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Marzo-Aprile/2013 - Articoli e Inchieste
Sicurezza Stradale
'Mobilità nuova': un’alternativa percorribile
di Lorenzo Baldarelli

Dalla singola storia alla tragedia collettiva; le nostre strade,
il nostro modo di percorrerle e l'idea di bene comune
sono alla base di una 'rivoluzione' che con ritardo
e lentezza si fa strada anche in Italia. Per ridurre
gli incidenti e i loro costi sociali non serve solo inasprire
le pene, a volte basta saper disegnare e ripensare
i nostri quartieri


Alessandra è in piedi già da un'ora, con la mente riorganizza le sue cose. La sua giornata sarà lunga e non ha il tempo materiale per commettere errori. La sua borsa dovrà essere perfetta per affrontare i suoi due lavori precari. Dovrà trovare anche il tempo per spostarsi e magari fare la spesa e mangiare. Da qualche mese Alessandra ha scelto di ridurre i tempi morti, ha scelto di utilizzare la bicicletta. Risparmio, rapidità e palestra gratis.
Scese le scale, presa la bicicletta e imboccata la trafficata arteria principale del suo quartiere, Alessandra abbozza il suo primo sorriso; pedalare la rende felice. Le endorfine la rilassano e per il tempo del viaggio tutto sembra più semplice.
Il rumore violento di una frenata, la massa di una macchina sul suo fianco, il tonfo e l'oscurità. Alessandra è a terra, investita da una signora troppo di fretta per aspettare lo stop, una signora come tante che deve andare a lavoro e portare i bambini a scuola. Alessandra non riesce a muoversi, la gamba destra le brucia e la vista è offuscata, le viene voglia di vomitare.
In un letto di ospedale aspetta il suo turno per essere operata, dovranno ridurle una frattura al femore. Alessandra non è grave, non è in pericolo di vita, eppure nella sua mente aleggiano solo pensieri oscuri. Perderà i lavori, la sua stanza in affitto e una marea di tempo per ricominciare a camminare, a vivere. Ora ha solo tanto tempo per leggere, informarsi e capire il perché l'Italia non può essere un Paese come gli altri.
Secondo un recentissimo studio della Portland State University's Urban Planning School, recarsi a lavoro in bici o a piedi «aumenta il benessere». Rende più felici. Il ricercatore Oliver Smith, tra gennaio e febbraio del 2012, ha intervistato 828 pendolari di Portland: «Le percentuali più basse di felicità sono state registrate da persone che viaggiano solo in macchina, ed è un peccato perché sono il 58% dei pendolari della città».
Ovviamente i fattori che tendono maggiormente ad abbassare il livello di soddisfazione sono il traffico (inesistente per i ciclisti), la congestione dei mezzi pubblici, la sicurezza sulle strade (elemento che interessa anche i ciclisti) e la durata degli spostamenti.
Molti penseranno che in fin dei conti la felicità sia un fattore secondario in una società moderna. In realtà da parecchi anni molti economisti hanno cominciato a riflettere, per capire il grado di sviluppo di una azione, non più in termini di Prodotto Interno Lordo (Pil), bensì in termini di Indice di sviluppo umano. Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Pnud) combina le statistiche basate su due indicatori - alfabetizzazione degli adulti e speranza di vita - con livelli di reddito (attualmente Rni pro capite, valutato secondo parità di potere d'acquisto in dollari). L'indice di sviluppo si misura su una scala che va da 0 a 100; i Paesi con punteggio che supera 80 sono ad altissimo sviluppo umano, quelli tra 67 e 79 ad alto sviluppo, quelli tra 50 e 66 a medio sviluppo e quelli sotto 50 a basso sviluppo. I dati del 2011 riportati dall'Economist ci dicono che la Norvegia è al primo posto (94,3), al secondo c'è l'Australia (92,9), al terzo i Paesi Bassi (91,0) e noi - nonostante il sole, il mare e il buon cibo - al 23 posto (87,4).
Non tutte le classifiche ci vedono in fondo; ad esempio tra i Paesi con le più alte emissioni di anidride carbonica (milioni di tonnellate, 2008) siamo al dodicesimo posto (445,1). Siamo al sesto anche tra i Paesi con il più alto tasso di motorizzazione (numero di automobili ogni 1000 abitanti, gli ultimi dati disponibili sono del 2010). Interessante notare che la Francia e la Germania sono al 16 posto e l'ultimo Stato europeo in classifica (al trentaseiesimo posto) è la virtuosa Danimarca. Ovviamente anche come vendita di automobili, anche con la crisi del settore, siamo in alto. Siamo infatti al settimo posto con 2.057 nuove immatricolazioni (dati del 2010). Al primo posto in Europa, diciannovesimo nel mondo, per le reti stradali più affollate (numero di veicoli per km di rete stradale), con una media di 86. Il Regno Unito è al ventesimo con 84,2.
Se mettiamo insieme tutti questi dati abbiamo la spiegazione logica del perché nelle nostre strade il traffico sembra endemico e sempre più nocivo. Dopo le decine di studi commissionati da attivisti della 'Nuova Mobilità', anche il 'Libro Bianco' della Confcommercio evidenzia un dato che può risultare sorprendente:. «La velocità media attuale nei maggiori centri urbani italiani ricorda da vicino quella raggiunta alla fine del '700: oscilla intorno ai 15 km/h e scende fino a 7-8 km/h nelle ore di punta».
Inoltre, l'indagine di Confcommercio dice pure che se «l'Italia avesse messo in campo, nel decennio 2001-2010, politiche di miglioramento dell'accessibilità stradale - il modo in cui i centri urbani sono collegati alla rete nel suo complesso - tali da allineare il sistema-Paese all'andamento dello stesso indicatore in Germania, si sarebbe registrato un incremento del Pil pari a 142 miliardi di euro».
Le mancate scelte dei nostri amministratori non hanno solo comportato un mancato incremento del Pil, ogni anno i morti e i feriti sulle strade sono un numero impressionante:sono tragedie umane e costi per la collettività.
L'Associazione Nazionale fra le Imprese Assicurative (Ania) ha stimato che nel 2011 nel nostro Paese si sono registrati 205.638 incidenti stradali che hanno causato 3.860 morti e 292.019 feriti. Ogni giorno avvengono 563 sinistri, 11 persone perdono la vita e 800 rimangono feriti. Per farci un'idea di quanto siano enormi questi numeri li confronteremo con quelli di una guerra. Tra il 2001 e il 2002, l'anno dell'invasione dell'Afghanistan, i morti civili dovuti ai bombardamenti sono stati stimati da un minimo di 3.700 ad un massimo di 5.000. Ogni commento è superfluo.
Se spacchettiamo i dati Ania possiamo notare che la maggior parte dei sinistri (il 76,4%) avvengono in città, così come i feriti (72,9%) e i morti (45,2%). Inoltre, tra tutti i feriti e i morti quelli definibili 'utenti deboli' sono la maggior parte. «Si può definire utente debole - specifica l'Ania - il soggetto che, in caso di collisione tra due o più utenti della strada, risulta il più vulnerabile. In Italia, tra gli utenti deboli, vengono registrati 589 morti tre i pedoni; 1.008 morti sulle due ruote a motore e 282 morti sulle biciclette. Nel 2010 l'Italia è stata al primo posto tra i Paesi dell'Europa a 27 stati per numero di morti sulle due ruote e terzo per i ciclisti e pedoni».
Il movimento 'Salva i ciclisti' ha calcolato anche i costi sociali di questa strage. «#Salvaiciclisti è un movimento popolare e spontaneo indipendente da partiti e associazioni che chiede alla politica interventi mirati per aumentare la sicurezza dei ciclisti sulle strade italiane. Tutto parte dall’iniziativa Cities fit for cyclists del Times e dal manifesto di 8 punti che viene ripreso dai blogger italiani e rilanciato in rete sotto il nome di #salvaiciclisti. In pochi giorni la campagna viene sposata dai principali quotidiani nazionali tra cui la Gazzetta dello Sport, il Fatto Quotidiano e, seppure in modo non ufficiale, da Repubblica, Corriere della Sera, Paese Sera e dalla freepress Metro. In meno di una settimana gli 8 punti del manifesto del Times vengono convertiti in un disegno di legge sottoscritto da oltre 60 parlamentari di tutte le forze politiche (tranne la Lega) attualmente in fase di approvazione al Senato». Fin dall'inizio il movimento ha sempre chiesto tra l’altro «l’istituzione di “Zone 30” in ambito urbano, la costruzione di strutture atte a favorire la ciclabilità nelle città, il monitoraggio e ripensamento delle strade e degli incroci più pericolosi e, a livello locale, maggiore impegno per contrastare il fenomeno della sosta selvaggia».
Gli studiosi che hanno aderito alla campagna e al movimento hanno stimato che nel nostro Paese, negli ultimi 10 anni, sono deceduti 7.625 pedoni e 2.665 ciclisti. L'80% dei pedoni coinvolti rimane ferito, contro il 5-10% degli automobilisti.
Il costo sociale per la collettività (ricoveri e spese mediche) equivale «al 2% del Pil, circa 30 miliardi di euro».
Per Salvaiciclisti, «i costi considerati che direttamente o indirettamente derivano dall'incidente possono essere distinti in quattro categorie: perdita della capacità produttiva; costi umani (danno morale e biologico); costi sanitari (regime di ricovero, pronto soccorso, ambulanza); altre voci di costo (danni materiali, costi amministrativi e costi giudiziari)».
Il costo medio per ogni vita spezzata è di 1.377.933 euro, per ogni ferito è di 70.000 euro.
«Nell'ambito dei comportamenti errati di guida - spiega l'Ania -, il mancato rispetto delle regole di precedenza, la guida distratta e la velocità troppo elevata sono le prime tre cause di incidente stradale». Per diminuire sensibilmente le cause degli incidenti è quindi necessario ripensare il nostro approccio alla mobilità, le multe e la patente a punti non si sono dimostrate efficaci sul lungo periodo. Per il movimento Salvaiciclisti, e per la maggior parte degli esperti di mobilità mondiali e buona parte degli amministratori europei, una soluzione sarebbero le 'zona 30'. «I 30 km/h in tutte le aree residenziali è la velocità massima ideale per rimettere le persone al centro delle nostre città». Nel 'Manifesto' di Salvaiciclisti si trovano i suggerimenti per rendere più vivibili e sicure le nostre città: «Gli autoarticolati che entrano in un centro urbano devono, per legge, essere dotati di sensori, allarmi sonori che segnalino la svolta, specchi supplementari e barre di sicurezza che evitino ai ciclisti di finire sotto le ruote.
I 500 incroci più pericolosi del Paese devono essere individuati, ripensati e dotati di semafori preferenziali per i ciclisti e di specchi che permettano ai camionisti di vedere eventuali ciclisti presenti sul lato.
Dovrà essere condotta un’indagine nazionale per determinare quante persone vanno in bicicletta in Italia e quanti ciclisti vengono uccisi o feriti.
Il 2% del budget dell’Anas dovrà essere destinato alla creazione di piste ciclabili di nuova generazione.
La formazione di ciclisti e autisti deve essere migliorata e la sicurezza dei ciclisti deve diventare una parte fondamentale dei test di guida.
30 km/h deve essere il limite di velocità massima nelle aree residenziali sprovviste di piste ciclabili.
I privati devono essere invitati a sponsorizzare la creazione di piste ciclabili e superstrade ciclabili prendendo ad esempio lo schema di noleggio bici londinese sponsorizzato dalla Barclays.
Ogni città deve nominare un commissario alla ciclabilità per promuovere le riforme».
Per semplificare possiamo affermare che le tre colonne portanti su cui si basa la 'Mobilità Nuova' sono il cambiamento urbanistico, l'incremento della mobilità leggera e lo sviluppo del trasporto pubblico. Esempi concreti, a volte rivoluzionari, esistono da anni. Ad esempio a Vauban, alla periferia di Friburgo, al confine con tra la Francia e la Svizzera, si è scelto di sperimentare la vita senza auto. Tutto è raggiungibile a piedi o in bicicletta, se si devono fare trasporti eccezionali le famiglie si servono di veicoli comunali in car sharing. La creazione di 'zone 30' faciliterebbe questo processo virtuoso, eliminando il traffico d'attraversamento nel quartiere istituendo appunto il limite di 30 km/h nelle strade interne -e creando delle strade cieche. Si potrebbe così garantire una maggiore sicurezza dei pedoni, dei ciclisti e dei bambini.
Ovviamente tutto ciò deve essere accompagnato da altri interventi: mettere in sicurezza i percorsi pedonali e di accesso alla stazione della metropolitana, favorire il trasporto pubblico su ferro e su gomma e sviluppare le infrastrutture per la mobilità leggera.
Queste semplici pratiche riporterebbero i nostri quartieri ad essere a misura d'uomo e in parte renderebbero l'economia e il lavoro più umani. Dopo una breve fase di contrazione, infatti, il commercio di prossimità riprenderebbe con maggiore vigore. Anche la percezione della sicurezza cambierebbe; strade illuminate e piene di persone trasmettono alla cittadinanza un senso di tranquillità che oggi è quasi del tutto assente. Per ultimo c'è l'aspetto 'psicologico': quanto teniamo alla nostra salute mentale? Una 'Nuova Mobilità' è sinonimo di uno stile di vita meno frenetico, menostress, meno solitudine e meno depressione. Un sostanziale risparmio per il sistema sanitario pubblico.
Alessandra ora è cosciente. Anche se all'inizio avrà paura, tornerà ad usare la bicicletta.
«La bicicletta - scrive Marc Augé - acquista un ruolo determinante per aiutare gli uomini a riprendere coscienza di loro stessi e dei luoghi in cui vivono, invertendo, per quanto li riguarda, il movimento che proietta la città fuori da loro stesse. Abbiamo bisogno della bicicletta, per ritrovare noi stessi, proprio mentre ritroviamo un centro nei luoghi in cui viviamo».


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