano, le mafie e la massoneria, sia dal punto di vista politico che economico….”
Ma di cosa stiamo parlando?
“Non è facile. Un indizio però potrebbe essere individuato nei soldi che la mafia elargì al banco Ambrosiano e che Giovanni Paolo II utilizzò per la causa di Solidarnosc, il sindacato polacco. Peccato però che quel denaro doveva essere restituito – scherza Pietro - e quando venne richiesto non c’era più. Oggi a questa ipotesi stanno guardando con interesse anche i magistrati che seguono l’inchiesta”.
Dunque Emanuela oggetto di scambio a seguito di un ricatto?
“In pratica sì. I rapitori i primi tempi seguivano due linee: una pubblica e una non pubblica. Con quella pubblica richiedevano la liberazione di Ali Agca (l’attentatore di papa Woytjla) e questo serviva per alzare l’attenzione sulla vicenda; e in effetti ci riuscirono, tutti i giornali, i mezzi di informazione, italiani e stranieri ne parlavano. Poi hanno ottenuto una linea diretta con la segreteria di Stato della Santa Sede e hanno avviato le trattative private. Proprio lì c’è stata la vera richiesta. Purtroppo il Vaticano non ha mai collaborato nelle indagini, non ha mai fornito il contenuto di quelle telefonate e proprio su questo canale, secondo me, c’è stata la vera richiesta. Una richiesta che poteva essere economica o politica. In pratica c’è stato il tentativo di gestire la volontà del Papa per fare certe cose.”
Dunque ipotesi separate?
“In realtà no, perché se si studiano bene le informazioni acquisite negli anni, alla fine si colgono dei punti di unione.” La teoria di monsignor Marcinkus, presidente dello Ior, che assolda la banda della Magliana per rapire o gestire la logistica del sequestro. C’è stata però una pista seguita con poco interesse sia dall’opinione pubblica che dagli investigatori, quella che porta a Bolzano.
“Due mesi dopo la scomparsa di Emanuela ci furono due persone della zona di Bolzano che sostennero, di essere entrate in contatto con Emanuela. Una è un’insegnante di musica che ad agosto ricevette una telefonata. Era mezzanotte; dall’altra parte del ricevitore la voce di una ragazza che diceva di chiamarsi Emanuela Orlandi e con tono molto concitato chiedeva aiuto. Prima che l’insegnante potesse parlare la linea cadde. Dopo qualche minuto il telefono squillò di nuovo e rispose ricevendo una serie di minacce se avesse riferito a qualcuno il contenuto della chiamata precedente. L’insegnante non disse nulla fino al 1985 poi decise di andare dai carabinieri a raccontare l’accaduto. Nei giorni della telefonata, un’altra persona della stessa zona, precisamente a Terlano, affermò di aver notato una macchina targata Roma, dalla quale erano scesi un uomo e una giovane ragazza. Quest’ultima sembrava stordita e trasandata. La testimone in seguito riconobbe in quella giovane il volto di Emanuela dopo aver visto una foto. La donna disse che Emanuela rimase nell’appartamento sotto al suo per qualche giorno poi arrivò un altro uomo che prese la presunta Emanuela, la fece salire in una macchina e si diresse verso la Germania. In quel momento gli investigatori stavano seguendo una pista turco-tedesca quindi furono molto interessati a questa testimonianza a tal punto che indagarono quattro persone per il sequestro di Emanuela Orlandi. Di questa faccenda non uscì neanche una riga sui giornali. Ad ogni modo i quattro rimasero indagati fino al 1997 quando l’inchiesta fu chiusa”.
Come mai fu chiusa?
“A causa di un particolare, che poi tanto particolare non è - risponde Pietro con ironia -. Infatti la persona che prelevò la presunta Emanuela fu identificata; era un funzionario del Sismi (all’epoca i servizi segreti militari) di stanza a Monaco, ma a quel punto le indagini praticamente si fermarono.”
Come si fermarono?
“La dichiarazione dei magistrati fu che, dopo vari accertamenti, quella persona il 19 di agosto non risultava in ferie quindi, secondo loro, non poteva trovarsi in quel paesino in provincia di Bolzano, punto. Ovviamente poteva benissimo trovarsi lì, ad esempio in servizio.”
E tu hai parlato con questo testimone?
“Certo. Sono andato a Bolzano e mi ha confermato tutto. Non solo. Lo scorso anno, il funzionario del Sismi, ha dichiarato che effettivamente quel giorno lui si trovava in quel paese ma che la ragazza non era Emanuela ma sua figlia.”
Una versione comunque opposta a quella risultata dalle indagini.
“Bè sì. Mi chiedo spesso il motivo per cui i magistrati all’epoca dissero che il funzionario del Sismi non era a Bolzano avallando la motivazione delle ferie. Non era vero.”
E questa pista potrebbe essere ripresa in considerazione, anche a distanza di trent’anni?
“Certo. Me lo auguro, anche perché, se andiamo a vedere bene, la figlia di questo funzionario del Sismi lavora in Vaticano. Nella Santa Sede lavorava all’archivio segreto, lo stesso posto dove lavorava monsignor Vergari, il rettore della basilica di Sant’Apollinare, tuttora indagato per concorso in sequestro nell’indagine sul rapimento di Emanuela”.
Ma scusi, al di là delle dichiarazioni di facciata, gli investigatori che vi dicevano?
“Ci dicevano spesso che erano in arrivo delle novità, tracce importanti delle quali però non potevano parlare per non correre il rischio di bruciare le indagini, quindi ci invitavano a non parlare con nessuno. Questa è stata la costante di questi trent’anni”.
Ecco appunto, sono trascorsi trent’anni. Ma ci sono stati altri momenti cruciali?
“Si, il momento più eclatante fu in Lussemburgo, nel 1993. Ci fecero vedere delle foto di una ragazza che per noi era Emanuela e viveva in un monastero. Decidemmo di partire assieme ai magistrati e al capo della squadra mobile romana, Nicola Cavaliere che era straconvinto che quella giovane fosse Emanuela. Arrivammo e mia madre fu portata in una stanza per incontrare questa ragazza. Furono gli istanti più belli della mia vita. Eravamo certi di aver ritrovato la nostra Emanuela. Ne ero sicuro, ma questa gioia infinita si dissolse in un attimo quando mia madre uscì da quella stanza e la osservai. Capii immediatamente dal suo sguardo che eravamo di fronte all’ennesima illusione.”
Dal 1993 in Lussemburgo al 2005 a Roma. E’ stata un’altra illusione l’analisi delle ossa conservate nella basilica di Sant’Apollinare?
“Tutto nasce quando alla trasmissione televisiva ‘Chi l’ha visto?’ arriva una telefonata (La voce è di un uomo di mezza età: Riguardo al fatto di Emanuela Orlandi, per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti all’epoca).
Premetto che la basilica in questione è un unico edificio in cui c’è anche la scuola di musica che frequentava Emanuela, l’istituto Tommaso Ludovica da Victoria. I magistrati presero in considerazione questa pista considerando l’eventualità di un legame tra la scomparsa di Emanuela e la sepoltura di Enrico De Pedis, sepoltura autorizzata dal vicariato di Roma e dal ministero degli interni. L’unica soluzione a quel punto era aprire la tomba.”
(In realtà la sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare fu scoperta da una giornalista del Messaggero dopo la metà degli anni novanta).
Prosegue Pietro: “Si arrivò però ad aprire la tomba solo lo scorso anno, grazie anche alle manifestazioni e alle petizioni che abbiamo realizzato in tutto questo tempo. Alla fine siamo riusciti a farla aprire e sotto il feretro di De Pedis c’era un ossario. Le ossa erano all’interno di circa duecento cassette e sono tuttora oggetto di analisi degli esperti”.
Ecco appunto, gira voce che una decina di quelle ossa risalirebbero a non più di quaranta anni fa, lasso di tempo che coincide grosso modo al periodo della scomparsa. Ma è vero?
“No. I magistrati lo hanno escluso. Dicono che al momento non sono state trovate ossa recenti.”
Al momento?
“Si perché le stanno ancora analizzando e stanno facendo un lavoro molto minuzioso, proprio perché vogliono togliere ogni dubbio”.
L’analisi delle ossa sarà certamente importante per tentare di aggiustare un tassello di questa vicenda, ma ci sono altre considerazioni da fare. Ad esempio il fatto che esistono altri due testimoni a Roma che quel giorno videro Emanuela parlare con qualcuno davanti al Senato a pochi passi da piazza Sant’Apollinare.
“Sì. E noi abbiamo parlato con questi due testimoni. Emanuela era andata a seguire la lezione di musica, suonava il flauto traverso. Un vigile e un poliziotto riferirono di aver visto un uomo appoggiato a una Bmw vicino all’ingresso del Senato che parlava con Emanuela. Proprio il vigile in seguito mi confessò di essersi pentito di non aver fatto la multa a quell’auto e di aver detto all’uomo di spostarla. Questa testimonianza dimostra chiaramente che Emanuela è stata fermata da qualcuno che la stava aspettando”.
Qualcuno del clan di De Pedis?
“La banda della Magliana se ha avuto un ruolo è stato esclusivamente di pura manovalanza….”.
L’ultima volta che hai visto Emanuela litigaste. “Si, voleva che l’accompagnassi alla scuola di musica ma io avevo un altro impegno. Faceva caldissimo, discutemmo e lei se ne andò sbattendo la porta. Per questo non mi perdonerò mai, se l’avessi accompagnata…”
Col senno del poi…
“…comunque qualcuno fuori dal Vaticano l’ha osservata.”
Un complice dei rapitori?
“Si, perché Emanuela poteva andare a piedi ma non sarebbe passata davanti al Senato dove c’era l’uomo della Bmw. Solo prendendo l’autobus poteva fare quella strada. Siccome l’uomo la attendeva davanti al Senato, qualcuno deve averlo informato”.
In tutto questo però secondo Pietro Orlandi c’è un grande assente. Ed è il Vaticano. “Parlai lo scorso anno con padre Georg Ganswein (segretario personale di Benedetto XVI) quando presentai una petizione da consegnare virtualmente al Pontefice nella speranza che durante l’Angelus potesse spendere qualche parola su questa vicenda. La domenica all’Angelus però, nonostante in piazza san Pietro eravamo in tanti con la foto di mia sorella, non fece alcun riferimento. Scoprii poi che non lo fece perché fu consigliato dalla segreteria di Stato di non parlarne”.
E perché?
“Evidentemente il Papa non è libero di pronunciare il nome di Emanuela Orlandi pubblicamente.”
Dunque si è creato un vero e proprio movimento attorno a questa vicenda. “Si, siamo in tanti, ho aperto un sito (emanuelaorlandi.it) e adesso abbiamo presentato un’altra petizione indirizzata al cardinal Bertone. In effetti quando parlai con padre Georg, lui mi disse che di questa vicenda se ne deve occupare la segreteria di Stato e allora così ho fatto. Siamo già arrivati a 120.000 adesioni anche grazie al sito dove si trova il testo della lettera che invieremo”.
Il Vaticano e la famiglia Orlandi, odio e amore. “L’ho sempre considerato un luogo familiare. Mio nonno viveva lì dal 1920 e io giocavo dentro le mura Leonine ma loro non hanno mai voluto collaborare nonostante Emanuela fosse una cittadina vaticana. Questo comportamento che dura da 30 anni è chiaro: la scomparsa di Emanuela ha un peso enorme sulla Santa Sede, al punto di preferire le critiche dell’opinione pubblica alla verità. Sono convinto che ci sono responsabilità dirette o indirette del Vaticano. E sono convinto che lo Stato italiano per nessuna cosa al mondo incrinerebbe i rapporti con la Santa Sede.”
Una battaglia quotidiana che Pietro non mollerà mai, soprattutto perché ha una profonda convinzione: “ho sempre detto che la prova della morte di Emanuela non c’è, quindi è un mio dovere cercarla viva. Certo, è la sensazione di un fratello, ma proprio per questo io la cerco viva e questo mi dà la forza di andare avanti.”
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Orlandi. Storia di un rapimento
22 giugno 1983
I turisti cercavano refrigerio alle fontanelle o nei bar mentre una ragazzina con uno zaino dal quale usciva un flauto, stava raggiungendo la scuola di musica. Quella ragazzina di lì a breve sarebbe scomparsa. E’ una quindicenne cittadina vaticana che quel giorno incontra nel centro di Roma un uomo che le offre un lavoro di volantinaggio per guadagnare 375 mila lire per la Avon, una ditta di cosmetici; un lavoro breve, facile e esageratamente remunerato.
E’ un periodo di forti cambiamenti in Italia, si vive ancora con la cappa del terrorismo e sta per diventare presidente del consiglio Bettino Craxi (che sarà eletto 4 giorni dopo). Emanuela vive con la famiglia dentro le mura della Santa Sede. Il padre, Ercole, è commesso della prefettura pontificia (Morirà nel 2004). La madre, Maria, accudisce Emanuela, Pietro, Natalina, Maria Cristina e Federica. Proprio Federica quel giorno riceve a casa la telefona di Emanuela che le parla di quel lavoro. Chiede cosa deve fare, se accettare o lasciar perdere; dato che i genitori non ci sono, Federica le consiglia di non far nulla. Emanuela allora decide che ne parlerà con loro più tardi.
Alla scuola di canto chiede all’insegnante di uscire con qualche minuto di anticipo, richiesta accordata. Con l’amica Raffaella Monzi aspetta l’autobus, ma non lo prende, Raffaella sì. La Monzi riferirà che mentre l’autobus partiva, una donna si era avvicinata a Emanuela.
25 giugno - la prima telefonata
I giornali iniziano a seguire la vicenda e squilla il telefono in casa Orlandi. Una voce maschile si presenta con il nome di Pierluigi, dice di avere 16 anni e sostiene che la sua ragazza ha visto Emanuela in piazza Navona.
Si chiamava però ‘Barbarella’, almeno quello era il nome con il quale si era presentata, ma aggiunge alcuni particolari: aveva un flauto e indossava degli occhiali dei quali però si vergognava; in effetti Emanuela è astigmatica. Sarebbe fuggita di casa per combattere la noia della sua vita.
26 giugno -la seconda telefonata
Pierluigi chiama di nuovo. Riferisce un particolare: ‘Barbarella’ stava vendendo collanine e prodotti di bellezza.
28 giugno – gli avvistamenti
Dopo Pierluigi arriva un’altra telefonata. A parlare questa volta è un certo Mario che sostiene di aver visto Emanuela nei pressi del suo bar vicino al Vaticano. Anche lui dice che si è presentata con il nome di ‘Barbara’ e anche lui conferma la fuga dalla noia.
30 giugno – testimonianze
Ma ci sono anche testimonianze più concrete, come quelle di un poliziotto e di un vigile urbano. Sostengono di averla vista nella zona del Senato. Il primo dice che Emanuela stava parlando con un uomo che aveva con sé un tascapane con la scritta ‘Avon’, la ditta di cosmetici e aveva una Bmw. Il vigile, in servizio davanti al Senato, aiuterà gli investigatori a comporre l’identikit del cosiddetto uomo della Avon.
3 luglio – l’appello del Papa
Giovanni Paolo II durante l’Angelus pronuncia un appello chiaro, scandito ed emozionato: “Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni. Non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso, elevo al Signore la mia preghiera”.
Il pontefice dunque è il primo a parlare di sequestro.
5 luglio – i Lupi Grigi
Ancora telefonate. Questa volta in Vaticano. Un uomo con accento straniero, che per questo verrà chiamato ‘l’Americano’, propone la liberazione di Emanuela in cambio di Mehemet Alì Agca, l’estremista turco dei ‘lupi Grigi’ che il 13 maggio 1981 sparò a Giovanni Paolo II in piazza san Pietro.
Un’altra telefonata arriva in casa Orlandi; a parlare è sempre l’Americano che fa ascoltare una registrazione dove si sentirebbe la voce di Emanuela; è la prova che la ragazza è nelle sue mani. Non solo, durante la conversazione fa riferimento a Pierluigi e Mario.
6 luglio – le prove del rapimento
All’agenzia di stampa Ansa telefona una persona che rende pubblica la richiesta dello scambio tra Agca e Emanuela aggiungendo che la proposta scadrà dopo 30 giorni. Non solo, invita l’interlocutore ad andare in piazza del Parlamento dove in un cestino troverà le prove del sequestro. Nel cestino infatti sarà trovata una fotocopia della tessera della scuola di musica che frequenta Emanuela, una ricevuta di pagamento e una frase scritta dalla ragazza.
8 luglio – linea diretta
Squilla il telefono in casa di Laura Casagrande, una compagna di scuola di Emanuela. Di nuovo la voce dell’Americano; questa volta chiede l’attivazione di una linea diretta con il segretario di Stato, monsignor Casaroli.
17 luglio
Ritrovamento di una registrazione che conferma la richiesta di scambio, nella registrazione si sentirebbe anche la voce di Emanuela.
L’Americano continua a telefonare; allo zio della ragazza chiede di rendere pubblico il messaggio della registrazione e di informarsi da monsignor Casaroli riguardo un colloquio avvenuto in precedenza.
20 novembre – il comunicato
I Lupi Grigi emettono un comunicato nel quale confermano il rapimento di Emanuela e aggiungono quello di Mirella Gregori (altra quindicenne scomparsa il 7 maggio dello stesso anno).
Luglio 2005 – ‘Chi l’ha visto?’
Dopo 22 anni di indagini, misteri e speranze, un episodio conferma una pista investigativa. Alla trasmissione ‘Chi l’ha visto?’ arriva una telefonata in diretta; un certo Mario dice che: “…per trovare la soluzione del caso, andate a vedere chi è sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare e del favore che ‘Renatino’ (De Pedis) fece al cardinal Poletti all’epoca…”.
20 febbraio 2006 – la Bandaccia
Antonio Mancini, pentito della banda della Magliana, afferma che la telefonata a ‘Chi l’ha visto?’ è stata fatta da un appartenente della Banda, soprannome ‘Rufetto’.
22 giugno 2008 – la donna del boss
Ancora i malavitosi romani. Entra in scena Sabrina Minardi, amante di De Pedis: Emanuela è stata uccisa e gettata in una betoniera a Torvajanica. A rapirlo è stato Enrico De Pedis su ordine del cardinale Paul Marcinkus, l’allora presidente dell’Istituto Opere Religiose (I.o.r.). Sempre secondo la Minardi, la prigione di Emanuela era in via Pignatelli a Monteverde, un quartiere vicino al Vaticano.
26 giugno – la prigione
Nell’appartamento di via Pignatelli viene scoperto un muro oltre il quale partono dei lunghi sotterranei e ci sono dei bagni.
18 giugno 2012 – la tomba del boss
Dopo anni di richieste e di pressioni da parte dell’opinione pubblica, viene aperta la tomba di Enrico De Pedis a Sant’Apollinare. Al momento nessun colpo di scena ma l’analisi delle ossa ritrovate è ancora in corso.
Marzo 2013
In corso nuovi interrogatori, anche di persone mai sentite prima dai magistrati.
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