Italia maglia nera in Europa: oltre 140 detenuti
ogni 100 posti. Mancano concrete alternative
al carcere. Nel Lazio, dimezzati in due anni i fondi
destinati a progetti di recupero e alla salute
La cronica mancanza di risorse e, soprattutto, il drammatico sovraffollamento degli istituti di pena - di gran lunga superiore non solo alla capienza regolamentare ma anche a quel dato di capienza “tollerabile”, indicato come metro di riferimento dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - rendono sempre più difficile lo svolgimento delle attività trattamentali all’interno del carcere, spesso vanificando ogni progetto di recupero e quindi di reinserimento sociale del detenuto.
Nella Regione Lazio, le presenze alla fine dell’anno solare 2011 hanno raggiunto il numero di 6.846 detenuti (6.409 uomini e 437 donne), duemila in più rispetto alla capienza regolamentare di 4.838 posti dei 14 istituti di reclusione della regione. Secondo le stime, da gennaio 2011 (quando i detenuti erano 6.377) a dicembre 2011 si è registrato un incremento di presenze nelle carceri del Lazio di 469 unità.
Per fronteggiare tale emergenza sono sempre meno le risorse umane e, soprattutto, economiche. Nell’anno di riferimento - come denunciato dal Garante per i diritti dei detenuti della regione Lazio Angiolo Marroni - per garantire il vitto ai reclusi, il Provveditorato regionale dell’Amministrazione Penitenziaria ha avuto a disposizione 740mila euro in meno rispetto al 2010 (- 10% circa). Ammonta, invece, al 58% il taglio delle risorse destinate al funzionamento degli asili per i figli delle detenute: a disposizione ci sono stati, infatti, solo 200mila a fronte dei 475mila stanziati nel 2010.
Su 15 capitoli di spesa dei fondi per il funzionamento delle carceri del Lazio, i tagli rispetto al 2010 hanno sfiorato il 15%: nel 2011, il budget è stato di poco superiore ai 20 milioni di euro, a fronte dei 23.180.000 del 2010 (anno dove già si registrò una diminuzione di risorse del 30%).
Un sistema carcerario, quindi, che versa in gravissime difficoltà tanto nella gestione quotidiana che in un’ottica, più strategica, di medio/lungo periodo. Circa il 40% dei detenuti è in carcere senza avere una sentenza definitiva, nelle celle si registra una presenza consistente di reclusi tossicodipendenti, di persone affette da malattie psichiatriche e di detenuti stranieri.
Una situazione, questa, cui devono aggiungersi le croniche carenze di organico della Polizia Penitenziaria, di assistenti sociali e di psicologi.
In questo quadro drammatico l’attenzione del Garante è stata rivolta soprattutto a favorire la ricerca di opportunità di lavoro per detenuti ed ex detenuti, condizione fondamentale per avviare un programma di reinserimento, nonché garantire l’accesso alle misure alternative al carcere come le comunità terapeutiche per i detenuti tossicodipendenti.
Altra problematica, quella legata alla forte presenza di stranieri in carcere. Nel Lazio sono, infatti, state censite oltre 153 diverse nazionalità. Una situazione, questa, che oltre a quelle sopra evidenziate, pone ulteriori e rilevanti problemi legati alla mediazione e alla necessità di integrazione di genti di lingue, culture, religioni, usi e costumi diversi.
«Sono stati proprio gli ultimi provvedimenti legislativi ad aver prodotto l’affollamento delle carceri!», ci dice con forza Angiolo Marroni. Nel Lazio, infatti, i detenuti sono circa 7mila. «Il problema però - aggiunge il Garante - è che l'opinione pubblica, soprattutto nei confronti di chi ha commesso reati di natura sessuale o ha ucciso, considera quella detentiva, l’unica pena valida e giusta».
Proprio per questo l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone, nato nel 1998, visita ogni anno diversi istituti di pena presenti sul territorio nazionale: nel 2011-2012 sono stati oltre 40 i volontari coinvolti. Quest’anno per la prima volta, il rapporto conclusivo è stato accompagnato dal webdoc ‘Inside carceri’ realizzato insieme al service giornalistico Next New Media, e girato all’interno di 25 istituti di pena italiani tra cui Bari, Genova, Lecce, Milano Opera e San Vittore, Roma Regina Coeli, Firenze, Napoli Poggioreale e Secondigliano, Reggio Calabria, Rieti. Il documentario si compone di 32 video, 2 audiogallery, 3 infografiche, 177 immagini, oltre 20 schede di testo ed è visibile gratuitamente sul sito www.insidecarceri.it.
Secondo il Rapporto dell'Associazione, i detenuti sono in crescita rispetto al 2010, segno che la legge n. 199 del 2010 non ha salvato le carceri dal sovraffollamento. La dichiarazione dello stato d’emergenza per il sovraffollamento carcerario risale al 13 gennaio dello stesso anno. Il numero dei detenuti al 31/12/2009, subito prima della dichiarazione dello stato di emergenza, era di 64.791. Al 31/10/2012 la presenza era di 66.685 detenuti, 1.894 in più. La legge prevedeva la possibilità di scontare l’ultimo anno di pena in detenzione domiciliare, misura poi estesa con il decreto del dicembre 2011 a 18 mesi. Al 31/10/2012 hanno beneficiato di questa possibilità 8.267 detenuti. Tra costoro 539 donne (il 6,5%) e 2.283 stranieri (il 26,7%). Il numero sembra significativo, ma è in parte un abbaglio. Si tratta anzitutto di un dato di flusso e non statico, che va dunque messo in relazione non col numero dei detenuti presenti, ma con quello dei detenuti usciti dal carcere dall’entrata in vigore della legge, verosimilmente oltre 140mila. Una piccola cosa dunque. Parte di questi detenuti avrebbe potuto fruire di altra estesa misura alternativa. A questo si aggiunga che, trattandosi di una misura che consentiva di scontare solo gli ultimi mesi della pena fuori oggi, 20 mesi dopo l’entrata in vigore della legge, una parte di quanti ne hanno usufruito sarebbe fuori comunque, ed il resto uscirebbe al massimo tra qualche mese. A causa dei numeri citati sopra e dunque della mancanza di novità significative, l’Italia resta il Paese con le carceri più sovraffollate nell’Unione europea. Il nostro tasso di affollamento è oggi infatti del 142,5% (oltre 140 detenuti ogni 100 posti).
La media europea è del 99,6%. Le regioni più affollate sono Liguria (176,8%) e Veneto (164,1%). Le meno affollate Abruzzo (121,8%), Sardegna (105,5%) e Basilicata (103%). Al 31/12/ 2009 la capienza delle nostre carceri era di 44.073 posti. Secondo i dati ufficiali al 31/10/2012 la capienza regolamentare complessiva dei 206 istituti penitenziari è di 46.795. La notizia però incredibile è che il 31/08/2012, due mesi prima, la capienza degli istituti era di 45.568 posti. Da agosto il numero degli istituti è rimasto lo stesso in ogni regione ma in Calabria ci sarebbero 263 posti in più, in Umbria 196 e in Lombardia addirittura 661 in più. Non risultano però aperture di nuove carceri, né di nuovi padiglioni in vecchie carceri, né in Calabria (dove è anzi stato chiuso il carcere di Laureana di Borrello), né in Umbria e né in Lombardia. Inoltre, a causa delle molte celle e sezioni chiuse per inagibilità, la capienza effettiva dei nostri istituti è decisamente inferiore a quella dei dati ufficiali e le nostre carceri dunque sono ancora più sovraffollate di quanto dicano i numeri. Circa 5mila posti sono al momento non disponibili per ristrutturazione e i detenuti ammassati nelle sezioni aperte.
Ma chi sono gli oltre 66mila detenuti nelle nostre carceri? Sono per lo più uomini (le donne rappresentano solo il 4,2% delle presenze), in maggioranza italiani, provenienti soprattutto da Campania, Sicilia, Puglia, Calabria, Lombardia e Lazio, ma gli stranieri rappresentano comunque il 35,6% dei detenuti e provenienti da Marocco, Romania, Tunisia, Albania e Nigeria. Delle migliaia di persone detenute il 40% non sconta una condanna definitiva ma è in carcere in custodia. Nonostante vi sia una decrescita rispetto al 2011, in base ai dati pubblicati dal Consiglio d’Europa nel marzo 2012 questa percentuale è del 23,7% in Francia, del 15,3% in Germania, del 19,3% in Spagna e del 15,3% in Inghilterra e Galles. La media dei Paesi del Consiglio d’Europa è del 28,5% e questo dato rappresenta certamente l’anomalia maggiore del nostro sistema. Se con un’azione normativa si facessero uscire quelli che devono scontare meno di tre anni di pena le carceri tornerebbero nella legalità contabile e costituzionale.
Le proposte di Antigone per restituire dignità ai detenuti partono quindi dalla riduzione del sovraffollamento: «Esiste già - si legge nel loro Rapporto annuale - una bozza di riforma elaborata e formalmente presentata al Parlamento nel 2008 da una Commissione ministeriale presieduta da Giuliano Pisapia e a quel progetto di riforma, bisogna rifarsi per rivedere il sistema delle sanzioni. Deve essere prevista, inoltre, la possibilità di comminare sin dal giudizio di cognizione sanzioni diverse rispetto alla pena detentiva, a cui va restituita una sua natura residuale. Serve introdurre per gli autori di fatti di reato non gravi sanzioni pecuniarie (commisurate al reddito), interdittive (detenzione domiciliare, esclusione da incarichi pubblici) e prescrittive (lavori socialmente utili nei fine settimana) diverse dalla pena detentiva. Per deflazionare il sistema penitenziario è necessario intervenire in modo drastico sulle tre leggi che producono - senza benefici per la sicurezza collettiva - i maggiori flussi di ingressi in carcere: la legge ex-Cirielli, la legge Fini-Giovanardi, la legge Bossi-Fini».
Studi ministeriali e universitari hanno infatti accertato che coloro i quali durante l’esecuzione della pena hanno una opportunità di fruire di benefici premiali tornano a delinquere in percentuale tre-quattro volte inferiori rispetto a chi sconta l’intera pena inflitta in carcere. Circa il 60% dei detenuti in percentuale condannati in via definitiva ha una pena breve da espiare, inferiore ai tre anni. L’utilizzo razionale e universale delle misure alternative alla detenzione consentirebbe di evitare il carcere e di liberare diverse migliaia di persone restituendole alla vita normale e al territorio. Ciò oggi non accade per fattori normativi, culturali, professionali: rispetto ai vincoli normativi essi vanno rivisti tornando allo spirito originario della legge penitenziaria, rispetto ai limiti di ordine culturale è necessario che le misure alternative alla detenzione siano vissute da tutti, operatori compresi, come una vera e propria pena.
«È perciò indispensabile - secondo Antigone - potenziare considerevolmente l’organico dei magistrati di sorveglianza e degli operatori sociali dal cui lavoro di indagine spetta la decisione finale sulla ammissione o meno di un detenuto a un programma di recupero extradetentivo. Deve essere introdotto il crimine di tortura nel Codice penale e serve un organismo nazionale indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione (carceri, centri di identificazione ed espulsione di stranieri, commissariati e caserme), al limite strutturato su base territoriale. Per quanto concerne la previsione del delitto di tortura essa ha inoltre già una sua cogenza di natura costituzionale».
Perciò la richiesta dell’Associazione per la tutela dei detenuti è che «si ripensino politiche di prevenzione dei suicidi e della violenza: un risultato che si ottiene con progetti mirati, oggi rari, di sostegno educativo, sociale e psicologico, con la creazione di centri di ascolto, con la predisposizione di misure di particolare attenzione nelle prime fasi della detenzione con la limitazione e il controllo dell’isolamento disciplinare, con il contigentamento dell’uso dell’alcool nell’ambiente carcerario; contrastando con azioni formative ed educative mirate quella sub-cultura carceraria che prevede che vi siano detenuti di serie A e detenuti di serie B (detenuti per reati di tipo sessuale e collaboratori di giustizia), sottoponendo questi ultimi a violenze fisiche e vessazioni a volte tollerate colpevolmente dal personale. Ai poliziotti penitenziari e a tutti gli altri lavoratori nelle carceri, infine, va data grande considerazione sociale pretendendo in cambio totale aderenza alle norme in materia di diritti umani. In tal senso un ruolo preventivo rispetto a tentazioni di maltrattamenti e di mala gestione carceraria può essere svolto anche e dagli organi di stampa e dai mass-media, ai quali la legge deve consentire l’accesso nelle carceri».
FOTO: Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti del Lazio
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