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Gennaio-Febbraio/2013 - Laboratorio
http://www.laboratoriopoliziademocratica.it - http://laboratoriopoliziademocratica.blogspot.it/
Riforma Fornero, l’insoddisfazione del Comparto Sicurezza
di Eliseo Taverna - Delegato Co.Ce.R. - GdiF

L’esigenza del governo di fare cassa per poter continuare a riformare il mercato del lavoro, ovviamente secondo una visione sempre più discutibile, non lascerà indenni gli operatori della Sicurezza e della Difesa.
Dopo aver sferrato un attacco allo Statuto dei lavoratori, minato l’ormai noto articolo 18, riformato (secondo il parere di molti esperti in modo estremamente peggiorativo) il sistema degli ammortizzatori sociali per coloro che perdono il lavoro o prestano la propria opera per aziende in crisi, riformato il sistema pensionistico generale, è arrivata l’ora di somministrare una nuova stangata anche al personale del Comparto Difesa e Sicurezza, in barba allo status ed alla specificità d’impiego che lo caratterizza.
Già dallo scorso inverno il Ministro del Lavoro uscente, eccedendo anche nella delega concessa dal Parlamento al governo, aveva cercato di stravolgere il sistema pensionistico del Comparto, tentando di abolire una serie d'istituti quali l’ausiliaria, la privilegiata, le supervalutazioni, con la chiara volontà di avvicinarlo sempre più al sistema previdenziale generale (in linea di massima 66/67 anni di età per la pensione di vecchiaia e 42 anni di contributi per quella di anzianità e con una serie di penalizzazioni per chi deciderà di andare anticipatamente in quiescenza prima dei 62 anni). Un’operazione che si stava consumando, peraltro, senza neppur un incontro tra il Ministro e le rappresentanze, a differenza di quanto era già avvenuto con i sindacati confederali in occasione della riforma del sistema dell’assicurazione generale obbligatoria.
Le forti opposizioni, però, che portarono in piazza lo scorso inverno le organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile ed i delegati Co.Ce.R. Guardia di Finanza (come al solito gli unici presenti delle cinque sezioni Co.Ce.R.) avevano impedito questo colpo di mano stigmatizzato, peraltro, anche dai segretari dei partiti che sostengono il governo e anche da qualcuno dell’opposizione. La naturale conseguenza fu la presentazione, da parte loro, di un dettagliato ordine del giorno - successivamente approvato dal governo - con il quale si impegnava l’esecutivo a tenere conto - in fase di armonizzazione del sistema pensionistico - della specificità del Comparto Difesa e Sicurezza, di avviare la previdenza complementare ed il riordino dei ruoli e delle carriere.
Dall’incontro tenutosi a Palazzo Chigi, tra i ministri Fornero, Cancellieri, Di Paola, Severino e Catania, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Catricalà ed i Co.Ce.R. e le organizzazioni sindacali è emerso, però, che il governo non ne ha tenuto minimamente conto. Una riforma che a decorrere dal 1°gennaio 2013 prevede che per coloro che appartengono ai ruoli esecutivi e matureranno i requisiti dalla medesima data, il diritto alla pensione di vecchiaia si acquisirà esclusivamente con un’anzianità contributiva minima pari a vent’anni e con il requisito anagrafico che oscillerà tra i 61 ed i 63, a seconda dell’anno in cui andrà in pensione, facendo peraltro una distinzione tra i direttivi e gli esecutivi.
Per quanto concerne, invece, il diritto all’accesso alla pensione anticipata (precedentemente definita di anzianità ), a decorrere da 1° Gennaio 2013 per coloro che maturano i requisiti alla medesima data, l’accesso al trattamento di quiescenza, indipendentemente dal possesso dei requisiti anagrafici precedentemente indicati, si raggiunge se risulta maturata un’anzianità contributiva minima di 42 anni e tre mesi, comprensivi dell’adeguamento alla speranza di vita.
Inoltre, in caso di pensionamento anticipato rispetto a tale anzianità, sulla quota retributiva di trattamento relativa alle anzianità contributive maturate antecedentemente al 1° gennaio 2012 potrebbe essere prevista una riduzione pari ad un punto percentuale per ogni anno di anticipo nell’accesso al pensionamento, rispetto all’età di 58 anni, fino al 31 dicembre 2018 e rispetto all’età di 59 anni a decorrere dal 1° gennaio 2019. Tale riduzione è elevata a 2 punti percentuale per ogni anno ulteriore di anticipo rispetto a due anni e qualora l’età per il pensionamento non sia intera, la riduzione percentuale è proporzionale al numero dei mesi.
Gli aumenti del periodo di servizio (cosiddette supervalutazioni) maturati entro il 31.12.2012 di cui al decreto legislativo 165/97, di contro, computabili ai fini pensionistici per non più di cinque anni e validi esclusivamente per l’accesso al diritto a pensione ma non per la misura della stessa, verrebbero salvaguardati. Mentre a decorrere dal 1° gennaio 2013 per chi non li ha ancora maturati gli stessi non potranno eccedere i due anni e sei mesi. Per quanto concerne i diritti già acquisiti (anzianità contributiva ed età anagrafica) previsti dalla normativa vigente e maturati entro il 31.12.2012, ai fini del diritto e della decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità, si continuerà ad applicare la vecchia normativa.
Resta fermo il collocamento a riposo d’ufficio al raggiungimento dei limiti ordinamentali, che non verranno elevati per coloro che hanno già maturato i requisiti previsti, in relazione al grado o alla qualifica di appartenenza vigenti alla data di entrata in vigore della riforma.
L’accesso al pensionamento ai sensi dell’art. 6 del d.lgs 165/97, (massima anzianità contributiva), peraltro, mediante l’applicazione del regime delle decorrenze di cui alla legge 122/2010, dovrebbe essere consentito esclusivamente nel caso in cui la stessa sia stata raggiunta entro il 31.12.2011 e a condizione che il previsto requisito anagrafico venga maturato entro il 31.12.2012.
Rimarrà in vigore, inoltre, anche la possibilità di uscita dal mondo del lavoro con il sistema delle quote, ovvero anzianità contributiva sommata all’età anagrafica, che a regime dovrà raggiungere il numero convenzionale di 99.
I Co.Ce.R. e le organizzazioni sindacali hanno, fin da subito, manifestato la loro contrarietà alle misure in questione, che appaiono sproporzionate e non attuabili ad un Comparto così delicato e specifico.
E’ ovvio, che i Co.Ce.R. e le organizzazioni sindacali delle Forze di Polizia ad ordinamento civile non accettino nel modo più assoluto una riforma di questo genere, che non tiene conto dello status e della specificità d’impiego del personale. La stessa, tra l’altro, non contiene alcun intendimento circa l’avvio della previdenza complementare, la previsione del riordino dei ruoli e delle carriere che, alla luce dell’eventuale prolungamento della permanenza in servizio, risulterebbe non più rinviabile.
Intanto si ragiona su quali iniziative intraprendere per portare il profondo dissenso di più di cinquecentomila persone, sia nelle aule parlamentari sia nelle piazze come, peraltro, è già avvenuto nell’inverno scorso.
Ancora una volta, quindi, assistiamo ad una politica che colpisce indiscriminatamente dove non dovrebbe, perché se è vero che circa il 50% della ricchezza italiana è detenuta dal 10% della popolazione, allora non si capisce come mai il governo uscente abbia continuato ad emanare misure nei confronti dei ceti medi e medio bassi e di coloro che rischiano la propria vita per salvaguardare la collettività e si sia guardato bene dall’intervenire con una patrimoniale che colpisse coloro che hanno una maggiore ricchezza.

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